Calcio ed emigrazione

Calcio ed emigrazione

Isabelino e Juan Delgado furono i primi due giocatori neri a vestire la maglia di una nazionale di calcio. Il 2 luglio 1916, presero parte alla partita tra Uruguay e Cile nel contesto della prima Coppa America. La partita finì due a zero a favore degli uruguaiani. Il giorno dopo, i cileni impugnarono il risultato perché “la squadra uruguaiana aveva fatto giocare due africani”. Il richiamo venne respinto. Effettivamente, Gradín e Delgado erano di pelle nera e discendenti di schiavi ma, stando alle leggi uruguaiane, nati nell’Uruguay erano cittadini uruguaiani. Tra l’altro, dal 1821 lo ius solis era riconosciuto anche in Cile nonché in tutte le repubbliche latinoamericane.

Nel giugno 2006, nel corso del mondiale disputato in Germania, Jean Marie Le Pen, leader del fascista Front National francese, proclamò la sua “assoluta sfiducia nella nazionale perché ha troppi giocatori di colore”.

Fascisti e postfascisti sono normalmente accomunati da anacronismi e ignoranze assortite. Le Pen non aveva saputo che nel 1998 la Francia aveva vinto per la prima volta il campionato del mondo con una squadra che, per la prima volta nella storia, aveva allineato giocatori le cui origini risalivano ai cinque continenti: i centrocampisti Desailly e Karembeau rispettivamente al Ghana e alla Nuova Caledonia; il difensore Thuram alle Antille e l’attaccante  Djorkaeff alla Armenia. Nemmeno che il capocannoniere dei mondiali, Just Fontaine (13 gol in Svezia, 1958), era sì francese ma nato nel Marocco.

Anacronistici e poco originali. Quando la nazionale italiana venne eliminata dalla Svezia nel 2017, calciatori e giornalisti incolparono del risultato l’abbondanza di ragazzi stranieri nelle squadre giovanili italiane. Ovviamente, l’hanno ripetuto nel 2022.

I mondiali del 1934 e del 1938 furono vinti dall’Italia e Mussolini trasformò le vittorie nella prova provata della superiorità competitiva del fascismo.

I dati però, dicono altro: sei degli undici titolari della squadra del 1934, l’orgoglio dell’italianità fascista, erano stranieri: l’attaccante Felice Borel era nato in Francia e l’altro attaccante, Anfilogino Guarisi, in Brasile. Ed erano argentini i centrocampisti Atilio de María, Raimundo Orsi, Enrique Guaita nonché la stella Luis Monti.

Ovvero, ci si può appellare agli esoterismi della purezza etnica ma i fatti sono fatti: pur ultrarazzista, il fascismo italiano dovette ricorrere agli stranieri per esaltare il suo nazionalismo.

Cent’anni dopo, nulla è cambiato. Probabilmente perché più che una ideologia i fascismi sono uno stato mentale immobilista che si sente minacciato da qualsiasi cenno di equità sociale o di diversità culturale.

Carlos Gardel, il “muto” del tango argentino, mito tra i miti morto nel 1936 a Medellin, probabilmente era nato a Tolosa.

Tra le sue tante canzoni, mi viene in mente una scritta da un argentino di origini italiane, Alejandro Fattorini, “Mi primer gol” (il mio primo gol): “Y verás cuando entre en juego el latir de mi ala izquierdo/ que con un centro a mi labia te acorrale en un rincón;/ ni el foul de tu indiferencia podrá evitar la caída/ cuando en la red de tus labios te acomode el primer gol…” (E vedrai quando entri in gioco il battito della mia ala sinistra/e con un centro dalle mie labbra ti metta contro un angolo:/ né il fallo della tua indifferenza potrà evitare la caduta/ quando nella rete delle tue labbra aggiusterò il primo gol).

Per Gardel e per il tango il calcio era un linguaggio di passione costruttiva e di felicità. L’odio razzista era sull’altra sponda.

Ai ragazzi della banda sonora ricordo anche che su You Tube si può ascoltare Diego Armando Maradona cantando un altro tango, “El sueño del pibe” (di Reynaldo Yiso e Juan Puey, 1942). Finisce cos¡: “Se durmió el muchacho y tuvo esa noche el sueño más lindo que pudo tener. El estadio lleno, glorioso domingo, por fin en primera lo iban a ver. Faltando un minuto están cero a cero, tomó la pelota, sereno en su acción, gambeteando a todos, se enfrentó al arquero y con fuerte tiro quebró el marcador” (Quella notte, dopo addormentarsi il ragazzo ebbe il sogno più bello che avrebbe potuto desiderare. Lo stadio pieno, gloriosa domenica, era arrivata l’ora: l’avrebbero visto giocare in prima divisione. Mancando un minuto sono zero a zero, prese il pallone, sereno nel suo agire, dribblando tutti arrivò davanti al portiere e con una cannonata spaccò il marcatore).

Per il tango il calcio era inoltre un linguaggio di sogni. Andrebbe ricordato anche a qualche tifoso argentino.

Domenica 18 una squadra formata prevalentemente da nipoti e discendenti di emigranti bianchi, tutti presumibilmente arrivati con una mano davanti e l’altra dietro a Buenos Aires, ha vinto contro una squadra formata prevalentemente da figli di emigranti neri, tutti presumibilmente arrivati con una mano davanti e l’altra dietro a Parigi.

I primi erano e sono argentini, i secondi erano e sono francesi.

Ho fatto il tifo per i primi e sono contento di averlo condiviso con haitiani e cubani, brasiliani e messicani, indiani e bengalesi, egiziani e sudafricani, spagnoli e italiani.

Ma, reputando inesistenti le razze, penso che appartenga alla più bieca costruzione fascista e postfascista l’idea che “le sue origini razziali” impediscano a Kylian Mbappè di sentirsi e di essere francese quanto Olivier Giroux.   

Rodrigo Andrea Rivas

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