Kazakistan, cosa succede e perché non è una rivoluzione colorata

Kazakistan, cosa succede e perché non è una rivoluzione colorata

Kazakistan significa “terra dei nomadi”, dal turco “kaz” “deambulante, nomade” e dal persiano astan “stare” (verbo indoeuropeo), “luogo dove abita un popolo”.

Esteso 2.727.300 chilometri quadri, è il nono Paese al mondo per estensione ma il primo “musulmano” e il maggiore senza mare. Confina con Russia, Cina, Afghanistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan ed il Mar Caspio. I suoi18,8 milioni di abitanti appartengono a un centinaio di gruppi etnici, ma il 28% sono russi. Si parla una lingua di origine turca e si scrive in cirillico.

Dispone di immense riserve di petrolio, gas naturale, rame e uranio (è il principale produttore mondiale di materiale radioattivo, 40% del totale). Preda interessante per le grandi potenze e per i russi, è anche un luogo della memoria, visto che dal cosmodromo Baikonur sono partiti Yuri Gagarin e Valentina Tereshkova.

Il 2 gennaio 2022, la città operaia Janaozen, fondata nel 1968 come base per gli impianti di estrazione di gas e di petrolio delle aree circostanti, è tornata ad occupare le strade dopo che il presidente Tokaev aveva annunciato la duplicazione del prezzo di vendita del Gas Naturale Liquefatto (GNL), da 60 a 120 tenge al litro (1 euro = 492,1460 tenge), provocando la maggiore crisi della storia della Repubblica.

Le proteste popolari hanno impattato non solo la popolazione kazaka, ma tutti i Paesi dell’Asia Centrale, lo “Heartland” o cuore della Terra per molti studiosi di geopolitica.

Il sultano

Nursultan Nazarbaev è l’incarnazione dell’opportunismo: presidente della Repubblica Socialista del Kazakistan dal 1984 al 1991, ha poi smantellato il sistema socialista per sostituirlo con un capitalismo tribale. Diventato Hadji in seguito ad una pellegrinazione alla Mecca, ha seminato il paese di moschee come strumento di controllo sociale e garanzia dell’arretramento culturale.

La diffusa corruzione nel suo Governo si accompagna alla mano dura contro i lavoratori e l’opposizione di sinistra, e all’osceno culto alla personalità che l’ha portato persino a cambiare il nome della capitale, Astana, in Nur-Sultan, nel più puro stile delle dittature caraibiche degli Anni ’30-’40 del ‘900.

Il clan Nazarbayev controlla il petrolio, il gas, l’uranio, l’edilizia, le miniere, le banche, le telecomunicazioni e tutta l’architettura politica.

La figlia maggiore, Darigha Nazarbayeva, è stata presidente del Senato, vice-primo ministro e cofondatrice del partito Asar, alleato del partito Nur-Otan di proprietà del padre. I due partiti occupano tutti i seggi del parlamento. L’altra figlia Dinara e suo marito Timur Kulibaev controllano gli affari del Paese, e cioè della famiglia. Il nipote Nurali Aliyev, banchiere e proprietario di diverse società, ha un patrimonio noto di 200 milioni di dollari.

Eccetera.

Non è una rivoluzione arancione “alla ucraina”

Le proteste popolari vanno avanti da diversi anni:

Aprile 2005 e febbraio 2007, scioperi e manifestazioni dei lavoratori del campo petrolifero di Tengiz per chiedere un contratto collettivo di lavoro, libertà di attività sindacale e salari decenti.

La statunitense Chevron è il primo produttore straniero di petrolio nel Kazakistan, possiede il 50% dell’azienda mista Tengizchevroil dove ha investito 45 miliardi di dollari e la cui gestione è affidata al “generissimo” Kulibayev. All’affare petrolio partecipano pure la statunitense ExxonMobil e la russa Lukoil.

Dicembre 2011, Janaozen. Migliaia di lavoratori in sciopero per le condizioni di lavoro e per i bassi salari occupano le strade in seguito al licenziamento dei loro dirigenti sindacali. Il presidente ordina reprimerli.

Nei campi petroliferi della Ersai Caspian Contractor, controllata dalla Saipem, gruppo ENI, gli scioperanti hanno manifestato per i propri diritti per oltre sei mesi. Secondo la polizia ci sono state 16 vittime tra forze dell’ordine e manifestanti. Secondo l’opposizione i morti furono decine, oltre a centinaia di feriti e arrestati.

Il 17 dicembre si dichiarava lo stato di emergenza in tutta l’area cittadina; le strade erano bloccate e l’aeroporto locale chiuso. La rete mobile bloccata, come i collegamenti internet. Lo stato di emergenza è durato fino al 31 gennaio 2012.

Marzo 2016: massicce proteste esigono il cambiamento della Legge della Terra e l’arresto della vendita all’asta di 1.700.000 di ettari di terre agricole in buona parte di proprietà collettiva.

Febbraio 2019: dopo un incendio ad Astana, in cui sono morti 5 bambini, manifestano migliaia di donne per chiedere una casa dignitosa. Nazarbayev costretto a sacrificare il suo primo ministro Sagintayev.

Un mese dopo, i continui scandali della sua corrotta famiglia lo costringevano a dimettersi, ma continuava a esercitare il potere dietro le quinte. Mantenendo il controllo diretto sul Consiglio di Sicurezza Nazionale (CSN), dopo aver manipolato le elezioni ha nominato come presidente il suo leale amico, Kasim-Yomart Tokaev.

2021: scioperi dei minatori e degli operai petroliferi ad Aktobe e Kazakistan Occidentale. Secondo il Movimento Socialista del Kazakistan, sono stati cacciati circa 40.000 lavoratori.

Corruzione e immobilismo hanno rotto il contratto sociale in base al quale i cittadini si mantenevano al margine della politica in cambio di alcuni sussidi.

A romperlo è stato l’illimitato abuso della borghesia che gestisce il Paese che, per moltiplicare i profitti, taglia indiscriminatamente le “spese”, e cioè i servizi imprescindibili per la popolazione.

Nel gennaio 2022 i nuovi scontri di piazza si sono saldati con oltre 200 arresti, un governo di fatto rovesciato dalle manifestazioni, 8 morti e 317 feriti. I dimostranti hanno occupato diversi municipi, inclusa l’ex capitale Almaty, dove hanno anche assediato e incendiato il palazzo presidenziale.

Il caos politico è diventato guerriglia civile quando migliaia di persone si sono riversate per le strade in una protesta senza precedenti nella storia del Paese per manifestare contro l’aumento del prezzo del gas.

Dopo il fallimento delle forze dell’ordine nel sedare le rivolte, è stato dichiarato lo stato d’emergenza sututto il Paese. Ad Almaty, la città più grande e capitale finanziaria, e nella capitale amministrativa Nur-Sultan, la polizia ha sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla.

Tokayev ha sciolto il governo guidato da Askar Mamin, in un discorso alla Nazione ha fatto sapere che “ci sono morti e feriti”, e ha fatto appello alla Russia e ai suoi alleati per aiutare a reprimere le proteste e a superare la “minaccia terroristica”.

L’esplosione di violenza ha reso necessaria la dichiarazione dello stato d’emergenza fino 19 gennaio, con coprifuoco dalle 23 alle 7.

Perché gli autocrati hanno deciso di aumentare il prezzo del gas

Per la pressione mondiale, soprattutto europea, volta ad aumentare il flusso di idrocarburi e a calmierarne i prezzi. Le multinazionali Eni e Total hanno firmato contratti con KazMunayGas, di proprietà dello Stato kazako, e fatto grandi investimenti per sfruttare gli idrocarburi ad Abay e nell’area kazaka del Mar Caspio. Italiani e francesi hanno la stessa pretesa: recuperare velocemente i loro investimenti vendendo un gas più caro.

Per l’interesse del governo a massimizzare i suoi profitti vendendo GNL all’estero e riducendo il consumo dei kazaki che lo usano come combustibile per le autovetture e per riscaldarsi e cucinare (il 20% della popolazione non dispone d’altro).

Perché con la tipica arroganza dei convertiti, invece di aumentare la produzione il governo ha deciso di eliminare il sussidio (fino al 60%) che applicava al gas per costringere la popolazione a diminuirne il consumo, senza offrire un’alternativa e in pieno inverno.È prevista per i prossimi mesi l’apertura di un nuovo complesso petrolchimico che richiederà 550.000 tonnellate di GNL annue e costringerà il governo a ridurne l’export del 40%. Ciò ha provocato forte allarme tra la clientela europea, cinese e russa.

Per la profonda “Malattia olandese” da cui il Kazakistan è colpito per la somma della corruzione del governo e l’abbandono di altri segmenti dell’economia. Di cosa si tratta? A Groningen, città di 200.000 abitanti nel nord dell’Olanda, nel 1959 si scoprì il più grande giacimento di gas naturale del continente europeo, il nono al mondo, almeno 2.500 km3 di metano. Se fosse stato in Italia, avrebbe soddisfatto l’intero fabbisogno nazionale dal 1959 ad oggi. In 60 anni, i pozzi di Groningen hanno portato nelle casse statali circa 300 miliardi di euro, recando grande beneficio alla bilancia commerciale. Ma gli olandesi hanno almeno due buoni motivi per chiedersi se il gas di Groningen sia stato davvero una benedizione perché, divenuto grande esportatore di gas negli anni ’60, il Paese conobbe una forte crisi del settore manifatturiero e un aumento della disoccupazione. Questa è la “malattia olandese”, fenomeno paradossale e complesso divenuto proverbiale che impoverisce i cittadini dei Paesi che esportano risorse naturali.

Perché invece d’investire per modernizzare l’obsoleta infrastruttura energetica dell’era sovietica, il regime capitalista ha preferito ricorrere al manuale della repressione.

Perché la popolazione si è indignata

Perché un terzo delle autovetture del Paese funziona con GNL e la benzina è cara.

Perché un aumento dei prezzi dei combustibili genera un aumento di prezzi per tutti i beni di consumo.

Perché il PIL del Kazakistan (53° nel ranking economico mondiale tra 196 Paesi), 171 miliardi di dollari, diviso più equamente tra una popolazione piccola dovrebbe garantire un PIL per capita alto.

I manifestanti proponevano un programma di riforme moderato sul quale si poteva trattare prima che Tokaev ordinasse di sparargli contro:

– Un cambiamento reale del potere.

– Elezione diretta dei governatori (attualmente nominati dal presidente).

– Ristabilimento della Costituzione del 1993 che limitava i poteri del capo di governo.

– Sospensione della persecuzione contro gli oppositori e gli attivisti sociali.

I 400 minatori di Armlormital Temirtau, unendosi allo sciopero generale dell’industria mineraria, esigevano anche un aumento dei salari, la diminuzione dell’età pensionistica, diritti sindacali e diritto allo sciopero.

Le metamorfosi del presidente

Tokaev cambiava diverse volte di posizione in meno di una settimana.

Il primo giorno annunciava che si sarebbero accelerate le riforme sociali e ampliate le libertà politiche.

Il secondo, annullava l’aumento di prezzo dei carburanti, incolpando suoi ministri della misura, scioglieva il governo e allontanava l’odiato Nazarbayev del CSN.

Il terzo giorno dichiarava lo stato d’emergenza e, per screditare i manifestanti e giustificare la repressione, insultava i lavoratori accusandoli di essere manipolati da “terroristi pagati dall’estero”, presentando come tentativo di golpeil lancio di alcune molotov contro un municipio, l’abbattimento di una statua di Nazarbayev (tra una decina), e l’irruzione di poche centinaia di manifestanti nell’aeroporto di Almaty, da dove venivano cacciati dopo poche ore. Questa serie di avvenimenti ha poco a che fare con un colpo di Stato. Somigliano piuttosto alle attività dei guerriglieri di Woody Allen in “Il dittatore dello Stato libero di Bananas”.

Non potendo controllare la situazione e diffidando della lealtà delle forze armate, sollecitava l’aiuto dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC).

Inizialmente il Cremlino qualificava le proteste come un “problema interno”. Poi decideva di inviare le “Forze di mantenimento della pace”, nata per difendere le nazioni membri del Trattato da un’aggressione della NATO, non per schiacciare la legittima protesta dei cittadini contro mascalzoni autocrati.

Da allora, la rabbia dei manifestanti si dirige contro la Russia. E gli USA gongolano.

In questo scenario non poteva mancare Erdogan, che ha offerto al suo omologo kazako “ogni assistenza necessaria”.

Conviene ricordare che la Turchia fa parte della NATO ed Erdogan ha lanciato un ambizioso progetto di “unificazione del mondo turco” che comprenda Turchia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan, per contenere l’influenza russa e cinese nell’Asia centrale e nel Caucaso. La concretizzazione di questo progetto sarebbe l’accerchiamento totale della Russia.

Da giorni, le notizie del Kazakistan scarseggiano.

Si può scommettere che, se continuano gli scioperi e/o s’interrompe la fornitura di GNL ai mercati europei e del sudest asiatico, la repressione aumenterà.

L’uranio ha già aumentato le sue quotazioni (45,50 dollari la libbra a metà gennaio), ma i clienti non sembrano innervosirsi perché hanno riserve per 10 anni e perché l’impresa statale kazaka Kazatomprom e la francese Orano continuano a sfruttare le miniere del Paese lontano dalle città.

I manifestanti kazaki non hanno né organizzazione né leader. Il Partito Comunista, che conterebbe con circa 70.000 militanti e simpatizzanti clandestini, è illegale.

A volte, da queste parti sembra che molti confondano Putin con un Lenin redivivo.

Io penso invece che dividere il mondo tra “Oriente” e “Occidente” serva solo a nascondere i problemi condivisi dai lavoratori del mondo e l’oggettiva alleanza tra la maggior parte dei loro leader (malgrado le loro differenze e rivalità) quando si tratta di salvare il capitalismo.

Rodrigo Andrea Rivas

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