12 ottobre 1492. 11 osservazioni su colonialismo, indipendenze latinoamericane e modernità
1) Walter Benjamin, “Scritti francesi”, in “Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti, appunti e materiali 1927-1940”:
“La storia degli oppressi è un discontinuum (…) Il continuum della storia è quello degli oppressori. La rappresentazione del continuum livella al suolo ogni cosa, quella del discontinuum è alla base di ogni tradizione autentica.
La coscienza della discontinuità storica è propria delle classi rivoluzionarie nel momento della loro azione. Il compito della storia consiste in impossessarsi della tradizione degli oppressi”.
2) Malgrado siano riuscite a mobilitare l’antagonismo di massa, componente essenziale della fase indipendentista successiva, per la storia ufficiale, le prime lotte anticoloniali – come l’insurrezione indigena capeggiata da Tupaj Amaru nel 1780 – non sono lotte anticolonialiste ma “solo” ribellioni o resistenze.
La fase successiva, che culmina con la formazione delle “giunte di governo” americane susseguenti all’invasione napoleonica della Spagna (1808), non aveva scopi indipendentisti.
Solo in seguito al tentativo di restaurazione da parte della Europa colonialista (Congresso di Vienna, 1 ottobre 1814 – 9 giugno 1815), la dinamica della lotta sociale, etnica, religiosa e culturale, si radicalizza acquistando toni e contenuti esplicitamente indipendentisti e rivoluzionari.
3) Consejo Andino de Naciones Originarias “Tupaj Amaru: un indomable guerrero que se pasea en los Andes”:
“Il 18 maggio 1781, prima di essere ammazzato per aver condotto una ribellione generale degli indigeni, dei meticci e di altre caste, il capostipite dei ribelli, Túpac Amaru, era torturato (…) Prima della sua esecuzione, sulla piazza del Cusco torturavano e strangolavano la moglie, Micaela, il figlio, il cognato, la cacicco di Acos e altri otto collaboratori. Per tutti si usava identica procedura: prima la garrota, poi la mutilazione, infine la forca. Ma a Tupaj Amaru è stato riservato un trattamento speciale (la garrota era il cerchio di ferro fissato ad un palo stretto mediante una vite al collo del condannato fino a provocarne la morte per strangolamento, abolito in Spagna solo nel 1975, dopo la morte del dittatore Francisco Franco).
Racconta un testimone del Cusco: «Lo spettacolo pubblico è stato chiuso da Tupaj Amaru. Per iniziare, il boia gli tagliava la lingua. Poi, gli toglievano le catene, l’appoggiavano per terra e lo legavano, mani e piedi, a quattro corde a loro volta legate a quattro cavalli che quattro meticci spingevano in quattro sensi diversi: è stato uno spettacolo mai visto prima in questa città».
Successivamente, «a scopo pedagogico perché gli indigeni capissero la lezione», i suoi resti sono stati appesi in cinque diversi villaggi: in uno c’era la testa, in altri due le braccia, in altri due le gambe. Dopo qualche tempo, quel che restava dei suoi resti venne bruciato e ridotto a ceneri che furono disperse nel vento e nelle acque di un rio «perché non ne restassi neppure una traccia fisica». La casa in cui Tupaj Amaru viveva fu demolita per ordine dei giudici (…)
Prima di essere giustiziato, Tupaj Amaru affermava: «Ritornerò. E saremmo migliaia»..
Nelle Ande dicono che alla sua testa decapitata stia crescendo il corpo sotto la terra di Abya-Yala e, quando il corpo sarà completo, ritornerà e «tutto ciò che è stato indigeno ritornerà ad esserlo»” (Abya-Yala è l’antico nome che gli indigeni kuna del Panama davano al continente, adottato dal movimento indigeno latinoamericano).
4) Dichiarazione insurrezionale della Giunta Tuitiva nella città di La Paz, 16 luglio 1809
(Documento conservato presso l’Archivio Generale della Nazione Argentina):
“Finora abbiamo tollerato una sorta di esilio nel seno stesso della nostra patria; abbiamo osservato con indifferenza per oltre tre secoli la nostra primitiva libertà sottomessa al dispotismo e alla tirannia di un usurpatore ingiusto che, degradandoci dalla specie umana, ci ha trattato come schiavi; abbiamo mantenuto un silenzio abbastanza simile alla stupidità che l’ignorante spagnolo ci attribuisce, soffrendo con rassegnazione che il merito degli americani sia sempre stato un presagio di umiliazione e rovina. Quindi, è ormai tempo di rimuovere un giogo tanto funesto alla nostra felicità quanto favorevole all’’orgoglio nazionale spagnolo. E’ ormai tempo d’innalzare la bandiera della libertà su queste sfortunate colonie, acquisite senza alcun titolo e mantenute con la più grande ingiustizia e oppressione …”
5) Jorge Icaza (“Huasipungo”, 1934):
“Il prete e i proprietari terrieri avevano una voce sola, ed era sacra.
Chi non la rispettava pagava con la propria vita.”
6) Eduardo Galeano (“Il libro degli abbracci” 2006):
“Il «Codice Nero» vietava la tortura degli schiavi nelle colonie francesi. Non era per torturare, ma per educare, che i proprietari terrieri frustavano i loro neri e, quando fuggivano, li recidevano i tendini.
Le «Leggi delle Indie», che proteggevano gli indigeni nelle colonie spagnole, erano assai commoventi. Ma, più commoventi ancora, lo erano la gogna e la forca piantate nel centro di ogni Piazza Maggiore.
Assai convincente era la lettura dell’ingiunzione con la quale, alla vigilia dell’assalto al loro villaggio, si spiegava agli indigeni che Dio era venuto sulla terra.
Che aveva lasciato al suo posto San Pietro.
Che San Pietro aveva lasciato come successore il Santo Padre.
Che il Santo Padre aveva fatto mercé alla regina di Castiglia di tutta questa terra.
Che, quindi, dovevano scegliere tra andarsene o pagare un tributo in oro.
Che, in caso di rifiuto o ritardo, sarebbero stati costretti a scatenare la guerra contro di loro.
Che in seguito sarebbero diventati schiavi, così come le loro donne e figli.
Peccato che questa «Ingiunzione all’Ubbidienza» fosse letta su qualche monte, in piena notte, in lingua spagnola e senza interprete, alla presenza del notaio ma senza alcun indio presente, perché costoro, non avendo la più pallida idea del disastro in arrivo, dormivano beatamente a qualche lega di distanza”.
7) Bertolt Brecht (“Gesammelte Werke”, 1967, postumo):
“Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra ecc.
Solo poche tra queste modalità sono proibite nel nostro Stato”.
8) Guy Debord (“Società dello spettacolo”, 1967):
Tesi 1: “Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto quanto è stato esperimentato direttamente, è diventato rappresentazione, una visione del mondo che si è oggettivata”.
Tesi 4: “Lo spettacolo non è solo un insieme d’immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini”.
Tesi 6: “Inteso nella sua integralità, lo spettacolo è contemporaneamente risultato e progetto del modo di produzione esistente. Non un supplemento del mondo reale o un ornamento aggiuntivo, bensì il nocciolo della mancanza di realismo della società reale”.
Tesi 9: “Nel mondo veramente alla rovescia, il vero è un momento del falso”.
Poiché la modernità scatta con l’arrivo delle caravelle di Colombo a Guanahani, si può affermare che, a livello dell’immaginario collettivo, la sostituzione della realtà con un feticcio ha avuto inizio proprio nel 1492 (Guanahani è il nome indigeno dell’isoletta del gruppo delle Bahama oggi chiamata San Salvador o, in inglese, Watling).
Oggi, la funzione dello spettacolo è simile a quella assunta dalla religione nelle società tradizionali e l’arte nella formazione del capitalismo: trasformare la rappresentazione in un qualcosa che sembra più reale dell’esperienza vissuta, più reale dei nostri stessi bisogni, per ridurre l’individuo alla condizione di spettatore passivo (della politica, della produzione e del consumo) e, in quanto tale, costringerlo ad accettare lo stato di cose esistente.
In permanente esibizione, lo spettacolo trasforma frottole inaudite in credenze diffuse.
La popolazione, inerme e disarmata, assume come verità un sacco di fregnacce.
Due piccoli esempi a mo’ d’illustrazione:
Tesi: “Il denaro è creato dagli Stati tramite le banche centrali.
Antitesi: Le banche centrali (vale anche per la BCE), non ne creano più del 5%.
Svolgimento: Giuseppi deposita 1.000 euro nel suo conto corrente presso la “Banca dei Draghi”. La banca mantiene come riserva il 10% del deposito e presta gli altri 900 euro a Macronics che li usa per acquistare una bara da Pompinus, il proprietario della maggiore impresa di pompe funebri nel mondo. Pompinus deposita i 900 euro nel suo conto corrente presso la “Banca degli Orchi e del Linguaggio nero”. Anche questa si tiene come riserva il 10%. Ne rimangono a disposizione 810 euro per un altro prestito.
Possiamo fermarci qui: grazie al debito, l’offerta monetaria (denaro circolante) e arrivata a 2.710 euro (1.000 euro risparmiati da Giuseppi + 900 euro prestati a Macronics + 810 euro a disposizione della “Banca degli Orchi e del Linguaggio nero”). Così, in breve tempo gli enti finanziari possono arrivare al 1.000% dell’investimento iniziale fatto da Giuseppi.
Sintesi: essendo questa la base reale del funzionamento del sistema finanziario, la funzione creditizia deve essere pubblica.
Naturalmente, l’estrema semplificazione dell’esempio renderebbe necessarie ulteriori precisazioni.
Tesi: Henry Kissinger, Premio Nobel della Pace nel 1973, è un grande statista e un conferenziere di successo.
Antitesi: Henry Kissinger è un criminale seriale che ha avuto un ruolo centrale in tutte le atrocità commesse nel mondo tra il 1969 ed il 1977.
Svolgimento: Una impressionante mole di documenti declassificati dagli archivi ufficiali dal governo degli Stati Uniti nel 2000 (Cristopher Hitchens, “Processo a Kissinger”, 2018)prova che è direttamente responsabile:
– del massacro deliberato di civili in Indocina (1969-1975) e Bangladesh (1971);
– del piano per assassinare il capo dell’esercito di un Paese democratico senza alcun conflitto dichiarato con gli USA (generale René Schneider, Cile, 1970);
– del piano per assassinare il capo di Stato di una nazione democratica (arcivescovo Makarios, Cipro, 1974);
– dei piani genocidi applicati in Timor Orientale (1975-1977);
– del piano di sequestro e assassinio di un ex ministro degli esteri cileno residente a Washington (Orlando Letelier, 1976);
– di coinvolgimento diretto nel massacro di curdi iracheni (1974-1975);
– della destabilizzazione dell’Angola e della successiva guerra civile (1975-1977);
– della repressione condotta dal governo di Reza Pahlevi in Iran (1969-1977);
– del piano d’assassinati in America Latina denominato “Cóndor” (1973-1977);
– ha redatto il Memorandum del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti “NSSM 200” (dicembre 1974), nel quale si definiscono i piani di controllo della natalità da applicare su quelle popolazioni che, abitando in zone ricche di risorse, potrebbero ostacolare il deflusso futuro di queste ricchezze verso gli USA (si veda il Perù di Fujimori, ad esempio).
Sintesi: in base ai precetti del Tribunale di Norimberga sui crimini di guerra, il sempre lodato Kissinger è un genocida oltre ogni ragionevole dubbio.
9) César Vallejo, “Masa”, in “César Vallejo. Opera Poetica completa”, 2008:
“Alla fine della battaglia, e morto il combattente, a lui venne un uomo e disse:
«Non morire, ti amo tanto!» Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.
Gli si avvicinarono in due e insistettero: «Non lasciarci! Coraggio! Ritorna alla vita!»
Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.
Accorsero venti, cento, mille, cinquecentomila, gridando «Tanto amore e nulla possiamo contro la morte!» Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.
Lo circondarono milioni di individui, con una preghiera comune: «Resta fratello!»
Ma il cadavere, ahimè, continuò a morire.
Allora lo circondarono tutti gli uomini della terra. Li vide il cadavere triste, emozionato; si drizzò lentamente, abbracciò il primo uomo; si avviò …”
10) e un pezzo mio, “Gillet Gialli”:
“I programmi delle elite rivoluzionarie hanno sempre cercato di disegnare una società e una organizzazione politica future.
I gesti, le azioni, i metodi di lotta dei popoli indigeni, corrispondevano agli insulti, alle umiliazioni, alla rapina costante subita da loro stessi e dai loro antenati.
Si nutrivano di queste esperienze ereditate e ripetute fino al presente delle loro vite.
La ribellione sorge dal passato e da questo prende le sue ragioni, i suoi motivi ed i suoi metodi. E’ sempre eredità e genealogia.
La rivoluzione che ne deriva – perché non esiste rivoluzione senza una precedente ribellione – abbatte il vecchio ordinamento istituzionale e ne costruisce un’altro. Che, quindi, è programma e politica.
Le motivazioni della ribellione possono non essere contrapposte agli obiettivi politici della rivoluzione, ma sono di sicuro altri (…)
I racconti ed i miti sulle passate ribellioni non s’incentrano mai sulle trasformazioni economiche ma ricordano e celebrano anzitutto momenti e luoghi d’interruzione dell’umiliazione e del mondo a testa in giù. Le trasformazioni interessano, ma sono questi i momenti mitici della rivolta.
In teoria, la Rivoluzione intende perpetuarli, ma tendono a dissolversi, senza scomparire, nel nuovo ordine che la rivoluzione vincente deve per forza stabilire.
Ma, quando l’ordine nuovo diventa autoritario o despotico, com’è avvenuto con buona parte delle rivoluzioni del ‘900, quei racconti e quei miti fanno ritorno ai loro luoghi subalterni e vengono ricreati sotto forme nuove e insolite.
Questo è il lavoro proprio della vecchia talpa”.
11) Walter Benjamin (“Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti, appunti e materiali 1927-1940”):
“Secondo Marx, le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale.
Probabilmente le cose stanno in un altro modo: forse le rivoluzioni sono il freno d’emergenza cui l’umanità in viaggio su questo treno si aggrappa”.