Homenaje al Che – Omaggio al Che 3 de junio de 2020 – 3 giugno 2020 Día – Giorno XX
Il Che nel Congo (3/3)
Fidel Castro affermò anni dopo:
“In definitiva, sono stati i leader del Congo a prendere la decisione d’interrompere la lotta e di ritirare i loro uomini. Nella pratica, è stata una decisione corretta: abbiamo verificato che in quel specifico momento non esistevano le condizioni per lo sviluppo di quella lotta”.
L’affermazione è piuttosto discutibile. E più probabile che il Che ed i cubani si siano trovati davanti ad un fatto consumato.
Dopo alcuni giorni a Dar es Salaam, la maggior parte dei cubani ritornò all’Avana. Naturalmente, informarono in dettaglio sulla loro missione.
Victor Dreke iniziava a dirigere un’unità militare che preparava volontari internazionalisti.
Nel 1966 era a capo della missione militare cubana in Guinea-Bissau/Capo Verde, come collaboratore di Amílcar Cabral.
Poi, disimpegnò funzioni simili nella Repubblica di Guinea.
Tornò a Guinea-Bissau nel 1986 rimanendo a capo della missione militare cubana fino al 1989.
Nel 1990 il generale Dreke si è ritirato dal servizio militare attivo assumendo la vicepresidenza dell’Associazione d’amicizia Cuba-Africa.
Jorge Risquet diventò capo della Missione Internazionalista Civile Cubana nella Repubblica Popolare di Angola tra il 1975 e il 1979, con compiti di appoggio ad Agostinho Neto e al MPLA.
Altri membri della forza guerrigliera di Guevara si sarebbero impegnati anni più tardi in Africa.
Il Che Guevara è rimasto per un certo periodo all’ambasciata cubana a Dar es Salaam e scrivere il suo racconto della “campagna congolese”.
Ai primi del 1966 viaggiò a Praga per poi tornare finalmente a Cuba a preparare la spedizione che nel novembre 1966 si sarebbe installata nell’oriente della Bolivia.
Diversamente del Congo, dove era il numero tre (Tatu), in Bolivia volle dirigere il distaccamento.
Il tradimento del Partito Comunista Boliviano, che rifiutò il suo appoggio ai rivoluzionari, isolò fin dall’inizio i guerriglieri cubani.
Nel marzo 1967, ad appena tre mesi del loro arrivo nella zona, i cubani ed i loro alleati boliviani furono scoperti dalle truppe boliviane. Ad aprile furono costretti ad entrare in azione contro l’esercito boliviano.
Senza alcun aiuto esterno, i membri del gruppo guerrigliero sono caduti poco a poco e il loro stato d’animo si è in parte deteriorato.
Ai primi di ottobre, con poche informazioni, senza cibo e con scarse vie di fuga, il Che si è rifugiato in un canalone dov’è stato circondato da forze militari.
Catturato dall’esercito boliviano con altri guerriglieri l’8 ottobre 1967 nel canalone del Yuro, a pochi chilometri del villaggio La Higuera, si è arreso dopo essere stato ferito alle gambe.
Il 9 ottobre 1967 il Che è stato assassinato.
Diversi analisti hanno scritto che, decidendo di continuare la lotta in condizioni disperate, il Che abbia dimostrato che non aveva imparato nulla dalla sua esperienza nel Congo.
A me sembra un’opinione scarsamente condivisibile.
Anzitutto poiché il Che aveva già preso in considerazione questa situazione nel Congo quando prese seriamente in considerazione l’ipotesi di continuare la lotta con “venti uomini ben scelti”.
E soprattutto, perché penso che avesse già analizzato e accettato questa possibilità – la sconfitta e la morte – nell’aprile 1965, quando scrisse la sua lettera di commiato a Fidel Castro rinunciando ai suoi incarichi nella direzione del partito, alla sua carica di ministro, al suo rango di comandante e alla cittadinanza cubana.
Ma la cosa più importante che mi allontana da questa opinione è che, contrariamente a quanto molti pensano, penso che il Che sia un personaggio complesso che poco si presta a semplificazioni.
Penso sia molto rivelatore del suo carattere la frase scritta ai genitori, che vivevano nell’Argentina, prima di partire per il Congo:
“Primo aprile 1965
Cari vecchi:
Sento di nuovo sotto i talloni i fianchi di Ronzinante, riprendo la strada, scudo al braccio”.
Questa è la radice, credo, di una idea concettuale di Guevara come una sorta di Don Chisciotte che intraprende avventure montando sul suo vecchio cavallo per correggere casini e riportare la giustizia nel mondo riuscendo a sopravvivere, malgrado una serie d’incontri disastrosi, con il morale integro fino alla fine.
Penso che in questa idea concettuale del Che non ci sia nulla di falso, salvo il fatto non indifferente di trasformarla nella “verità vera e completa” sul Che, cercando di soddisfare pienamente la vena romantica diffusa tra molte persone che si considerano rivoluzionarie.
Non avendo né le conoscenze né le capacità per analizzare seriamente la sua personalità, mi limito a dire che essendo un uomo integro e versatile, il Che era anche questo.
Comunque, so perfettamente che questa idealizzazione del Che è benintenzionata. Come so che per i malintenzionati, il Che era ed è il demonio fatto persona.
L’avventura in Africa corrispondeva ad una reale possibilità d’influenzare il processo di liberazione regionale?
Personalmente, credo che la possibilità esisteva e vedendo quale è stato il destino successivo del Congo schiavizzato dagli interessi personali di Mobutu ed altri satrapi, che fosse pure giusto e ragionevole.
Certo. So che è ragionevole quanto lo sarebbe dire oggi che, viste le condizioni di estrema disuguaglianza realmente esistenti, una sinistra che si proponga di trasformare radicalmente lo stato delle cose è più che mai necessaria. E che, proprio perché necessaria, potrebbe avere enormi possibilità.
Intendo dire che so bene che le analisi obiettive non bastano. Tanto che, ovviamente, ho posto un falso problema poiché lo sostantivo è che di una tale sinistra non esistono tracce in giro.
Il Che è meno romanticamente comprensivo di quanto ho testé segnalato.
“La rivoluzione in Africa è stata sempre un sogno”, afferma senza ambiguità nei suoi “diari della guerra rivoluzionaria in Congo” (Ernesto “Che” Guevara, “Passaggi della guerra rivoluzionaria. Congo”. Eccellente introduzione della figlia, Aleida Guevara).
Nel suo diario, il Che indica le condizioni che trasformarono questa missione in un sogno o, se si preferisce, le condizioni che rivelarono la realtà di un sogno che si credeva fosse analisi:
- La situazione generale si è rivelata immediatamente talmente problematica da mettere in crisi ogni speranza.
- La miseria nella quale la popolazione è stata mantenuta per secoli continua a far sentire i suoi effetti.
- L’esercito è indisciplinato e mal addestrato, i capi militari non hanno un rapporto sufficientemente stretto con i loro uomini, le divisioni tribali sono fortissime e ostacolano la unificazione delle forze.
Proseguendo nel suo racconto, dopo qualche mese scrive: - Il progetto di formazione di un esercito rivoluzionario mi crolla tra le mani perché il paese sembra non avere capacità di lotta.
Per concludere - Gli insuccessi militari e le diserzioni hanno messo fine alla missione.
Epilogo cubano
Quel passaggio fugace e anonimo del Che Guevara in Africa lasciò un seme che niente e nessuno avrebbe mai più sradicato.
Alcuni dei suoi uomini traslocarono a Brazzaville dove istruirono unità guerrigliere del PAIGC, il Partito per l’Indipendenza della Guinea-Bissau e Capo Verde diretto da Amilcar Cabral, e particolarmente del MPLA.
Una delle colonne da loro addestrate entrò clandestinamente in Angola per incorporarsi alla lotta contro i portoghesi col nome di “Columna Camilo Cienfuegos”.
Un’altra s’infiltrò in Cabinda e più tardi superò il fiume Congo per installarsi nella zona di Dembo, dove era nato Agostinho Neto e dove si lottava contro i portoghesi da cinque secoli.
Malgrado la campagna del Congo diretta dal Che non avesse sconfitto la controrivoluzione nel 1965, una decade più tardi il governo cubano rispondeva affermativamente ad una richiesta d’aiuto di Agostinho Neto, leader del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA).
Si trattava di sconfiggere l’invasione delle Forze di Difesa del Sudafrica (SADF), appoggiate dalla CIA statunitense, che intendeva installare a Luanda un regime fantoccio appoggiato dall’occidente.
Tra il novembre 1975 e l’inizio del 1976, la “Operazione Carlota” ha dispiegato circa 55.000 soldati cubani che aiutarono l’ala militare del MPLA (FAPLA) a sconfiggere l’intervento delle SADF e a consolidare l’indipendenza nazionale dell’Angola.
Le unità militari cubane sono rimaste in Angola 16 anni, lottando accanto alle forze del FAPLA e, anche, ai quadri militari dell’Organizzazione Popolare dell’Africa Sudoccidentale (SWAPO), dell’Esercito Popolare di Liberazione della Namibia (PLAN) e dell’ala armata dell’Africa National Congress (ANC), Um Khonto We Sizwe (MK).
Da dove sono usciti così tanti volontari? Ed erano effettivamente volontari?
Risponde Gabriel García Márquez (“Operación Carlota”, “Granma Internacional Digital”, Giugno 2008).
“La procedura usata per formare le unità di volontari è stata quella di dare un appuntamento privato ai membri della prima riserva. Questa comprende tutti i maschi tra 17 e 25 anni e coloro che sono stati membri delle Forze Armate Rivoluzionarie …
Fin dove l’urgenza della situazione l’ha reso possibile, il criterio di selezione è stato abbastanza rigoroso. Non solo sono state prese in considerazione la qualifica militare e le condizioni fisiche e morali, ma anche i precedenti di lavoro e la formazione politica. Nonostante quel rigore, non si contano i casi dei volontari che sono riusciti ad eludere i filtri di selezione. Si sa di un ingegnere qualificato che si fece passare per autista di camion, di un alto funzionario che riuscì a farsi passare come meccanico, di una donna che è stata sul punto di essere ammessa come recluta. Si sa di un ragazzo che s’è ne andato senza autorizzazione del padre per ritrovarlo dopo in Angola, perché anche suo padre se n’era andato di nascosto dalla famiglia. Viceversa, un sergente di 20 anni non è riuscito a farsi mandare malgrado gli espedienti utilizzati e, per di più, dovette supportare con il machismo ferito, che inviassero sua madre, che è giornalista, e la sua fidanzata, che è medico …
La prima donna che se n’è andata … era stata respinta diverse volte con l’argomento che «si trattava di una cosa molto pesante per una donna ». Era sul punto d’imbarcarsi come clandestina in una nave dove, grazie alla complicità di un amico fotografo, aveva ormai nascosto i suoi vestiti nelle stive, quando venne a sapere che era stata scelta per andarsene legalmente e in aereo”.
Posso capire che l’internazionalismo cubano sia difficilmente comprensibile, più ancora in tempi dominati da buzzurro nazionalismo, ma le brigate mediche cubane dovrebbero averci insegnato qualcosa.
A Cuba, il sentimento internazionalista viene da lontano, certamente almeno dai tempi di Martí, ed il Che n’è un genuino rappresentante.
Gli Stati Uniti ed i loro alleati di Pretoria hanno armato, finanziato e offerto copertura diplomatica a Jonas Savimbi dell’UNITA e a Holden Roberto del FNLA, che avevano installato i loro quartieri generali nel vecchio Congo diventato Zaire dopo la vittoria della controrivoluzione nel Congo-Kinshasa.
L’UNITA si dimostrò il più imponente dei nemici poiché riceveva assistenza diretta dalla CIA e dalle SADF che in quel momento operavano in Africa del Sudovest (Namibia) prima che questa diventasse indipendente nel 1990.
La guerra in Angola è arrivata al suo punto culminante nel 1987-1988 con le battaglie combattute attorno a Cuito Cuanavale in cui le SADF furono sconfitte in modo schiacciante.
Queste sconfitte convinsero il regime razzista di Pretoria ed i governi Reagan e Bush padre, che non era possibile sconfiggere militarmente i movimenti di liberazione.
Nel 1988 è stato dichiarato un alto al fuoco e sono iniziate trattative tra il governo del MPLA ed il regime dell’apartheid.
Gli Stati Uniti ed il Sudafrica non volevano che il governo cubano partecipasse nelle trattative sul ritiro delle SADF del sud dell’Angola e sul processo d’indipendenza della Namibia.
Nonostante, grazie all’appoggio schiacciante dell’OUA e delle forze progressiste nel mondo, i cubani non solo parteciparono alle trattative, ma ebbero un ruolo fondamentale.
In questo processo ritroviamo uno dei luogotenenti del Che nel Congo, Jorge Risquet, capofila della delegazione cubana alle trattative il cui risultato fu il ritiro dell’esercito dell’apartheid dal sud dell’Angola e la liberazione della vicina Namibia da un’occupazione coloniale lunga un secolo.
Alla fine del 1989, elezioni celebrate sotto supervisione internazionale in Namibia portarono alla dichiarazione d’indipendenza il 21 marzo 1990 sotto la leadership del presidente Sam Nujoma dello SWAPO, che le aveva vinto con una maggioranza schiacciante.
L’indipendenza della Namibia e la continuità delle lotte, pacifiche e armate, nel Sudafrica sotto la direzione dell’ANC, portarono alla caduta di P. W. Botha, presidente in quel momento del regime dell’apartheid, e all’ascesa di F. W. de Klerk.
Il nuovo regime fu costretto a trattare per porre fine alla crisi politica del Sudafrica.
Il 2 febbraio 1990 furono legalizzati l’African National Congress, il Partito Comunista del Sudafrica (SACP) ed altre organizzazioni fuorilegge.
Nove giorni dopo, l’11 febbraio 1990, Nelson Mandela veniva rilasciato dopo 27 anni di galera nelle prigioni dei razzisti.
Il Che non vide nulla di tutto questo, ma mi piace pensare che probabilmente se l’è immaginato.
Ritornando ad un aggettivo che ho usato precedente, mi piace pensare che sia riuscito ad immaginarlo in quanto corrisponde alla mia inesauribile vena romantica.
Canta l’uruguaiano Daniel Viglietti:
“Meno male che esistono quelli che non hanno nulla da perdere… Nemmeno la storia”.
EN ESPAÑOL
El Che en el Congo (3/3)
Fidel Castro afirmó años más tarde:
“En definitiva, fueron los líderes de Congo los que tomaron la decisión de interrumpir la lucha y de retirar los hombres. En la práctica aquella decisión fue correcta: habíamos comprobado que las condiciones para el desarrollo de aquella lucha, en aquel momento particular, no existían”.
La afirmación es discutible. Es más probable que el Che y los cubanos se hayan encontrado ante un hecho consumado.
Al cabo de algunos días en Dar es Salaam, la mayor parte de los cubanos volvió a La Habana. Naturalmente, informaron detalladamente de los pormenores de su misión.
Victor Dreke empezó a dirigir una unidad militar que preparaba voluntarios internacionalistas.
En 1966 encabezó la misión militar cubana a Guinea-Bissau/Cabo Verde, donde sirvió junto a Amílcar Cabral.
A continuación desempeñó una función similar en la República de Guinea.
Volvió a Guinea-Bissau en 1986 encabezando la misión militar cubana hasta 1989.
En 1990 el general Dreke se retiró del servicio militar activo y asumió la vicepresidencia de la Asociación de Amistad Cuba-África.
Jorge Risquet se convirtió en el jefe de la Misión Internacionalista Civil Cubana en la República Popular de Angola entre 1975 y 1979, en apoyo de Agostinho Neto y del MPLA.
Otros miembros de la fuerza de guerrilleros de Guevara volverían a implicarse más tarde en África.
El Che Guevara permaneció un periodo en la embajada cubana de Dar es Salaam para escribir su relato de la “campaña congoleña”.
A principios de 1966 viajó a Praga y después volvió finalmente a Cuba a preparar la fuerza expedicionaria que, en noviembre de 1966, se iba a establecer al este de Bolivia.
A diferencia de la situación en Congo donde era el número tres (Tatu), en Bolivia quiso dirigir la fuerza.
La traición del Partido Comunista Boliviano, que negó su apoyo a los revolucionarios, dejó aislados desde el inicio a los guerrilleros cubanos.
En marzo de 1967, solo tres meses después de llegar a la zona, los cubanos y sus aliados bolivianos fueron descubiertos por las tropas bolivianas. En abril se vieron obligados a entrar en acción contra el ejército boliviano.
Sin ayuda externa los miembros del grupo de guerrilleros fueron cayendo poco a poco y su moral fue disminuyendo.
A inicios de octubre, con pocas informaciones, sin viveres y con escasas vías de fuga, el Che se refugió en una quebrada donde fue rodeado por las fuerzas militares.
Capturado por el ejército boliviano junto a otros guerrilleros el 8 de octubre de 1967 en la quebrada del Yuro, a pocos kilómetros de la aldea de La Higuera, se rindió después de ser herido en las piernas.
El 9 de octubre de 1967 el Che fue asesinado.
Diversos analistas han escrito que, decidiendo continuar la lucha en esas condiciones desesperadas, el Che demostró no haber aprendido nada de su experiencia en Congo.
A mi me parece una opinión poco creíble.
Antes que nada porque el Che ya había contemplado precedentemente esa situación en Congo cuando tomó seriamente en consideración la posibilidad de seguir luchando con “veinte hombres bien elegidos”.
Y sobre todo, porque pienso que había ya analizado y aceptado esta posibilidad – la derrota y la merte – en abril de 1965, cuando escribió su carta de despedida a Fidel Castro renunciando a sus puestos en la jefatura del partido, al encargo de ministro, a su rango de comandante y a la ciudadanía cubana.
Pero la cosa más importante es que, contrariamente a lo que muchos piensan, creo que el Che es un personaje complejo que poco se presta a las simplificaciones.
En este sentido pienso que revele mucho de su carácter la primera frase de la carta escrita a sus padres en Argentina, antes de marcharse a Congo:
“1 de abril de 1965
Queridos viejos:
Otra vez siento bajo mis talones el costillar de Rocinante, vuelvo al camino con mi adarga al brazo”.
Esta es también la raíz, creo, de una concepción de Guevara como una especie de Don Quijote que emprende aventuras a lomos de su viejo caballo para enmendar entuertos y traer la justicia al mundo y que, a pesar de una serie de encuentros desastrosos, lograr sobrevivir con la moral intacta hasta el final.
Pienso que no hay nada falso en esta concepción, salvo el hecho no indiferente de querer transformarla en “la verdad verdadera y completa” sobre el Che, sobre todo para satisfacer la vena romántica difusa entre muchas personas que se consideran revolucionarias.
No teniendo ni los los conocimientos ni las capacidades para analizar seriamente su personalidad, yo diría simplemente que, siendo un hombre integro y polifacético, el Che también era esto.
En todo caso, sé perfectamente que esta idealización del Che es bien intencionada. Como sé que para los malintencionados, el Che era y es el demonio en persona.
¿La aventura en África correspondio a una real posibilidad de influir en el proceso de liberación regional?
Personalmente pienso que esta posibilidad existía y viendo el destino sucesivo del Congo, esclavizado por los intereses personales de Mobutu y de otros satrapas, que además era justa y razonable.
Cierto. Sé que es tan razonable como lo sería decir hoy día que, vistas las condiciones de extrema desigualdad realmente existentes, una izquierda que se proponga transformar radicalmente el estado de las cosas es más necesaria que nunca. Y que, precisamente porque es necesaria, podría tener enormes posibilidades.
Quiero decir con esto que sé bien que los análisis objetivos no bastan. Tanto que, obviamente, acabo de poner un falso problema porque lo substantivo es que de dicha izquierda no existe rastros.
El Che es menos romanticamente comprensivo de cuanto acabo de señalar.
“La revolución en África fue siempre un sueño”, afirma sin ambigüedades en sus diarios de “la guerra revolucionaria en Congo” (Ernesto “Che” Guevara, “Pasajes de la guerra revolucionaria. El Congo”. Con excelente introducción de la hija, Aleida Guevara).
En este diario, el Che indica las condiciones que transformaron esta misión en un sueño o, si se prefiere, las condiciones que revelaron la realidad de un sueño que se creía fuese análisis:
- La situación general se reveló inmediatamente problemática al punto de meter en crisis toda esperanza.
- La miseria en la cual la población ha sido mantenida por siglos sigue haciendo sentir sus efectos.
- El ejército es indisciplinado y mal adiestrado, los jefes militares no tienen una relación bastante estrecha con sus hombres, las divisiones tribales son fuertísimas y obstaculan la unificación de las fuerzas.
Prosiguiendo en su relato, pasados algunos meses, anota: - El proyecto de formación de un ejército revolucionario se me desarma entra las manos porque el país parece no tener capacidad de lucha.
Para concluir. - los fracasos militares y las deserciones han puesto fin a la misión.
Epilogo cubano
El paso fugaz y anónimo del Che Guevara por Africa dejó sembrada una semilla que nada ni nadie habría podido erradicar.
Algunos de sus hombres se trasladaron a Brazzaville donde instruyeron unidades de guerrillas para el PAIGC, que dirigía Amílcar Cabral, y en especial para el MPLA.
Una de las columnas entrenadas por ellos entró clandestinamente en Angola y se incorporó a la lucha contra los portugueses con el nombre de “Columna Camilo Cienfuegos”.
Otra se infiltró en Cabinda, y más tarde cruzando el río Congo se implantó en la zona de Dembo, donde nació Agostinho Neto y donde se luchaba contra los portugueses desde hacía cinco siglos.
A pesar de que la campaña de Congo encabezada por el Che no logró derrotar a la contrarrevolución en 1965, una década después el gobierno cubano respondió afirmativamente a una petición de ayuda de Agostinho Neto, líder del Movimiento Popular para la Liberación de Angola (MPLA).
Se trataba de derrotar la invasión de las Fuerzas de Defensa de Sudáfrica (SADF), apoyadas por la CIA estadounidense, cuyo objetivo era instalar en Luanda un régimen títere apoyado por el occidente.
Entre noviembre de 1975 y principios de 1976 con la “Operación Carlota” se desplegaron unos 55.000 soldados cubanos que ayudaron al ala militar del MPLA (FAPLA) a derrotar la intervención de las SADF y a consolidar la independencia nacional de Angola.
Las unidades militares cubanas permanecieron en Angola 16 años luchando junto con las fuerzas del FAPLA y con los cuadros militares de la Organización Popular de África Suroccidental (SWAPO), del Ejercito popular de Liberación de Namibia (PLAN) y del ala armada del ANC, Um Khonto We Sizwe (MK).
¿De dónde salieron tantos voluntarios? ¿Y eran efectivamente voluntarios?
Responde Gabriel García Márquez (“Operación Carlota”, “Granma Internacional Digital”, Junio 2008):
“El procedimiento empleado para formar las unidades de voluntarios fue una citación privada a los miembros de la primera reserva que comprende todos los varones entre los 17 y los 25 años, y a los que han sido miembros de las Fuerzas Armadas Revolucionarias …
Hasta donde lo permitió la urgencia de la situación, el criterio selectivo fue bastante estricto. No sólo se tomaron en cuenta la calificación militar y las condiciones físicas y morales, sino también los antecedentes de trabajo y la formación política. A pesar de ese rigor, son incontables los casos de voluntarios que lograron burlar los filtros de selección. Se sabe de un ingeniero calificado que se hizo pasar por chofer de camión, de un alto funcionario que logró pasar como mecánico, de una mujer que estuvo a punto de ser admitida como soldado raso. Se sabe de un muchacho que se fue sin permiso de su padre, y que más tarde se encontró con él en Angola, porque también su padre se había ido a escondidas de la familia. En cambio, un sargento de 20 años no consiguió que lo mandaran por ningún medio, y sin embargo tuvo que soportar con el machismo herido, que mandaran a su madre, que es periodista, y a su novia, que es médico …
La primera mujer que se fue … había sido rechazada varias veces con el argumento de que «aquello era muy pesado para una mujer». Estaba lista para irse de polizón en un barco, y ya había metido su ropa en las bodegas con la complicidad de un amigo fotógrafo, cuando supo que había sido escogida para irse legalmente y por avión”.
Puedo entender que el internacionalismo cubano sea dificilmente comprensible más aún en tiempos de pueblerino nacionalismo, pero las brigadas médicas cubanas deberían enseñar algo.
En Cuba, es un sentimiento internacionalista que viene de lejos, por lo menos desde Martí, del cual el Che es un genuino representante.
Estados Unidos y sus aliados en Pretoria armaron, financiaron y proporcionaron cobertura diplomática a Jonas Savimbi del UNITA y a Holden Roberto del FNLA, los cuales habían establecido sus cuarteles generales en el viejo Congo que había pasado a llamarse Zaire tras el triunfo de la contrarrevolución en Congo-Kinshasa.
UNITA demostró ser el más imponente de los enemigos ya que recibía asistencia directa de la CIA y de las SADF que entonces operaban en África del Sudoeste (Namibia) antes de su independencia en 1990.
La guerra en Angola llegó a su punto culminante en 1987-1988 con las batallas centradas alrededor de Cuito Cuanavale donde las SADF fueron derrotas de forma aplastante.
Estas derrotas convencieron al régimen racista de Pretoria y a los gobiernos de Reagan y Bush padre, de que no era posible derrotar militarmente a estos movimientos de liberación.
En 1988 se declaró un alto el fuego y se entablaron negociaciones entre el gobierno del MPLA y el régimen de apartheid.
Estados Unidos y Sudáfrica no querían aceptar que el gobierno cubano participara en las negociaciones orientadas a la retirada de las SADF del sur de Angola y al proceso de independencia en Namibia.
No obstante, gracias al apoyo abrumador de la OUA y de las fuerzas progresistas del mundo, los cubanos no solo participaron en las negociaciones sino que desempeñaron un papel fundamental.
En este proceso encontramos nuevamente uno de los lugartenientes del Che en el Congo, Jorge Risquet, que encabezó la delegación cubana en las negociaciones cuyo resultado fue la retirada del ejército del apartheid del sur de Angola y la liberación de la vecina Namibia de una ocupación colonial durada un siglo.
A finales de 1989, elecciones celebradas bajo supervisión internacional en Namibia, llevaron a la declaración de independencia el 21 de marzo de 1990 bajo el liderazgo del presidente Sam Nujoma del SWAPO, vencedor de las elecciones con una abrumadora mayoría.
La independencia de Namibia y las continuas luchas, pacíficas y armadas, en Sudáfrica dirigidas por el ANC, forzaron la caída de P. W. Botha, entonces presidente del régimen apartheid, y el ascenso de F.W. DeKlerk.
El nuevo régimen fue obligado a negociar para poner fin a la crisis política de Sudáfrica.
El 2 de febrero de 1990 fueron legalizados el African National Congress, el Partido Comunista de Sudáfrica (SACP) y otras organizaciones fuera de la ley.
Nueve días después, el 11 de febrero de 1990, Nelson Mandela quedó en libertad tras 27 años de cárcel en las prisiones racistas.
El Che no vio nada de todo esto, pero me gusta pensa que probablemente se lo imaginó.
Volviendo a un adjetivo que he usado precedentemente, me gusta pensar que pudo haberselo imaginado en cuanto corresponde a mi inagotable vena romántica.
Canta el uruguayo Daniel Viglietti:
“Menos mal que existen, los que no tienen nada que perder… Ni siquiera la historia”.