Giornata mondiale contro il lavoro minorile

Giornata mondiale contro il lavoro minorile

© Rod Waddington

160 milioni di bambini al lavoro, oltre la metà sono africani, quasi la metà svolge lavori pericolosi

Secondo i media italiani, pur se piuttosto cresciutelli le ragazze ed i ragazzi partecipanti al G-7 riuniti in Scozia hanno ascoltato estasiati la dissertazione di Super Mario sulle magnifiche prospettive dell’economia mondiale.
Tuttavia, i guastafeste – o aspiranti tali – non mancano mai.
La nostra fortuna è che i media nemmeno se ne accorgono.

Infatti, noncuranti di cotanta estasi ed in piena esibizione della bella criniera di Boris Johnson, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e l’UNICEF hanno reso noto il loro rapporto “Child labour: 2020 global estimates, trends and the road forward” (“Lavoro minorile: stime globali 2020, tendenze e percorsi per il futuro”), basato sull’estrapolazione dei dati di 106 indagini che coprono più del 70 per cento della popolazione mondiale dei bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni.

Il rapporto di questi pericolosi agitatori nemici dell’allegria e delle estasi religiose rende noto che:

  • Quasi il 28% dei bambini tra i 5 e gli 11 anni e il 35% dei bambini tra i 12 e i 14 anni non vanno a scuola.
  • “Il numero di bambini costretti in lavoro minorile è salito a 160 milioni nel mondo, più 8,4 milioni negli ultimi quattro anni”.
  • “92 milioni di questi sono africani (…) Quasi un bambino africano su cinque lavora, contro una media di uno su dieci nel resto del mondo”.
  • Il settore agricolo rappresenta il 70% dei bambini occupati in forme di lavoro minorile (112 milioni), seguito dal 20% nei servizi (31,4 milioni) e dal 10% nell’industria (16,5 milioni).
  • La prevalenza del lavoro minorile nelle aree rurali (14%) è quasi tre volte superiore a quella delle aree urbane (5 per cento).
  • “Il numero di bambini da 5 a 11 anni costretti a lavorare supera di poco la metà della cifra totale”.
  • “Tra il 2016 e il 2019 i minori tra 5 e 17 anni occupati in lavori pericolosi – quelli che possono danneggiare la loro salute, sicurezza o moralità – è passato da 72,5 a 79 milioni”.
  • Il lavoro minorile è più diffuso tra i ragazzi che tra le ragazze ad ogni età ma il divario di genere nel lavoro minorile si riduce nel lavoro domestico svolto per almeno 21 ore a settimana.
  • “Altri 9 milioni di bambini possono essere costretti al lavoro entro la fine del 2022 a causa della pandemia, ma un modello di simulazione mostra che questo numero potrebbe salire a 46 milioni se questi bambini non hanno accesso alla protezione sociale”.
    “Il lavoro minorile compromette l’istruzione dei bambini, restringe i loro diritti, limita le loro opportunità future e porta a un ciclo vizioso di povertà e lavoro minorile che ha un impatto su diverse generazioni”.

Che fare?
Per invertire la tendenza all’aumento del lavoro minorile, l’ILO e l’UNICEF chiedono:

  • Un’adeguata protezione sociale per tutti, comprese le prestazioni familiari universali.
  • L’aumento degli investimenti a favore di un’istruzione di qualità e il ritorno di tutti i bambini a scuola anche per i bambini che non andavano a scuola prima del COVID-19.
  • La promozione del lavoro dignitoso per gli adulti, affinché le famiglie non debbano ricorrere al lavoro dei loro bambini per generare reddito familiare.
  • Porre fine agli stereotipi di genere e delle discriminazioni che hanno un impatto sul lavoro minorile.
  • Investimenti in sistemi di protezione dell’infanzia, sviluppo agricolo, servizi pubblici rurali, infrastrutture e mezzi di sostentamento.

Per fortuna, il rapporto pubblicato in occasione della “Giornata mondiale contro il lavoro minorile” che si celebra il 12 giugno di ogni anno, non dovrebbe essere stato reso noto ai nostri aspiranti al ruolo di incantatori di serpenti.
E’ lecito supporlo perché non si è sentito parlare di un aumento delle dissenterie tra i convenuti, perché UNESCO e OI non sono stati incorporati all’elenco delle organizzazioni terroristiche e/o fiancheggiatrici della Cina e perché le associazioni imprenditoriali non hanno fatto sentire le loro “vibranti proteste”.
Finora.

Rodrigo Andrea Rivas

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