46 anni dopo la liberazione di Saigon
Giai Phong!
30 aprile 1975.
Ultimo atto della guerra di Vietnam
Saigon è in mano ai vietcong mentre l’ambasciatore statunitense fugge precipitosamente in elicottero.
Il 2 luglio del 1976 nascerà la Repubblica Socialista del Vietnam.
Si concludeva uno dei conflitti più feroci del XX secolo, durante il quale vennero lanciati esplosivi in un numero superiore a quelli utilizzati su tutti i fronti della Seconda guerra mondiale.
4 milioni di civili e un milione di soldati erano morti tra i vietnamiti.
58.226 erano i morti tra i soldati USA
Il numero di feriti, di mutilati e di invalidi resta imprecisato.
La guerra ebbe ripercussioni enormi nella metropoli. I racconti dal fronte dei soldati statunitensi sui massacri di civili e sulla violenza dei combattimenti colpirono profondamente l’opinione pubblica statunitense (e non solo).
Nacque un rilevante movimento pacifista e di contestazione alla politica estera aggressiva degli Stati Uniti, che e portò a cambiamenti epocali nella società, tra cui l’abolizione della leva obbligatoria nel 1973.
L’esito del conflitto sancì la sconfitta della superpotenza USA e segnò la politica estera successiva.
L’opposizione alla guerra era iniziata nei campus delle università dove l’attivismo politico studentesco di sinistra raggiunse limiti fino allora impensabili.
Migliaia di giovani statunitensi scelsero la fuga in Canada o in Europa occidentale per evitare la coscrizione.
La si poteva evitare anche per riconosciuta pazzia ma, come ci insegnò il film “Comma 22”, chi si dichiarava pazzo per non andare in guerra era, ovviamente, sano.
A Cassius Clay, in seguito Muhammad Ali, verrà tolto il titolo mondiale dei pesi massimi per rifiutarsi a prendere parte al conflitto poiché “nessun vietacong mi hai mai chiamato negro”.
Lo stesso giorno dovranno dimettersi “quasi tutti gli uomini del presidente Nixon”, il criminale che aveva ordinato i bombardamenti al napalm in tutta l’Indocina, organizzato tramite il suo sicario principale, Henry Kissinger, colpi di Stato e omicidi in tutta l’America Latina, truffato il mondo intero con l’annullamento deciso unilateralmente della convertibilità del dollaro.
I suoi non si dimettevano per questi motivi, ma perché, sempre truffatore, Nixon era stato scoperto con le mani nella marmellata.
La tentata truffa elettorale denominata “Scandalo Watergat” lo costringerà poco dopo alle dimissioni.
Ma, credo, senza la sconfitta vietnamita avrebbe dominato ancora a lungo la politica del suo paese.
Ricordo nitidamente quel 30 aprile.
Dagli elicotteri statunitensi ripresi dalla TV non si ascoltava la cavalcata dalle walkirie come in “Apocalypse Now”
Robin Williams non era alla console per decretare “Good bye Vietnam”. Sul tetto dell’ambasciata statunitense veniva issata una bandiera rossa.
È stato uno dei momenti indimenticabili della storia recente.
L’ho celebrato, anche, riascoltando Victor Jara, massacrato dagli amiconi di Nixon quasi due anni prima nello Stadio Cile a Santiago:
“Il diritto di vivere, poeta Ho chi Minh
Che convochi dal Vietnam, tutta l’umanità
Nessun canone cancellerà, dal solco della tua risaia, il diritto di vivere in pace”:
Giai Phong!, Liberazione!