Alla memoria fa male la gola

Alla memoria fa male la gola

Conversione di san Paolo, dipinto di Caravaggio (1600-1601, attualmente conservato nella Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma).

“L’inquinamento che uccide non è solo quello dell’anidride carbonica, anche la diseguaglianza inquina mortalmente il nostro pianeta … Non basta il maquillage, bisogna cambiare il modello di sviluppo”.

Papa Francisco, Assisi 24 settembre 2022 

1.- Il capitalismo ha realizzato buona parte delle utopie della sinistra ma trasformandole in incubi. Ha la capacità di divorare ciò che è antagonista per ridarcelo come merce. 

2.- La prima utopia che il capitalismo trasforma in distopia è il vecchio mito della cornucopia, il “corno dell’abbondanza”, il simbolo della fertilità, l’emblema del complesso di beni necessari alla vita umana sognato da migliaia di anni da tutti i popoli della terra.

Tra i Romani, ad esempio, il vecchio simbolo greco accompagnava la rappresentazione di ogni divinità allegorica alla quale si attribuiva un senso o un augurio di prosperità, di fertilità o di felicità pubblica, come la Fortuna, la Vittoria, la Felicità e l’Abbondanza.

Oggi, la cornucopia si è realizzata ma trasformata in merce, forma specifica attraverso la quale la ricchezza che inonda il pianeta risulta contemporaneamente imprendibile e iniquamente divisa. 

Marx diceva che il capitalismo ha prodotto di più e meglio di nessun altro ordinamento economico precedente. E’ assolutamente vero. Ma il risultato è un incubo molto simile al supplizio al quale gli dei hanno sottoposto Tantalo nell’Ade greco.

3.- Tantalo, figlio di Zeus e della ninfa Pluto, era un delinquente molto simile ad alcuni politici odierni ma – come accade speso ai malviventi – essendo simpatico era riuscito a scamparla fino all’uccisione del figlio Pelope e al tentativo d’ingannare gli dei.

Un giorno Tantalo aveva invitato gli dei dell’Olimpo ad un banchetto senza accorgersi che non aveva cibo a sufficienza. Quando se ne accorse, anticipando un principe saudita nostro contemporaneo, fece pezzi Pelope, per poi cucinarlo e servirlo a tavola.

Era un orrendo crimine, ma soprattutto metteva in dubbio l’onniscienza degli dei. E questi si accorsero immediatamente che si trattava di carne umana. Per la sua empietà, Zeus fece precipitare Tantalo nell’Ade, il regno dei morti, condannandolo ad un supplizio eterno. 

Tantalo si ritrovò immerso in un lago fino al collo e legato a un albero pieno di frutti i cui rami si allungavano sulla sua testa. Ma ogni qualvolta protendeva la mano verso i frutti, questi venivano spostati dal vento, e ogni volta che avvicinava le labbra all’acqua, il lago si prosciugava. 

Sommerso nell’acqua e circondato dall’abbondanza la condanna di Tantalo era morire in eterno di fame e di sete. Ma, essendo molto cattivi, gli dèi appesero anche un enorme macigno sull’albero al quale Tantalo era legato. Il masso pendeva dritto sulla sua testa minacciando di schiacciarlo da un momento all’altro. Così alla fame e alla sete permanenti si aggiungeva la paura, altrettanto permanente.

4.- Il mito greco ritratta bene la realtà che oggi costringe molte persone ad emigrare. 

Hanno due differenze peggiorative riguardo Tantalo. La prima è che non possono aspettare alcun atto di clemenza dai loro dèi. 

La seconda è che, mentre sono sommersi nell’acqua o rinchiusi nelle prigioni, vengono frequentemente picchiati.

5.- Ne “Il mondo come volontà e rappresentazione” (“Die Welt als Wille und Vorstellung”, primo volume, 1818/1819), il filosofo Arthur Schopenhauer interpreta questo mito come esempio riuscito dell’eterna insoddisfazione dell’uomo: “Contro un desiderio che viene appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito mentre l’appagamento è breve e misurato con spilorceria”. 

Certo: Schopenhauer era tedesco, non congolese.

6.- Né la cornucopia né le merci sono “cose”, si usano ma non muoiono, e sono distribuite con la massima iniquità finora conosciuta. Perché mai tra un signore feudale e un suo vassallo c’è stata tanta disuguaglianza economica e culturale come quella che oggi esiste tra Bill Gates e un normale residente di Cinisello, di Settebagni, di Portici o dello Zen. 

E se Tantalo, forse, si consolava pensando che, per quanto tragica, la sua vita sarebbe stata eterna, per i miliardi di Tantalo odierni sottrarsi all’abbraccio della morte è impossibile.

7.- È invece possibile lottare a favore della vita. Ma è possibile solo se lo si fa in compagnia. Questo è ciò che si chiama politica. 

8.- Secondo i sacri testi destinati ai malcapitati studenti, la politica è una scienza e una tecnica (teoria e prassi), che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica. Il versante denominato “politica economica”: l’insieme d’iniziative e di provvedimenti promossi dalle istituzioni statali e dalle amministrazioni locali al fine di indirizzare o di programmare lo sviluppo economico della comunità.

Ognuno può valutare quanto queste definizioni si aggiustino alla realtà delle cose. Osservando i ponti che crollano, i fiumi che esondano o le donne ammazzate per non portare il velo secondo i canoni, a me sembrano definizioni indefinite, vuote e inutili.

9.- Penso che ci siano due modi per intendere cos’è la politica.

Il primo è considerarla come il sistema di cure, orizzontali e istituzionali, che garantisce a tutti alcuni piccoli successi nella lotta contro la morte.

Il secondo è stato reso esplicito da Friedrich von Hayek, figura centrale del neoliberismo del XX secolo: “La politica è un calcolo delle vite” che bisogna affidare al mercato il quale decide da sé prescindendo assolutamente dei diritti e delle assemblee, di chi vive e di chi muore. 

“L’ordine liberale pone una cornice giuridica il cui contenuto non è concreto ma astratto perché deve garantire l’astratta libertà negativa del singolo individuo”. 

10.- Quindi, per il neoliberismo lo scopo del diritto non è la realizzazione di obiettivi specifici e concreti validi per tutta la società (ad esempio la giustizia sociale), ma quello di garantire ai singoli individui la sola possibilità di realizzare i loro scopi personali, il cui contenuto non è determinato da nessuno ad esclusione del singolo che agisce. 

Questa trasformazione del diritto in difesa della possibilità della realizzazione personale prescindendo da qualsiasi tipo di visione politica positiva (“e cioè dotata di contenuto concreto”), deriva “dai limiti posti alla conoscenza umana: soltanto l’individuo può sapere cosa è bene per se stesso e in nessun caso si può sapere cosa sia un bene per una società nel suo complesso”. 

Quindi, è impossibile disegnare, costruire una società ponendo degli ideali forti alla sua base. Anzi: cercare di farlo sarebbe un atteggiamento totalitario poiché nessuno può “imporre” all’individuo un modello di società. 

Ergo, la libertà negativa del singolo consiste nell’assenza totale d’impedimenti nel perseguire i suoi fini individuali. 

Traduzione di Margareth Thatchcher: “La società non esiste. Esistono solo gli individui”. 

11.- Penso che la prima modalità descritta sia “politica” in senso pieno perché coinvolge tutta la comunità nella difesa dei suoi diritti, tra cui il diritto di ognuno e di tutti alla fragilità. 

E penso che la seconda non lo sia, perché sostituisce la comunità con un dispositivo economico sovrano sul quale nessuna decisione collettiva può intervenire che, invece di garantire il nostro diritto ad essere fragili, rende ulteriormente fragili le nostre vite.

12.- Non so se “Calenda&Co poco limitata” abbiano mai studiato la teoria dello Stato di von Hayek. So che ne hanno adottato il modello – l’astratta libertà negativa – abdicando ogni capacità di disegnare la società, d’immaginare un mondo in cui ciò che conta è innanzitutto la visione d’insieme, di determinare obiettivi sociali dal contenuto specifico che valgano per il corpo collettivo nella sua interezza. 

“Calenda&Co poco limitata” si prodiga nella difesa di un ordine astratto perorando il concetto di meritocrazia e sventolando la retorica dell’eccellenza dello startup come inalienabile vessillo.

13.- Non è solo un pensiero cinico ma, soprattutto, un pensiero debole. Finge di non difendere nessuna ideologia ma fa spudoratamente il gioco dell’idea centrale della destra: imporre un diritto che difenda solo la causa di un individuo astratto e inesistente, prescindendo totalmente dalla concretezza del contesto reale in cui questa realizzazione dovrebbe darsi e dove solitamente non si dà se le condizioni di partenza non sono quelle di essere un/a figlio/figlia di papà. 

Caro Pietrangeli, il figlio dell’operaio non farà il dottore e l’operaio non dovrà volerlo.

14.- In riferimento alla politica credo utile ricordare la lezione di Peppino Impastato, torturato e assassinato dalla mafia nel 1978: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. 

All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità; si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. 

È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. 

Era, penso, una visione assai realistica dell’antropologia umana: per combattere la mafia non basta una polizia onesta. Bisogna capire la natura umana, la quale odia talmente tanto il vuoto da riuscire a costruire una vita sociale sia attorno ad uno stenditoio che ad una cattedrale. 

15.- Gira una espressione misantropa: gli uomini non hanno bisogno del bene, della verità e della bellezza per vivere. 

Le manifestazioni visibili – del bene, della verità e della bellezza – sarebbero tracce di una umanità parallela che è andata in malora e della quale rimangono solo vestigi che, ogni tanto, “ci cadono addosso” sotto forma di poesie, di pitture, di sinfonie, di templi …, che la maggior parte dell’umanità ignora. Tanto che, se scomparissero – e sono scomparsi tante volte perché nella storia abbondano più i retrocessi che i progressi – nessuno o quasi se ne accorgerebbe. Al massimo qualcuno direbbe: “Ecco, lì dove ora c’è un moderno centro commerciale, prima c’era …”. Perché ciò che importa è che lì ci sia qualcosa. 

16.- Penso che non avvenga perché la bellezza non introduce alcun effetto civilizzatore. Che avvenga perché non siamo consci dei suoi effetti, perché non ne lamentiamo la scomparsa, perché non sentendo il degrado associato alla scomparsa della bellezza non avvertiamo le sue virtù pedagogiche, “migliorative”, umanizzanti. 

La bellezza ci educa ma noi non lo sappiamo. Se le sue fonti si estinguono, viviamo peggio senza sentire che siamo peggiorati. Perciò i retrocessi sono facili da imporre. Perciò, oltre ad introdurre tracce di bene, di verità e di bellezza da quella umanità parallela, si deve cercare di conservarle “ricordando” a tutti cosa significa la loro scomparsa. 

17.- Tutti siamo caduti una o molte volte sulla strada per Damasco. Ma quasi sempre siamo  riusciti a scuoterci la polvere, rimontare in sella e continuare come se nulla fosse successo o come se si trattasse soltanto di un incidente di percorso. 

Capiamo il messaggio ma non abbiamo le forze per difenderlo e diffonderlo. A nulla serve sapere ciò che bisogna fare se non abbiamo i mezzi. E questi mezzi sono necessariamente collettivi. .

18.- Traduco con un esempio semplice: nel 1995 ho visto al cinema “Terra e libertà”, di Ken Loach. Come ho verificato in seguito, per tutti, o quasi, coloro che eravamo in sala, era impossibile non sentire che il mondo deve essere cambiato. Nel buio nella sala, eravamo tutti assieme, tutti uniti dall’oggetto dello sguardo. 

Il sentimento è prevalso fino all’uscita del cinema quando eravamo ancora tutti indignati, tutti “rivoluzionari”. Tutti eravamo stati sbalzati dal cavallo.

Solo che, ad aspettarci, non c’era un tripudio di bandiere rosse né si era organizzato alcun corteo. Così, ci siamo dispersi nel labirinto di Milano e ogni indignazione individuale si è sciolta nel primo bar che abbiamo incrociato. 

19.- All’uscita dei cinema e delle biblioteche dovrebbe attenderci una istanza collettiva, un luogo comune dove portare la nostra rabbia individuale. In ogni latitudine è stata, penso, tra le migliori se non la migliore innovazione della sinistra quando questa parola non rappresentava solo un’idea. Ma, perché oggi non esiste, l’insuccesso della politica non diventa “alienazione” bensì rassegnazione all’inguaribile dolore provocato dalla caduta.

Tradurrei questa sensazione dicendo che alla memoria fa male la gola.

Rodrigo Andrea Rivas

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