Tracce incancellabili: il primo intervento umanitario della modernità

Tracce incancellabili: il primo intervento umanitario della modernità

Un elicottero francese distribuisce cibo a rifugiati albanesi forzati a uscire dal Kosovo, Aprile 1999. (Jerome Delay/Associated Press)

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“Ma, di sicuro, i sicari non perdono occasione
per dichiarare pubblicamente il loro impegno
a facilitare un dialogo di sincera distensione
che permetta definire una cornice
che garantisca le premesse minime,
che faciliti le spinte
atte a creare un punto di partenza solido e capace,
da est a ovest e da sud a nord,
sul quale stabilire le basi di un trattato d’amicizia
che contribuisca a mettere le basi
di una piattaforma sulla quale edificare,
un radioso futuro, di amore e pace”.

Joan Manuel Serrat[1]

 

Il 24 marzo 1999 la NATO spediva un ultimatum a Slobodan Milošević, presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia, molto simile ai recenti ultimatum di John Bolton a Nicolás Maduro: O te ne vai subito dal Kosovo o dovremmo passare all’intervento umanitario.

Allora gli USA comandavano il mondo senza contrappesi, Bill Clinton presiedeva gli USA[2], la Russia diretta dall’ubriacone Boris Eltsin era sull’orlo della disintegrazione[3], in Italia il capo del governo era Massimo D’Alema, “il primo comunista (ex) a capo del governo italiano”[4].

Francesco Cossiga, allora Presidente della repubblica, raccontava così l’ascesa di Massimo D’Alema:

“Ho dato vita all’operazione più ardita contribuendo a portare a Palazzo Chigi il primo postcomunista.

Si è pentito?

Assolutamente no. Indegnamente ho fatto quello che aveva in mente Aldo Moro. E poi c’erano esigenze pratiche. Non saremmo stati in grado di affrontare la crisi del Kosovo, se avessimo avuto un governo Prodi. D’Alema, come tutti quelli educati alla scuola comunista, non è un pacifista.

D’Alema guerrafondaio?

Il pacifismo comunista non esiste. Mentre esiste il pacifismo cattolico e certamente ne era parzialmente intriso Prodi.” [5]

Non credo vero che il pacifismo comunista non esista e sono portato a pensare che si tratti piuttosto di una calunnia di Cossiga. Ma su D’Alema aveva ragione da vendere: al Massimino bruciavano le mani dalla voglia di menare qualcuno. Per di più, menare un comunista non pentito serve ad accumulare meriti.

Detto altrimenti, penso che il migliore giudizio sul governo D’Alema sia anche quello più noto:

“D’Alema, reagisci, rispondi, dì qualcosa, reagisci, e dai, dai, rispondi, D’Alema, dì qualcosa, reagisci, dai, dì qualcosa, D’Alema, rispondi, non ti far mettere in mezzo sulla giustizia proprio da Berlusconi: D’Alema, dì una cosa di sinistra! Dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà! D’Alema, dì una cosa, dì qualcosa, reagisci!”[6]

La seconda azione militare della NATO dopo l’Operazione Deliberate Force (Repubblica Serba di Bosnia ed Herzegovina, 1995), e stata la prima condotta contro uno Stato indipendente.

L’entusiasmo del governo italiano diretto da Massimo D’Alema è stato certamente encomiabile. L’Italia è stata seconda solo agli Stati Uniti per il numero di aerei impiegati e ha messo al servizio della campagna aerea 19 aeroporti e tutti i servizi necessari (meteo, rifornimenti di carburante, ATC – controllo del traffico aereo ecc., 24 ore al giorno). Da questi aeroporti sono state erogate 300.000 tonnellate di carburante e le piste sono state affaticate al punto da richiedere lavori straordinari, in quanto l’usura è stata pari a quella di un anno e mezzo di utilizzo “normale”. Il costo delle sole missioni dell’Aeronautica Militare è stato di 65 miliardi e mezzo di lire, al quale va aggiunto lo schieramento navale che, oltre alla Giuseppe Garibaldi con il suo gruppo aereo, includeva anche la fregata Zeffiro e lo schieramento logistico in supporto alla NATO.

Tra il 24 marzo ed il 12 giugno 1999, la NATO lanciò 420.000 colpi d’artiglieria pesante e 2.300 missili Tomahawk e la sua aviazione realizzò 38.000 “missioni”, di cui il 38% contro installazioni civili. Solo su Belgrado furono oltre 1.000. Gli attacchi aerei sono partiti dall’Italia e da navi nell’Adriatico.

Le vittime dirette furono 2.500, di cui 89 bambini, i feriti 12.500, a molti dei quali vennero amputati gli arti. Furono ridotte a macerie 300 scuole, diversi ospedali e cliniche, 25.000 palazzi residenziali, 595 chilometri di ferrovie, 38 ponti e 470 chilometri di strade. I danni materiali, definiti dalla NATO “danni collaterali”, sono stati stimati in 100 miliardi di dollari[7].

Il 7 maggio è stata bombardata la sede dell’Ambasciata cinese, uccidendo tre funzionari. Poi un treno passeggeri vicino a Niš: 15 morti, 44 feriti, diversi scomparsi. E, dopo che Kenneth Bacon, l’allora portavoce del Pentagono, aveva dichiarato “la televisione serba fa parte della macchina di terrore di Milošević allo stesso titolo delle sue forze armate”, la NATO provvedette celermente: 16 morti, oggi ricordati dai 16 alberi piantati davanti all’edificio[8].

Lo scopo dei crimini di guerra era “prevenire una catastrofe umanitaria nel Kosovo”.

Il 10 giugno 1999 il Consiglio di sicurezza dell’ONU approvava la risoluzione 1244, in base alla quale il Kosovo continuava a far parte della Repubblica Federale di Jugoslava.

Il 12 giugno 1999, Milošević firmava la resa e le truppe della NATO entravano nel Kosovo.

il 1° aprile 2001, Milošević era arrestato e portato a l’Aia, senza che fosse stata presentata nemmeno una richiesta di estradizione.

Milošević è stato trovato morto nel carcere dell’Aia la mattina dell’11 marzo 2006, pochi giorni dopo la morte – avvenuta nello stesso carcere – di Milan Babić, ex-leader dei serbi di Krajina, suicidatosi il 5 marzo 2006 impiccandosi nella cella dove scontava una condanna patteggiata a 13 anni.

Poco prima della morte Milošević aveva espresso timori che lo si stesse avvelenando. Il 12 gennaio 2006, due mesi prima della morte, nelle analisi del sangue di Milošević era stato rilevato l’antibiotico Rifampicina, ordinariamente usato per la tubercolosi e la lebbra, e capace di neutralizzare l’effetto dei farmaci che Milošević usava per la pressione alta e la cardiopatia di cui soffriva.

Il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex-Jugoslavia ha disposto un’indagine sulle cause e le circostanze del decesso. Dai risultati degli esami autoptici sembra escluso che l’ex leader serbo abbia assunto, negli ultimi giorni prima della morte, il farmaco Rifampicina. Escluso anche che potesse procurarsi la Rifampicina in carcere. Dal settembre 2005, avendo utilizzato un farmaco prescritto da un medico serbo ma non autorizzato dai medici del Tribunale, tutte le persone che gli rendevano visita venivano preventivamente perquisite per non permettere che gli fosse consegnato alcun farmaco.

Il procuratore generale della Corte dell’Aia, Carla Del Ponte, in un’intervista al quotidiano “la Repubblica”, ha sostenuto che “la morte di Milošević rappresenta per la sua attività una sconfitta totale”.

Nel 2008 il Kosovo proclamò unilateralmente la sua indipendenza.

La Serbia è stata bombardata per rendere indipendente il Kosovo. Qualunque fossero le intenzioni e gli stati d’animo dei congiurati coinvolti sotto l’ombrellone della NATO, il risultato è stato univoco: installare un governo mafioso reo, secondo il Consiglio d’Europa, “di trattamento inumano della popolazione e di traffico illegale di organi umani”.

Lo svizzero Dick Marty, relatore speciale sui diritti umani dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, ha scritto:

“Hashim Thaçi, ex capo dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (ELK) e attuale capo del governo kosovaro, dirige un gruppo albanese, simile alla mafia, responsabile in Europa Orientale del contrabbando di armi, di droghe e di organi umani… I miei testimoni d’accusa sono stati tutti assassinati.

Sarà un caso: proprio in coincidenza con la presentazione del rapporto di Marty, il governo kosovaro ha autorizzato l’installazione della maggiore base militare degli USA in Europa.

Il rapporto Marty continua:

“Gli oppositori politici, i prigionieri di guerra serbi e gli zingari scompaiono senza lasciare tracce. Sono prima portati in una prigione segreta sita nella località di Kukes, e poi spediti in Albania per essere assassinati”.

Il “New York Times” aggiunge qualche particolare:

“I prigionieri vengono scelti in base alle loro capacità di diventare donatori. Queste sono stabilite in base al sesso, l’età, lo stato di salute e l’origine etnica … I prigionieri non sono solo consegnati, ma comprati e venduti … Capiscono ciò che succederà loro e pregano i loro aguzzini di non farli a pezzi”.

Specifica il rapporto Marty:

“Non appena veniva confermato che i chirurghi dei trapianti erano sul posto pronti per operare, toglievano i prigionieri uno ad uno dalla casa sicura, un sicario del ELK li ammazzava sommariamente con un colpo di pistola ed i loro cadaveri erano trasportati velocemente alla clinica dove venivano espiantati loro gli organi per commercializzarli in tutto il mondo”.

“Il quotidiano inglese «The Guardian» rivela che un chirurgo turco ha avuto un ruolo essenziale nel traffico d’organi organizzato in Kosovo a partire dal 1999.

Yusuf Erçin Sönmez eseguiva da una decina d’anni trapianti in diversi paesi. Tracce del suo operato sono state trovate nella clinica Medicus di Pristina, il che lascia supporre il suo coinvolgimento nel traffico d’organi organizzato, secondo le accuse avanzate dal Consigliere agli Stati Dick Marty, dal partito del premier kossovaro Hashim Thaci.

Yusuf Erçin Sönmez ha operato sino a poche settimane fa nella clinica Medicus di Pristina: gli organi che prelevava a giovani pazienti sani (interventi in ambulatorio in precarie condizioni igieniche) li impiantava in soggetti malati che pagavano sino a 90mila euro per un rene. L’Interpol ha emesso a metà dicembre un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti.

L’inchiesta era stata avviata lo scorso mese di novembre quando un giovane turco a cui Sönmez aveva espiantato un rene poche ore prima, si era sentito male all’aeroporto di Pristina, mentre aspettava il volo per rientrare ad Istambul.

La polizia lo aveva interrogato e il giovane, mostrando la ferita ancora fresca sul corpo, aveva parlato della clinica Medicus. Dei soldi che gli erano stati promessi in cambio di un rene non aveva ricevuto nulla. Gli era stato pagato solamente il biglietto aereo”[9].

“Sönmez, arrestato a Istanbul su richiesta dell’Interpol proprio per le accuse formulate dalla Corte di Pristina, è uscito su cauzione dopo 48 ore. Per lui un procuratore turco ha chiesto 171 anni di prigione. In patria, i giornali gli hanno cucito addosso i nomi macabri di “Dottor Frankenstein” e “Dottor Vampiro”.

Il chirurgo è al centro delle cronache da quindici anni. Da quando Istanbul, anche grazie alla sua attività clandestina, è diventata uno degli snodi del traffico d’organi. Punto di incontro tra pazienti europei ed israeliani e i donatori fatti arrivare dagli angoli più poveri della Turchia e delle Repubbliche dell’ex Urss. Il nome di Sönmez è salito alla ribalta nel `98, quando il ministro dell’Interno romeno presentò una protesta ufficiale al consolato turco di Bucarest, perché alcuni concittadini stavano vendendo i loro reni a Istanbul attraverso una rete coordinata proprio dal “Dottor Frankenstein”. Di lì il chirurgo è stato travolto da una serie di inchieste giornalistiche, indagini e perquisizioni che lo hanno messo all’angolo.

Dalla Turchia, Sönmez ha cominciato a guardare altrove. Oggi il suo nome rimbalza nel tribunale di Pristina. Prima che per lui scattasse il mandato di arresto, il dottore era apparso pubblicamente in Azerbaigian dove, secondo fonti dell’intelligence, sarebbe stato coinvolto in operazioni di trapianto illegali nella clinica universitaria di Baku. Per la stessa attività è stato denunciato, poco prima, anche in Ucraina.

Secondo «The Guardian», fonti vicine al governo kosovaro indicano Sönmez come figura chiave lungo tutto un decennio di traffici d’organi in Kosovo. Il suo nome comparirebbe già tra il 1999 e il 2000, quando membri dell’esercito di liberazione del Kosovo avrebbero imprigionato, e quindi ucciso, prigionieri di etnia serba per espiantarne ed esportarne gli organi vitali, in un capannone nel nord dell’Albania, noto come “Casa gialla”. Le operazioni sarebbero state condotte sotto il controllo del Gruppo di Drenica, una falange dell’Uck guidata da Hashim Thaçi, oggi primo ministro kosovaro”[10].

Chiuderei con un doveroso cenno alla “Sindrome dei Balcani”, ossia alla correlazione tra uranio impoverito, impiegato profusamente nel Kosovo, e una serie plausibilmente consequenziale di morti.

In Italia, il primo caso risale al 1999. Salvatore Vacca, caporalmaggiore della Brigata “Sassari” in Bosnia, muore di leucemia 23 mesi dopo essere tornato dal fronte. Quasi 17 anni dopo, la Corte d’Appello di Roma condannava il ministero della Difesa per omicidio colposo, dando ragione alla madre del militare dopo una lunga battaglia processuale. Secondo i giudici, il ragazzo venne esposto senza “alcuna adeguata informazione sulla pericolosità e sulle precauzioni da adottare” all’uranio impoverito delle armi. Inoltre, “esiste un collegamento causale tra zona operativa ed insorgenza della malattia … e “tra il caso di Salvatore ed i riferimenti provenienti dalla letteratura scientifica”[11].

Per 150 giorni, Vacca aveva trasportato munizioni e materiale militare ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall’esplosione dei proiettili. Secondo la sentenza, “i rischi si devono reputare totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare”.

La “Sindrome dei Balcani” coinvolge una serie di patologie – in particolare linfomi di Hodgkin e altre forme di cancro – che sarebbero conseguenza della reiterata esposizione all’uranio. All’interno degli organismi dei soggetti colpiti sono stati individuati elementi non presenti in natura. Sarebbe “la conferma definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dalla inalazione o dalla ingestione da parte del militare nella zona operativa”[12].

Il cancro, quindi, come conseguenza dallo sfrenato impiego di uranio impoverito in ambito militare iniziato nella guerra del Golfo e nelle guerre dei Balcani (Bosnia e Kosovo).

Quanti sono i malati? A metà del 2018 “307 sono i militari morti e oltre 3.700 i malati, ha dichiarato Domenico Leggiero – portavoce dell’Osservatorio Militare – a Osservatorio Balcani e Caucaso (Obc), raccontando di tutti i recenti sforzi per ottenere risposte dalle rappresentanze politiche ai diversi problemi irrisolti”[13].

Lo stesso accadde in Serbia non solo per gli alti quantitativi di scorie raccolte negli interventi di bonifica dei terreni bombardati dalla Nato ma, anche, per le denunce delle associazioni di ex militari dell’esercito serbo che si trovavano nei pressi dei siti bombardati sull’alta mortalità tra i reduci.

Il 29 marzo 2013 “Srbija Media” ha pubblicato la lista delle località bombardate nel 1999 e poi bonificate: “Erano zone pericolose per l’ecosistema e per le persone, così nei primi cinque anni dopo il bombardamento è stata fatta la decontaminazione di cinque zone … La mappatura dei luoghi contaminati era stata fatta subito dopo il conflitto dall’esercito serbo in collaborazione con altre istituzioni del paese, come l’Istituto di scienze nucleari Vinča di Belgrado ma, secondo Jagoš Raičević, direttore dell’ente nazionale di stoccaggio JP Nuklearni objekti, “all’inizio la Nato ci mandò delle mappe, non so se per volontà o meno, sbagliate. Alcuni dei siti da loro segnalati non erano stati toccati dai bombardamenti, mentre abbiamo trovato proiettili all’uranio impoverito luoghi che non risultavano nella lista della Nato”.

I resti dei proiettili sono stati inseriti in sacchi di plastica e messi nel deposito di materiale radioattivo dell’Istituto Vinča, ad appena 12 chilometri da Belgrado. Solo alla fine del 2011 le scorie sono state spostate in un deposito costruito in base a standard europei, il “Radio B92”, il più grande deposito di materiale radioattivo d’Europa. Secondo dichiara a “SMedia” Slobodan Čikarić – presidente dell’Associazione nazionale contro il cancro, “è materiale che ha bisogno di miliardi di anni per divenire inerte. In caso di terremoto, alluvione o incendio di grandi proporzioni… siamo a poca distanza dalla capitale, abitata da due milioni di abitanti!”.

Ma forse non ci sarà bisogno di aspettare terremoti od altre catastrofi. Secondo il  quotidiano serbo “Blic” del 14 aprile 2013, i dati dell’Istituto per la Salute pubblica Batut dimostrano che nell’ultimo decennio i malati di leucemia e linfoma sono aumentati del 110% ed il numero dei morti per le stesse affezioni salito del 180%.

Il presidente dell’Associazione nazionale contro il cancro Slobodan Čikarić ha commentato: “Abbiamo analizzato l’andamento dei tumori maligni nel paese tra il 2010 e il 2011. Oltre al dato denunciato dall’Istituto Batut, c’è stato un aumento di tumori solidi del 20% … Ne prevedo un ulteriore aumento perché il tempo di latenza delle affezioni cancerogene solide da uranio impoverito è di 15 anni, mentre è di 8 anni per le leucemie e i linfomi. Infatti, questi ultimi hanno avuto un picco nel 2006”.

Al Congresso mondiale delle famiglie realizzato a Verona a fine marzo 2018 è stato paventato, con la stessa leggerezza di una ghigliottina lasciata cadere con non casuale nonchalance, che il cancro colpisce le donne che non fanno figli.

In verità, in Europa viene accertato un caso di cancro ogni cinque minuti, e nessuna statistica ha mai stabilito un rapporto tra mancanza di gravidanza e cancro. Ma, ovviamente, all’oscurantismo si accomodano meglio dei dati, le ali di pipistrello, le frustate, i roghi ed i santi tribunali.

In verità, dall’Italia ai Balcani il cancro vola basso per i militari italiani, per le centinaia di civili volontari delle organizzazioni umanitarie e per i cittadini di Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo.

Le tracce criminali di questo atto umanitario sono incancellabili.

R.A. Rivas

31 03 2019

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[1] “Pero, eso sí, los sicarios no pierden ocasión/ de declarar públicamente su empeño/ en propiciar un diálogo de franca distensión/ que les permita hallar un marco previo/ que garantice unas premisas mínimas/ que faciliten crear los resortes/ que impulsen un punto de partida sólido y capaz/ de este a oeste y de sur a norte/ donde establecer las bases de un tratado de amistad que contribuya a poner los cimientos/ de una plataforma donde edificar/ un hermoso futuro de amor y paz”.

Joan Manuel Serrat, “Algo personal” (Qualcosa di personale), dell’album “Cada loco con su tema”, 1983.

[2] Oltre al sassofono, alla brutale rimessa a posto di Haiti e alle riforme neoliberiste, probabilmente l’epitaffio di Isabel Allende ricordi la sua presidenza meglio di qualsiasi saggio politico: “Nel frattempo imparammo dal presidente Bill Clinton che il sesso orale non è sesso se si pratica alla casa bianca e la Chiesa cattolica ci convinse che la pedofilia non è peccato se a praticarla è un prete”. Isabel Allende, “Amor”, Vintage español, Madrid 2012. Tr. it. “Amore”, Feltrinelli, Milano 2013.

[3] “Nel 1996 Boris Eltsin venne riconfermato presidente, in un paese in cui l’economia faticava a riprendersi, la povertà era sempre diffusa, scoppiavano focolai di guerra (come la Cecenia) e la malavita organizzata aumentava … Con una salute precaria, segnata dal notevole abuso di alcool e fumo, con un’economia nazionale vicina alla rovina e con la corruzione pubblica in aumento, il 31 dicembre 1999 si dimise da presidente russo, indicando Vladimir Putin come suo successore”. https://it.wikipedia.org/wiki/Boris_Nikolaevič_El%27cin

[4] Per un racconto di questa investitura vedere “Massimo D’Alema: il primo (ex) comunista a Palazzo Chigi, Sevenblog 21 ottobre 2016 https://www.sevenblog.it/massimo-dalema/

[5] “Confidenze di Francesco Cossiga”, “Sette”, settimanale del “Corriere della Sera”, Milano 25 Gennaio 2001.

[6] Nanni Moretti, “Aprile”, 1998.

[7] Wikipedia, “Operazione Allied Force”, https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Allied_Force

Per il calcolo delle vittime, vedere Matteo Zola, “Il bombardamento su Belgrado. La verità su quell’attacco”, “East Journal” 3 Marzo 2010  https://www.eastjournal.net/archives/16276

[8] Per la situazione generale vedere Mary Dejevsky, “Kosovo Crisis: Clinton and Blair `share the burden’ of ending Kosovo’s agony”, “Independent”, Londra 24 marzo 1999 https://www.independent.co.uk/news/kosovo-crisis-clinton-and-blair-share-the-burden-of-ending-kosovos-agony-1082593.html Per il bombardamento della TV vedere “10th anniversary of the bombing of the Chinese Embassy in Belgrade” en.people.cn/90001/90776/6654193.html

Di questo articolo del quotidiano cinese “People’s Daily” esiste una traduzione italiana, “Decimo anniversario del bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado”, www.marx21.it/component/content/article/42-articoli-archivio/18640-decimo-anniversario-del-bombardamento-6dellambasciata-cinese-a-belgrado.html

[9] “Traffico d’organi in Kosovo. Trovato il chirurgo che li espiantava”, “Ticino live” 22 dicembre 2010 www.ticinolive.ch/2010/12/22/traffico-dorgani-in-kosovo-trovato-il-chirurgo-che-li-espiantava/

[10] Marco Benedetelli, “Kosovo, il crocevia del traffico d’organi”, “L’Avvenire, Roma 8 giugno 2012  https://www.avvenire.it/mondo/pagine/kosovo-crocevia-traffico-organi

[11] Virginia Piccolillo “Morì per l’uranio impoverito Condannato il ministero della Difesa”, Corriere della Sera, Milano 20 maggio 2016. https://www.corriere.it/cronache/16_maggio_20/salvatore-vacca-uranio-impoverito-condanna-ministero-difesa-2616c3b4-1e8b-11e6-8034-19f857d4e6ef.shtmlù

[12] Lorenzo Sassi , “La macabra correlazione tra uranio impoverito e malattie mortali in Kosovo. La Quarta Commissione parlamentare, istituita per fare chiarezza in merito alle problematiche inerenti l’uranio impoverito, ha deliberato: «Criticità hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i lavoratori militari»”, TPINEWS 22 Marzo 2018  https://www.tpi.it/2018/03/20/uranio-impoverito-malattie-mortali-kosovo/

[13] Nicole Corritore, “Uranio impoverito, la storia infinita”, “Osservatorio Balcani e Caucaso” 10 Giugno 2013. Anche i dati successivi sono presi da questo articolo https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Uranio-impoverito-la-storia-infinita-137168

Rodrigo Andrea Rivas

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