Colombia e Francia: la festa dei nessuno

Colombia e Francia: la festa dei nessuno

“Verrà il momento in cui una riga, l’aria che sconvolse la mia vita,
giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà rompendo pietre, l’operaio si pulirà la fronte,
il pescatore vedrà meglio il bagliore di un pesce che, palpitando,
gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito, appena lavato, pieno del profumo del sapone,
guiderà le mie poesie e queste le diranno, forse, «è stato un compagno»”.

Pablo Neruda, “La grande gioia”

Parto dalla Colombia.

È difficile esagerare sull’importanza della vittoria di Gustavo Petro e di Francia Márquez.

Non si tratta solo di una pietra miliare per il paese, che sarà governato dalla sinistra per la prima volta in oltre due secoli di Stato indipendente, ma ha una proiezione continentale che va tuttavia precisata: dopo le recenti vittorie elettorali in Cile e Honduras – e a condizione che la preannunciata vittoria di Lula si concretizzi in Brasile ai primi di ottobre – rende nitidi i contorni di un nuovo ciclo politico progressista nel subcontinente a partire da basi dove la sinistra era lontana dai governi da diversi anni: Messico, Honduras, Colombia, Perù, Cile.

È fin troppo facile ricordare le difficoltà del ciclo progressista precedente e il fatto che nessuno di questi governi abbia delle progettualità apertamente rivoluzionarie.

Tuttavia, la loro coincidenza temporale permette di pensare a diverse possibilità non indifferenti: concludere decenni di conflitti armati, stati di eccezione e violenza politica in America Latina; reinventare le dinamiche di cooperazione regionale, smantellate dai governi di destra per ragioni di subordinazione agli USA, che saranno decisive per proteggere il ciclo politico dalle scosse che avranno origine negli Stati Uniti, e che possono trasformare il subcontinente in un importante attore regionale stabilizzante in un mondo in crisi.

Intendo dire che in un momento geopolitico drammatico e instabile, la sinistra ha ritrovato un centro di gravità in America Latina. Non mi sembra poco. Anzi: essendo in grado di modificare in senso migliorativo la vita delle maggioranze, le definirei trasformazioni epocali.

In Francia, invece, l’Unione Popolare di Jean-Luc Mélenchon ha ottenuto un risultato elettorale straordinario.

Conviene ricordare che pochi mesi fa le dinamiche politiche di quella sinistra sembravano ferme e immodificabili. Era, sembrava essere, una sinistra in preda all’impotenza e alla rassegnazione.

È vero che le stesse elezioni hanno dimostrato l’aumento della disaffezione alla politica e la crescita dell’estrema destra. Ma è impossibile ignorare il risultato dell’alleanza politica sorta attorno alla chiara leadership di Mélenchon, con un programma ambizioso che ha dato forma ad uno spazio politico innovatore, plurale ed efficace, capace di prendere l’iniziativa e di articolare un discorso radicale con un orizzonte credibile in virtù della sua capacità mobilitante.

Penso che l’Unione Popolare francese abbia dimostrato che gli spazi politici in Europa continuano ad essere instabili, e che le ondate conservatrice e reazionaria non sono inevitabili.

I risultati della Colombia e della Francia dimostrano che il momento politico è terreno di scontro, e che gli immaginari e strumenti programmatici della sinistra possono articolare progetti competitivi e convincenti.

Nei due casi sono state messe in campo candidature forti – la coppia colombiana “Presidente partigiano- Mamma coraggio” è addirittura esemplare – creative, in grado di motivare la loro gente malgrado le condizioni avverse.

Ripoliticizzare il lavoro, la fiscalità, le politiche sociali; costruire orizzonti collettivi basati sulla protezione dell’ambiente e sulla democratizzazione dell’economia; difendere la pace, i diritti sociali, le donne, il femminismo, la capacità del pubblico per garantire cura e protezione in un momento di radicale incertezza… Sono elementi competitivi, capaci di mobilitare a sud e a nord del mondo, laddove la sinistra acquista spazio per la prima volta e laddove cerca di reinventarsi dopo molte esperienze insoddisfacenti o fallimentari.

Né a sud né a nord, né in Colombia né in Francia, questa sinistra ha cercato di indurre speranze cieche o di rendere tutto incomprensibilmente semplice. La lezione che ci lascia il 19 giugno 2022 è che la diffusa sensazione di angoscia e fatalismo è stata sconfitta. Si può fare, l’idea di vincere è sana, viabile e produttiva. Vinceremo è un presente dell’indicativo, non necessariamente un futuro imperfetto.

Gabriel García Márquez – “il più grande colombiano di tutti i tempi” secondo il presidente Gustavo Petro – nel 1982 affermava, in chiusura del suo discorso alla consegna del Nobel per la letteratura:

“Di fronte a questa sconvolgente realtà che nel corso di tutto il tempo umano è dovuta sembrare un’utopia, noi inventori di racconti, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non sia troppo tardi per iniziare a creare l’utopia contraria. Una nuova e impetuosa utopia della vita, in cui nessuno possa decidere per gli altri perfino sul modo di morire, dove sia davvero reale l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla Terra”.

Nel 2022, quarant’anni dopo, più che un’utopia assume i contorni di una profezia.

Penso che in un contesto politico caratterizzato dalla perdita della bussola, la Francia e la Colombia ci parlino di una battaglia trasversale per ridare significato allo Stato.

Lo Stato ritorna come oggetto centrale di una disputa per soddisfare la domanda di protezione e di controllo sociale nei confronti di un mondo sempre più caotico e pericoloso.

Quando il futuro si presenta solo sotto forma di catastrofe o di minaccia, si devono proiettare credibilmente orizzonti di certezza in cui l’azione politica sia fonte di protezione e di stabilità progressiva.

Nel caso europeo, penso, si aggiunge un’ulteriore complessità derivata dall’esaurimento del ciclo politico iniziato con la crisi del 2008.

Oltre la pubblicistica, mi sembra indiscutibile che l’economia politica dell’Europa viva una crisi profonda, aperta, che picchia duro tanto sul piano materiale come su quello ideologico.

La guerra, la crisi energetica e l’inflazione pesano tanto quanto il profondo disorientamento della politica economica ed estera dell’Unione, sprovvista di un’idea egemonica di futuro, di rapporti di forza determinati, di una certezza diversa dalla necessità di un profondo e urgente riorientamento del potere europeo.

È questo il contesto in cui, credo, bisogna leggere il momento geopolitico e il momento sociale, sapendo che spesso non coincidono.

Forse non ci sono stati momenti più critici per la sinistra da decenni ma, forse, non ci sono stati nemmeno momenti più decisivi e potenzialmente più ambiziosi.

Mélenchon e Petro hanno descritto alla loro gente, anzitutto a coloro che avanzano, ai loro nessuno e alle loro nessuna, le grandi opportunità a disposizione per iniziare a rifare l’organizzazione di un mondo che finisce, incapace di contenere il caos.

Chiudo pensando ai “gamines” (ragazzi) della “Città dei bambini” di Bogotà e ai “meninos da rua” descritti da Jorge Amado in “Capitanes de la arena” (1936. “Capitani della spiaggia”, 2001):

“Il sertanejo si arrampicò sulla giostra, dette corda alla pianola e la musica di un valzer antico cominciò a suonare. Il viso cupo del Siccità si aprì in un sorriso. Guardava la pianola, guardava i ragazzi illuminati di gioia. Ascoltavano religiosamente quella musica che usciva dal ventre della giostra nella notte di Bahia, solo per le orecchie di loro avventurieri poveri, i Capitani della spiaggia. Stavano tutti in silenzio. Un operaio che veniva su per la strada, vedendo l’assembramento di ragazzi, si avvicinò. E rimase anche lui immobile ad ascoltare la vecchia musica. Allora il chiarore della luna si stese sopra tutti, le stelle brillarono più intensamente nel cielo, il mare si placò in una vasta calma …, e la città era come un’immensa giostra ove su cavalli invisibili vorticavano i Capitani della spiaggia.  In quel momento di musica si sentirono padroni della città. E si amarono fra loro, si sentirono fratelli, perché tutti loro erano senza tenerezza, senza consolazione, e ora avevano tutti la tenerezza e la consolazione della musica”.

Rodrigo Andrea Rivas

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