Il compagno Manolis
“Aureliano Buendía aveva preso parte a 32 rivoluzioni armate e le aveva perse tutte. Ebbe 18 figli maschi da 18 donne diverse, sfuggì a 14 attentati, a 73 imboscate e a un plotone di esecuzione, sopravvisse a una dose di stricnina nel caffè che sarebbe bastata ad ammazzare un cavallo.”
Gabriel García Márquez, “Cent’anni di solitudine”, 1968
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Il 30 marzo 2020, a 97 anni suonati, è morto Manolis Glezos. Ne aveva 17 nel 1939, quando aveva partecipato alla creazione di un gruppo giovanile antifascista impegnato contro la dittatura di Ioannis Metaxas (1936-1941).
In un’altra penisola europea, il peruviano César Vallejo scriveva proprio in quegli anni:
“L’hanno ucciso, costringendolo a morire. A Pedro, a Rojas, all’operaio, all’uomo, a colui che nacque molto piccolo, osservando il cielo, ma poi è cresciuto, diventato rosso, lottato con le sue cellule, i suoi no, i suoi ancora, la sua fame, i suoi pezzi.
L’hanno ucciso sofficemente, tra i capelli della sua donna, la Juana Vásquez, all’ora del fuoco, nell’orario della pallottola, quando ormai era vicino a tutto” (“Pedro Rojas”).
I democratici spagnoli non sopravvissero. Manolis e la resistenza greca sì. E continuarono a lottare, questa volta contro l’occupazione italiana del Dodecaneso iniziata il 28 ottobre 1940.
Manolis diventava famoso il 30 maggio 1941, dopo essersi arrampicato sull’Acropoli col compagno e amico Apostolos Santas per strappare via la bandiera con la svastica che vi sventolava dal 27 aprile e sostituirla con quella greca.
Era il primo atto della resistenza in Grecia ed uno dei primi in Europa.
Manolis e Apostolos furono condannati a morte in contumacia.
Catturato dalle forze di occupazione tedesche il 24 marzo 1942, pesantemente torturato e gravemente malato di tubercolosi, Manolis era rilasciato perché morisse fuori dalla galera.
Ma, ostinato com’era e perché non si muore quando si deve ma quando si può, riusciva a sopravvivere.
Le forze di occupazione italiane lo arrestavano nuovamente il 21 aprile 1943.
Restava in galera fino alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943.
Combatté contro l’occupazione nazista, che ai greci portò centinaia di migliaia di vittime, deportazioni, fucilazioni di massa e la grande carestia dell’inverno 1941, che uccise altre decine di migliaia di greci.
Il 7 febbraio 1944 fu arrestato dai collaborazionisti greci dei tedeschi. Altri sette mesi e mezzo in prigione fino ad evadere il 21 settembre dello stesso anno.
Il 1° maggio 1944 i tedeschi fucilarono a Kaisariani, periferia dell’Attica, 200 militanti del Partito Comunista greco. “Non era arrivata la mia ora”, dirà Manolis.
Il 3 marzo 1948, durante la guerra civile, il governo di destra lo condannò a morte, ma un vasto movimento di opinione pubblica internazionale a favore dell’eroe della resistenza costrinse la dittatura a tramutare la pena in ergastolo (1950).
Manolis subiva in carcere la sconfitta della guerra civile.
Nell’estate del 1948 parte importante dell’esercito comunista rimanne bloccato nel Peloponneso e la maggioranza dei suoi 20.000 militanti venne uccisa in combattimento.
La principale ragione della sconfitta derivava dalla rottura tra Stalin e Tito.
Il Partito Comunista di Grecia si era schierato con Mosca nonostante il governo sovietico non gli fornisse alcun aiuto di tipo logistico.
Cessati gli aiuti jugoslavi, senza armi, senza poter usufruire dei confini jugoslavi e sconvolto da una lotta interna per eliminare gli elementi titoisti, il PC entrava in decomposizione. A fine settembre le sue maggiori unità militari si erano ritirate in Albania, che rifiutava di fornire rinforzi o armamenti ai fuggitivi, mentre i 1.000 combattenti sparsi nella Grecia meridionale fuggivano nell’Europa orientale.
Il 16 ottobre la guerra si concludeva con la vittoria delle truppe anglo-monarchiche sostenute dagli Stati Uniti.
In carcere, Manolis venne eletto al Parlamento nazionale nella lista della Sinistra Democratica Unita (EDA). Durante la campagna elettorale aveva intrapreso uno sciopero della fame per ottenere il rilascio dei suoi compagni parlamentari dell’EDA che erano in prigione o al confino politico nelle isole. Pose fine allo sciopero della fame solo quando 7 parlamentari dell’EDA furono rilasciati. Lui fu rilasciato il 16 luglio 1954.
Il 5 dicembre 1958 fu arrestato, questa volta per spionaggio, come si usava con gli esponenti della sinistra durante la Guerra fredda. Venne rilasciato il 15 dicembre 1962 grazie ad una vasta campagna di solidarietà, in Grecia e all’estero.
Durante questa detenzione era stato di nuovo eletto parlamentare dell’EDA (1961).
Il 21 aprile 1967, la “notte dei colonnelli”, Manolis fu arrestato alle due di notte con altri leader politici. Il regime diretto da Geōrgios Papadopoulos lo condannò ad altri quattro anni di prigione e “confino”.
Rientrato in attività denunciava la strage del novembre 1973, quando i carri armati dell’esercito avevano schiacciato la protesta degli studenti del Politecnico di Atene e assassinato 80 ragazzi.
Fatti i conti, Manolis è stato condannato 28 volte, delle quali 3 condannato a morte. E tra carcere e confinamento nelle isole si è fatto 15 anni e 10 mesi.
Con il ritorno alla democrazia (1974), partecipava alla resurrezione dell’EDA e nel 1981 e 1985 era eletto al Parlamento nelle liste del PASOK (Movimento Socialista Panellenico).
Nel 1986, eletto Presidente del consiglio comunale del villaggio di Aperathu, a Naxos, rinunciava al Parlamento per dirigere un esperimento di “democrazia di base”.
Alle elezioni legislative del 2000 guidava la lista della “Coalizione della Sinistra, dei Movimenti e dell’Ecologia” e nel 2002 fondava il gruppo “Cittadini Attivi”, confluito poi in SYRIZA.
Eletto parlamentare europeo nel 2014, rassegna le dimissioni l’8 luglio 2015 dopo che il governo Tsipras decide di non riconoscere l’esito del plebiscito contrario all’accordo con la troika (UE-BCE-FMI).
Candidato con Unità Popolare alle parlamentari del settembre 2015 non è stato eletto perché la lista non ha raggiunto la soglia di sbarramento.
Col suo immancabile capello bolschevico, Manolis ha combattuto fino alla fine contro il capitalismo miserabile installatosi in Grecia in seguito alla crisi del 2008. Anni dell’implacabile taglio agli stipendi e pensioni greche, del feroce piano di austerità e saccheggio, della svendita totale del paese.
Manolis, che andava spesso a manifestare insieme ad un altro perseguitato dei colonnelli, il musicista Mikis Theodorakis, a quasi 90 anni è stato ferito gravemente dalla polizia durante una manifestazione organizzata dal suo “Comitato per la restituzione dei debiti di guerra da parte della Germania”.
In “Vita di Galileo”, Bertolt Brecht scrisse:
“Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi. Ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi. E poi ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”.
Oltre ad indispensabile, Manolis era invincibile.
È vero che ha vinto raramente, ma in questo mondo gli unici che vincono sempre sono i banchieri.
Manolis era invincibile perché non si è mai dato per vinto e la sconfitta è sempre una questione personale, da rapportare alle vite individuali.
A perdere sempre sono coloro che privilegiano le conseguenze, mai ciò che sarebbe giusto e necessario fare.
Manolis non si è mai limitato a fare lo spettatore del teatrino di marionette nani, ballerini e cantanti in continua esibizione universale.
Manolis era contagioso, non un sognatore ma un visionario.
Tra sogno e visione, penso, intercorre la stessa differenza esistente tra un mondo inventato e l’invenzione del mondo.
Questa estate, se coronavirus e soldi mi autorizzeranno, prima di calarmi tra gli ulivi della mia famiglia greca nel mio amato Peloponneso, farò un salto ad Aperathu, a salutare Manolis con un ouzo, un kafes e un verso di Neruda citato da Mikis Theodorakis nella sua versione de “Il canto generale”:
“Vinceremo, vinceremo noi, i più semplici, vinceremo, anche se tu non ci credi, vinceremo”.
Non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di un’utopia contraria alla distopia regnante.
“Una nuova e devastante utopia della vita”, disse il Gabo nel suo discorso di ringraziamento del Nobel (2013), “dove le caste condannate a cent’anni di solitudine abbiano infine e per sempre una seconda opportunità sulla terra”.
R.A. Rivas 03-04-2020
Molto bello…ho conosciuto a Manolis in una manifestazione per il Cile, credo a Parigi, mi ha impressionato la sua vivacità , la sua forza interiore che trasudava dai pori…Un INDISPENSABLE