Moreno, il traditore, ha condannato Julian Assange ad una probabile pena di morte
Assange portato fuori a forza dall’ambasciata ecuadoriana di Londra da agenti britannici. Estratto dal video dell’agenzia russa Ruptly
“Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì”
Augusto Monterossa[1]
L’11 aprile 2019 è stata una giornata funesta, per i libici, per i profughi, per le tante popolazioni abbandonate da Dio e perseguitate dagli uomini, e per l’informazione.
La cattura di Julian Assange – grazie alla complicità del presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno – ha creato un penoso precedente per la violazione impune dei diritti umani, del diritto d’asilo, della libertà di stampa, della cittadinanza ecuadoregna, della sovranità nazionale, della legalità diplomatica, della democrazia, della pace e delle libertà.
Mai alcuna polizia si era spinta fino a prendere un esule da un’ambasciata. Nemmeno quella dei governi Pinochet, Videla o Banzer. E ne parlo con conoscenza di causa.
Qualcuno potrebbe argomentare che in questo caso è stato il governo del Paese stesso, e cioè l’Ecuador, a sollecitare l’intervento.
Posso dire che, nel nostro caso, alcuni Paesi si rifiutarono di ricevere dei fuggiaschi (tali eravamo prima di entrare nelle ambasciate). Lo fecero, mi ricordo, gli inglesi e i cinesi (quelli di Mao, off course). Forse anche altri, perché la storia dell’infamia è sempre lunga. Ma si adoperarono per non farci entrare, ben sapendo che poi non sarebbe stato possibile consegnarci.
Ovvero, Moreno ha superato un altro scalino nella scala dell’infamia. Era stato eletto, non tanto tempo fa, dalla sinistra ecuadoriana.
Il fatto è, dice una voce popolare, che è meglio stare attenti agli amici, augurandosi che dai nemici ci protegga Dio. Lo ricordo anche perché sono allergico alle formule fideistiche, di qualsiasi tipo.
L’attacco ai diritti umani e cittadini di Julian Assange è iniziato poco dopo l’elezione di Moreno quando il traditore ha iniziato a trattare coi governi statunitense e britannico sul destino della testa – in senso letterale – del giornalista australiano.
Col veloce progredire delle trattative, Assange ha smesso di essere un esule. Un esule non ha privilegi, non si capisce perché dovrebbe averli, ma ha alcuni diritti della cui protezione deve rispondere lo Stato al quale si è affidato. Mentre è confinato nella sede diplomatica, il diritto internazionale enumera tra queste la salvaguardia della sua salute e della sua vita[2]. La prima di queste, ovviamente, va intesa nel contesto delle possibilità del Paese ospitante.
Il risultato, detto senza perifrasi, è stato che Lenin Moreno ha permesso che all’interno della sua sede diplomatica a Londra fosse violato il diritto d’asilo di Assange, facendo precedere questa decisione da una lunga serie di restrizioni imposte all’esule che hanno creato una situazione assai vicina alla tortura.
Ovvero, ad Assange non sono state garantite né la salute né la vita poiché l’ambasciata ecuadoriana a Londra è diventata una sorta di dépendance del carcere di Guantanamo.
Questo andazzo, applicato da mesi se non anni in ottemperanza al diktat di Washington, faceva prevedere che Assange sarebbe finito nelle mani del governo britannico. Lo scopo non è tenerselo, ma è quello di deportarlo negli USA, malgrado con un piccolo passaggio da Stoccolma per diluire le responsabilità.
Poiché il fondatore di Wikileaks non può essere ritenuto uno sprovveduto, è logico pensare che abbia sempre saputo a quali rischi si esponeva scontrandosi con la massima potenza mondiale e con i suoi principali alleati in condizioni di bruttale svantaggio.
Eppure, conviene ricordarlo, la sua piccola organizzazione, con risorse, umane e finanziarie, molto limitate, è riuscita a mettere in difficoltà diversi governi, anzitutto quello statunitense, e a mettere in evidenza la complessa rete di rapporti e di complicità e sudditanze globali di cui Washington dispone.
Penso che per compiere, se non addirittura per concepire, un’impresa di queste dimensioni, si debba essere dotati quantomeno di un’eccezionale capacità di comprensione del mondo, di un obiettivo chiaro e di un programma d’azione definito.
Julian Assange e la sua organizzazione avevano queste tre condizioni. Quindi, la storia di Assange non può essere raccontata come la storia di un avventuriero birichino né come quella di un enfant terrible dell’informatica. Invece, se si guardano i media occidentali, lo presentano proprio così, pur se c’è qualche importante eccezione[3]. Sono gli stessi media che ingrassarono grazie proprio ai materiali informativi che Wikileaks consegnò loro a titolo assolutamente gratuito.
Presentandolo come “l’hacker australiano”, intendono negarli la qualità di giornalista (che non dipende da un tesserino), di pensatore e di attivista. È un’opera di copertura per questa persecuzione planetaria.
La persecuzione contro Assange è iniziata lo stesso giorno, il 28 novembre 2010, in cui il giornalista australiano fece filtrare – attraverso il portale Wikileaks – 251.287 documenti del governo statunitensi contenenti informazioni e istruzioni dettagliate su “Crimini di Stato” e “Azioni illegali, d’intervento e spionaggio, svolte contro politici stranieri e dirigenti dell’ONU tramite le loro missioni diplomatiche”. A corredo, arrivarono successivamente altri documenti militari segreti relativi alle invasioni e successive guerre in Iraq e in Afghanistan, alle violazioni dei diritti umani della popolazione civile in diverse aree del mondo da parte delle truppe statunitensi, all’intromissione diretta di alti membri del governo statunitense, anzitutto di Hillary Clinton, negli affari interni della Libia, della Siria, dell’Iran, del Venezuela, del Messico e di molte altre nazioni, molte di queste “amiche” e “alleate”.
Solo perché attuali, ricordo che nei diversi documenti diffusi da Wikileaks sui piani preparati per rovesciare il governo del Venezuela, ritornano più volte le ipotesi di sabotaggio del servizio elettrico eseguito proprio in questo periodo.
Il 7 dicembre 2010 Assange è stato arrestato a Londra da Scotland Yard dopo che il governo svedese ne aveva chiesto l’estradizione per “reati sessuali”, in seguito alla presentazione di una denuncia da parte di due donne che l’accusavano di avere avuto rapporti sessuali con loro “senza adoperare il preservativo”.
Pochi giorni dopo, però, i tribunali svedesi ritirarono l’accusa dimostratasi del tutto inconsistente. Quindi, Assange è uscito dal carcere previo pagamento di una cauzione di 245.000 sterline, circa 285.000 euro.
Tuttavia, il rischio continuava ad essere alto poiché, se Assange fosse stato arrestato nuovamente con qualsiasi pretesto, avrebbe potuto essere estradato negli USA per essere processato da una Corte marziale per spionaggio, col concreto rischio di essere condannato alla pena capitale.
Quindi, il 19 giugno 2012 Assange si è rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra previo accordo col governo ecuadoriano presieduto allora da Rafael Correa nel quale Moreno il traditore fungeva da vice. E com’era avvenuto tanti anni prima ad Haya de la Torre a Lima, non è mai più uscito dalla sede diplomatica malgrado nel frattempo il governo ecuadoriano gli avesse concesso la cittadinanza.
Traditore deriva dal latino tradĭtor, “chi consegna”, in particolare “chi consegna con tradimento”.
Spiega il conte Ugolino della Gherardesca a Dante mentre addenta in maniera bestiale il cranio del traditore, l’arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini:
“Ma se le mie parole esser dien seme Che frutti infamia al traditor ch’i’rodo”[4].
Ugolino intendeva imprimere sul traditore il “marchio d’infamia”, il bollo che veniva impresso a fuoco sul corpo dei condannati.
Io spero solo che gli ecuadoriani, e non solo loro, non siano colpiti da una colossale e collettiva perdita di memoria.
Credo che Neruda avrebbe aggiunto il cognome Moreno alla sua, forse, ultima poesia, “Las satrapías” (I satrapi), che manipolava un suo testo contenuto nel “Canto Generale” (1950) allora dedicato ai dittatori centroamericani:
“Nixon, Frei y Pinochet hasta hoy, hasta este
amargo mes de septiembre del año 1973,
con Bordaberry, Garrastazú y Banzer, hienas voraces
de nuestra historia, roedores de las banderas conquistadas con tanta sangre y
tanto fuego, encharcados en sus haciendas, depredadores infernales, sátrapas
mil veces vendidos y vendedores, azuzados por los lobos de Nueva York, máquinas
hambrientas de dolores manchadas en el sacrificio de sus pueblos martirizados, prostituidos
mercaderes del pan y del aire americano, cenagales, verdugos, piara de prostibularios
caciques, sin otra ley que la tortura y el hambre azotada del pueblo[5].
La rabbia, come la stella della speranza, continua ad essere nostra. Bisogna curarla, senza astio ma senza oblio.
R. A. Rivas
13
aprile 2019
[1] Augusto Monterossa, “El dinosaurio”, racconto breve contenuto in “La Vaca”, Editorial Aguilar, Madrid 1996. Tr. it. “Il dinosauro”, in “Opere complete (e altri racconti)”, Omero, Roma 2013.
[2] Vedere “”Caso Haya de la Torre” sulla controversia nata dall’asilo politico concesso dalla Colombia al fondatore dell’APRA peruviano, Víctor Raúl Haya de la Torre https://es.wikipedia.org/wiki/Caso_Haya_de_la_Torre.
Il 3 ottobre 1948 scoppiò nel Perù una rivolta militare repressa lo stesso giorno. Il giorno dopo, è stato pubblicato un decreto in cui si accusava un partito politico, Alianza Popular Revolucionaria Americana (APRA), ed il suo capo, di avere preparato e diretto la ribellione. Il 4 gennaio 1949, l’Ambasciatore della Colombia informò il governo peruviano che il suo Paese aveva concesso asilo politico ad Haya de la Torre e sollecitò la concessione di un lasciapassare perché lo stesso abbandonasse il Paese. Dopo mesi di discussione il caso fu sottoposto alla Corte Internazionale di Giustizia. Malgrado questa avesse deciso a suo favore, il governo peruviano emise il lasciapassare soltanto il 6 aprile 1954. Vedere Armando Caicedo Garzón, “Clave 1949 Asilo de Haya de la Torre”, “El Tiempo”, Lima 17 febbraio 1992 https://www.eltiempo.com/archivo/documento/MAM-37243
[3] Marco Travaglio, “Assange chi?”, “Il fatto quotidiano”, Roma 13 aprile 2019 https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/04/13/assange-chi/5106909/
[4] Dante Alighieri, “La divina commedia”, Canto XXXIII.
[5] “Nixon, Frei e Pinochet fino ad oggi, fino a questo amaro mese di settembre dell’anno 1973, con Bordaberry, Garrastazú e Banzer, iene voraci della nostra storia, roditori degli spazi conquistati con tanta sangue e tanto fuoco, impantanati nei loro orticelli, predatori infernali, satrapi mille volte venduti e traditori aizzati dai lupi di New York, macchine affamate di sofferenze, macchiate dal sacrificio dei loro popoli martirizzati, mercanti prostituiti del pane e dell’aria americani, ciarlatani, boia, branco di cacicchi da lupanare, senz’altra legge che la tortura e la fame che frusta il popolo”. Il poema è datato “En algún lugar de Chile” (da qualche parte in Cile), 12 settembre 1973. Pablo Neruda è morto il 23 settembre 1973.