La scarsità artificiale dei vaccini
Secondo la storia ufficiale, capitalismo e democrazia sono inseparabili. Negli ultimi anni, la sinistra ha tranquillamente accettato quest’identificazione.
E invece, è solo propaganda: la democrazia è una conquista popolare.
Sotto il capitalismo, la democrazia formale ha avuto bisogno di secoli per affermarsi e, fino ai primi decenni del XX secolo, i regimi liberali non possono essere definiti democratici neppure nel senso molto limitato che oggi si dà al termine: quasi dovunque il suffragio era ristretto ai proprietari di beni immobili, votavano solo gli uomini, il pluralismo politico era estremamente limitato e le tendenze alternative normalmente fuori legge.
La situazione inizia a modificarsi solo nel secondo decennio del XX secolo, nel convulso periodo compreso tra la Rivoluzione russa e gli anni successivi alla crisi del ’29, in cui la minaccia congiunta della rivoluzione e della crisi rese indispensabile creare un ampio consenso attorno al capitalismo che includesse il proletariato ed i suoi rappresentanti.
Con i governi di Roosevelt negli USA e del Fronte Popolare in Francia, ma anche al margine delle democrazie liberali, si stabiliva un accordo sociale basato sullo scambio tra la disciplina sociale e lavorativa e la protezione ed i diritti sociali, consolidatosi in Europa e negli USA nel secondo dopoguerra, che ha permesso la messa in piedi di regimi capitalisti democratici con un importante contenuto “sociale” e influenza delle sinistre. Solo allora il capitalismo ammetteva un margine di rivendicazione dei diritti sociali e un certo gioco politico pluralista e democratico, pur contenuto nei limiti fissati dal sistema della rappresentanza, la “democrazia dei partiti” e la preservazione delle condizioni necessarie al funzionamento del capitalismo stesso.
A livello generale l’idillio capitalismo-democrazia è durato meno di 40 anni.
Nei Paesi centrali le prime “giunte civili” in sostituzione dei governi eletti sono state varate solo nel 2011, ma il rapporto è in crisi fin dagli Anni ’70, quando le conquiste popolari nei Paesi centrali e l’indipendenza dei Paesi del Terzo Mondo – con il conseguente aumento dei salari e delle materie prime – hanno ridotto drasticamente il tasso di profitto.
Sempre negli Anni ’70, la Commissione Trilaterale assimilava il calo dei profitti alla “crisi della democrazia e della governabilità”. La soluzione era la controrivoluzione neoliberista. Il gigantesco travaso di rendite, di ricchezza e di potere all’oligarchia internazionale sarebbe avvenuto tramite l’intensificazione della globalizzazione e dell’accumulazione per esproprio.
La prima conseguenza temporale di questo programma è stata la diffusione delle dittature nei Paesi periferici.
Nei Paesi centrali i governi hanno continuato ad essere eletti dalla maggioranza della popolazione e gli interessi privati sono rimasti – salvo eccezioni – diversi dall’interesse pubblico. Ma, con la sempre più accentuata declinazione dell’interesse collettivo in termini di redditività mercantile, la democrazia ha perso i suoi contenuti, e il predominio della sindrome TINA ha reso impossibili ogni politica socialdemocratica e ogni alternativa reale interna al sistema.
Il neoliberismo ha iniziato mettendo subito in discussione lo Stato sociale: “La crisi economica rende impossibile mantenerlo”. Oggi assistiamo ad una coda in chiave pensionistica.
È vero il contrario: la messa in discussione dello Stato sociale ha originato la crisi. Per provocarla, i neoliberisti sono ricorsi alla forma da sempre più effettiva: generare disoccupazione. Chi deve accettare qualsiasi condizione per sopravvivere, diventa fragile personalmente, mentalmente e socialmente, più manipolabile e più disciplinato.
Per aumentare deliberatamente la disoccupazione e disciplinare i lavoratori, si applicarono politiche destinate a creare artificialmente scarsità: aumento dei tassi d’interesse – per frenare gli investimenti produttivi e arricchire i proprietari di denaro – riduzione dei salari – per ridurre i consumi e aumentare i profitti delle grandi aziende con mercati vincolati – aumento del disavanzo pubblico e del debito, per rallentare l’economia e aumentare la resa del capitale finanziario.
L’effetto di queste pratiche è come quello che si ottiene affondando costantemente il freno di un veicolo: diminuisce la velocità di crociera e aumentano il consumo di energia e il deterioramento dell’insieme del macchinario.
In economia diminuisce il tasso di crescita dell’attività economica e aumenta la disoccupazione.
Gli effetti s’ingigantiscono quando avvengono – come negli Anni ’80-’90 – nel corso di una rivoluzione tecnologica, che aumenta la produttività e, non accompagnata da una riduzione della giornata lavorativa e da politiche di spesa espansive, moltiplica gli effetti della frenata.
È esattamente ciò che le politiche neoliberiste hanno provocato.
La creazione artificiale di scarsità ha distrutto l’insieme dell’economia, diminuito la provvigione di beni e servizi e arricchito spettacolarmente il capitale finanziario (che si arricchisce al ritmo di crescita del debito) e le grandi imprese, che dominando i mercati dispongono di una clientela vincolata e/o di una gran massa di liquidità da investire sui mercati finanziari.
Forse alcuni governanti non si sono accorti di questa perversione, ma visto che è successo e succede, l’ignoranza non può essere una scusante.
Il capitalismo creatore artificiale di scarsità si è dato molto da fare con i vaccini.
Quando l’epidemia si è estesa, tutte le autorità mondiali hanno riconosciuto una verità elementare e logica: la soluzione era una vaccinazione massiccia e veloce della popolazione.
La presidenta della Commissione Europea è arrivata a sostenere che i vaccini dovevano diventare un bene pubblico e che, “per svilupparli la UE ha investito miliardi”. Nel gennaio 2021, persino gli orchi dell’FMI chiedevano “una distribuzione universale di vaccini … a prezzi accessibili per tutti”.
È avvenuto l’opposto: i governi dei Paesi arricchiti non accettano che i vaccini si producano e distribuiscano massicciamente a prezzi accessibili a tutti. Si crea scarsità, questa volta non per disciplinare i lavoratori ma per garantire i profitti ed il potere delle grandi farmaceutiche.
Per sviluppare vaccini universali è indispensabile la collaborazione tra scienziati e produttori di tutto il pianeta, ma per farlo dovrebbero mettersi a loro disposizione le conoscenze e tecniche che la renderebbero fattibile.
Come sostiene la stragrande maggioranza dei Paesi, ogni tipo di organizzazioni, di centro di ricerca, di chiese…, e persino la popolazione laddove è stata consultata (il 73% nel Regno Unito) è impossibile farlo senza sospendere i brevetti ed i diritti di proprietà intellettuale.
Ma i governi dei Paesi arricchiti continuano ad opporsi.
E non solo. Per soddisfare gli interessi di Big Pharma la produzione di vaccini viene mantenuta sotto il suo potenziale. Come?
- Si utilizza solo un 43% della capacità esistente per produrre i vaccini già approvati (UNICEF, for every child, COVID-19 Vaccine Market Dashboard”;
- Senza accesso ai brevetti, i tre maggiori produttori di vaccini lavorano solo per l’1,5% della popolazione mondiale, molto al di sotto delle loro capacità potenziali (OXFAM, Monopolies causing «artificial rationing» in COVID-19 crisis as 3 biggest global vaccine giants sit on sidelines);
- Malgrado la scarsità le aziende, che con l’accordo dei governi dominano il mercato, negano la possibilità di produrli a chi potrebbe farlo immediatamente. Ad esempio, all’azienda danese Bavarian Nordic, che potrebbe produrre quasi 250 milioni di vaccini annui;
- Nell’India, un’azienda produce milioni di vaccini ma esistono almeno altre venti fabbriche (e molte altre in altri Paesi) in grado di produrli immediatamente se solo avessero accesso ai brevetti;
Le conseguenze sono assurde e apertamente criminali: miliardi di persone dei Paesi più poveri restano al margine della vaccinazione; i Paesi arricchiti dispongono del 60% delle vaccinazioni pur avendo solo il 16% della popolazione. I più poveri non hanno nulla: a metà del 2021, un terzo degli umani non aveva visto nemmeno una dose.
Secondo “The Economist, oltre 85 Paesi non disporranno di un numero adeguato di vaccini fino al 2023.
Ma i Paesi arricchiti hanno acquistato tre volte il quantitativo necessario per vaccinare tutta la loro popolazione (il Canada cinque volte).
È un genocidio e una stupidità per partita quadrupla, perché l’accumulo di vaccini nei Paesi arricchiti non può risolvere una pandemia globale le cui mutazioni (varianti) possono avere luogo in qualsiasi Paese dove il vaccino non sia arrivato.
Perché, secondo la Camera di Commercio Internazionale (ICC): “finanziare la vaccinazione in tutti i Paesi del mondo costa 338 volte di meno di quanto costeranno i danni derivati dal non farlo” (“No economy can recover fully from the COVID-19 pandemic until we have secured equitable global access to effective vaccines”).
Perché crea razionamento anche all’interno dei paesi arricchiti. È avvenuto in Italia per buona parte del 2021. Avviene ora in Romania o Bulgaria.
Perché rispondere alla scarsità provocata da loro stessi restringendo le esportazioni, non migliora i rifornimenti interni né quello globale e provoca risposte dello stesso tenore che già hanno messo in crisi le catene di approvvigionamento globali.
Conclusione analitica
La pandemia non si combatte nel modo che gli stessi leader mondiali affermavano di dover fare perché questi leader non sono capaci o non vogliono limitare l’avarizia di pochi.
Conclusione giudiziaria
Scriveva nel 1845 Friedrich Engels: “La morte delle vittime del disordine sociale provocato dalle classi interessate a provocare tale disordine, è un omicidio sociale” (“La situazione della classe operaia in Inghilterra”). Sono trascorsi quasi due secoli.
Conclusione cantata
In “Por qué los pobres no tienen”, Violeta Parra canta: “Por eso las procesiones, las velas y las alabanzas” (perciò le processioni, le candele e le lodi). I moderni, invece delle processioni abbiamo vertici, al posto delle candele sfilate di jet e abbondanti libagioni. E i nostri aedi, invece delle lodi al Signore, lodano i loro governi.
Solo che se “la ragione non può fiorire senza speranza, la speranza non può parlare senza ragione” (Ernst Bloch, “Il principio speranza”, 1959).