BUON PRIMO MAGGIO 2022
Viviamo in tempi di guerra,
come sempre, più di sempre.
Sui media la propaganda impazza,
come sempre, più di sempre.
La chiamano informazione.
Orde di nuovi guerrafondai si sono
aggiunte,
continuano ad aggiungersi,
ad orde di vecchi guerrafondai
in servizio attivo permanente.
Piazzisti di armi si sgolano in TV:
“Non disertate”.
Adoperano persino il nome di Leonardo.
Travolti da tanta mascalzonaggine slittiamo, forse, verso il peggio,
incamminandoci come vecchi caproni con autentica nonchalance,
rivelatrice del nostro scarso acume,
verso il mattatoio.
Non è un tempo senza sole, ma spesso siamo soli
Ci vogliono soli, ci addestrano alla solitudine, e hanno spesso successo.
Me lo dicevo stamane, da solo.
Bisogna riprendere ciò che ci è proprio: andare e venire, essere, cercare, dubitare, pensare, fare, cantare, ritrovarci.
È necessario per iniziare a riprenderci ciò che ci è stato tolto, ovvero tutto.
“En la calle, codo a codo, somos mucho más que dos”,
“Sulla strada, gomito a gomito, siamo molto più di due”,
ce l’ha insegnato Mario Benedetti.
Nonostante lo strepitio creato dagli amanti degli elmetti (da esibire),
la vita continua ad essere più forte della morte,
come sempre, più di sempre.
Perciò, mi sono permesso di proporvi questa vecchia poesia di Bertolt Brecht.
Lui la dedicò a coloro per i quali,
immagino pensasse,
la sua generazione sarebbe stata solo preistoria della memoria.
La dedica è sempre la stessa.
Non è una poesia allegra, ma presumo che nel 1939 fosse difficile essere allegro.
“Venite a vedere il sangue sulle strade”, “Ti ricordi Federico?”,
aveva scritto Neruda.
La stupidità e la stoltezza vinceranno ancora?
Non ci credo.
A COLORO CHE VERRANNO
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta.
Una fronte distesa indica insensibilità.
Chi ride, la notizia atroce non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere degli alberi è quasi un delitto perché su troppe stragi comporta silenzio?
È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è solo un caso.
Nulla di quel che faccio m’autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano.
(Basta che il vento giri, e sono perduto).
“Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di poterlo fare”.
Ma come posso mangiare e bere, quando quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
Eppure, è vero: mangio e bevo.
Vorrei essere un saggio.
Nei libri antichi è descritta la saggezza: lasciare le contese del mondo e trascorrere senza paura il tempo breve.
Spogliarsi della violenza,
rendere bene per male.
Ma non posso davvero farlo.
Vivo in tempi bui!
Nelle città venni al tempo del disordine, quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte, e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo che sulla terra m’era stato dato, passò.
Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi tra gli assassini.
Feci all’amore senza badarci
e guardai la natura con impazienza.
Così il tempo che sulla terra m’era stato dato, passò.
Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva consegnandomi al carnefice.
Poco era in mio potere.
Speravo, almeno, che i potenti facessero a meno di me.
Così il tempo che sulla terra m’era stato dato, passò.
Le mie forze erano misere.
La mia meta molto remota.
Potevo scorgerla chiaramente pur se per me fosse quasi intangibile.
Così il tempo che sulla terra m’era stato dato, passò.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove siamo stati travolti
quando parlate delle nostre debolezze
pensate anche ai tempi bui ai quali siete scampati.
Ai tempi a cui andammo incontro noi cambiando più speso di paese che di scarpe,
attraversando le guerre di classe, disperati,
perché c’era solo ingiustizia,
e nessuna rivolta.
Lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso,
anche l’ira davanti all’ingiustizia
rende roca la voce.
Noi, che pure abbiamo cercato di preparare il terreno alla gentilezza,
non abbiamo potuto essere gentili.
Quando sarà arrivata l’ora
che all’uomo sia l’uomo un aiuto,
pensate a noi con indulgenza.
Bertolt Brecht