Papaveri, primavera ’21

Papaveri, primavera ’21

Secondo gli inventori di buone notizie, mestiere difficile di questi tempi, i partecipanti al G7 – noto anche come il “Club dei sempre pretendenti al ruolo di incantatori di serpenti” – sono rimasti estasiati ascoltando la lezione di Super Mario su come risollevare l’economia accrescendo i propri privilegi.


Sarà!

Il papavero, in piedi da solo malgrado una democratica pioggia di diserbanti, è una buona notizia, un buon ricordo, un augurio.

Né atlantista né europeista, neppure Super, qualche messicano scrisse tanti anni fa “Amapola, dulcísima amapola”, motivo con cui De Niro s’addormenta in “C’era una volta in America”.

Parlava di un’altra Amapola, di un altro papavero, non della “adormidera” afghana da oppio che la CIA ha diffuso ulteriormente in questi anni, probabilmente per coprire le spese di questa ennesima “missione della libertà”, conclusa senza modificare altro che la geografia dei cimiteri più frequentati.
La Amapola messicana era appena uno dei “mille papaveri rossi” cantatati anni dopo da Fabrizio de André.

Dedico questo primitivo ma orgogliosamente resistente papavero a Franco Calamida che ci ha lasciato proprio oggi.

Non ci siamo conosciuti ma non ha alcuna importanza.
I fratelli si riconoscono dalle idee, dalla loro testarda persistenza.

Canta Atahualpa Yupanqui, argentino ma non sbarcato da qualche nave:

“Yo tengo tantos hermanos
que no los puedo contar
y una novia muy hermosa
que se llama libertad”.

(Io ho tanti fratelli da non riuscire a contarli
e una fidanzata bellissima che si chiama libertà)

Rodrigo Andrea Rivas

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