Il giorno dopo le elezioni italiane
La vittoria della destra è indiscutibile e non credo che la matematica elettorale sia molto utile per aiutarci a capirla
Se vogliamo proprio usarla, non penso abbia senso intrattenersi sulle percentuali perse o guadagnate da ogni singolo partito perché, quando il senso di un risultato è chiaro, non serve intrattenersi nei dettagli.
In senso generale, abbiamo un campo largo di destra dura e impenitente che, aggiungendo i vari ramoscelli, raggiunge grosso modo il 50% dei votanti, e un arcipelago politicamente non di destra ma incapace di unificarsi, più meno equivalente.
Aggiungo que questo arcipelago non si unisce non tanto per la cattiva volontà dei vari dirigenti, che pure c’è stata, né per soli errori tattici, che sono stati abbondanti.
Non si unisce perché non condivide quasi nulla.
Spero possa diventarlo il senso di sopravvivenza.
Qualcuno scrive che il primo partito italiano è quello dell”astensionismo (30%).
Mi permetto di far notare che non si può presumere che quel 30% sia compatto, e cioè che condivida i motivi per non votare.
Aggiungo: considero l’astensione una scelta assolutamente legittima ma penso che, oltre ai molti disincantati e ai pochi anarchici e assimilati, non mi pare si tratti prevalentemente di un voto di sinistra.
Penso altresì che sia inesatto concludere che l’elezione abbia dimostrato che l’Italia è un paese fascista.
Ciò che è stato dimostrato è che è un paese sostanzialmente di destra (bisogna abbandonare definitivamente la locuzione centrodestra per motivi d’igiene e coerenza mentale).
Ciò non solo perché questa ha vinto ma, anche, perché alla destra dura e impenitente bisogna aggiungere buona parte dell’arcipelago che pur se politicamente non è di destra, è neoliberista.
Penso ovviamente a Calenda e a tutto ciò che si è autodenominato Terzo polo ma anche a buona parte del PD, del M5S in versione contiana e a buona parte dei cosiddetti comunisti.
Detto così, sembra una lettura apocalittica del tipo “Siamo pochi, meno male”, ma è necessario aggiungere che, oggi, questo è un fenomeno universale.
Da questo punto di vista, l’Italia non è diversissima della maggior parte dei paesi vicini e neanche da quelli lontani.
E se mal comne non è mezzo gaudio, evidentemente la destra va di moda e tutto il resto è noia.
Tuttavia, le mode non cadono dal cielo e, sebbene possano caratterizzare un’epoca, in genere durano relativamente poco.
La moda neoliberista, oggi dominante, ha avuto inizio con la caduta di tutta una regione – l’America Latina – sotto gli stivali e le divise ispirati dalla coppia Nixon-Kissinger negli Anni ’70.
Ed è stato naturalizzato tra i paesi arricchiti dal duetto Reagan-Thatcher negli Anni ’80.
Quindi, ha ormai superato la sessantina d’anni ed è ora di mandarla definitivamente in pensione.
La discussione pre-elettorale sullo sbarco dl fascismo si è rivelata poco credibile e piuttosto noiosa ma, credo, convenga tenere sempre presente che la destra dura e impenitente viene sempre per tutto e che non cede mai volontieri le posizioni raggiunte.
Gli esempi abbondano.
Alcuni gruppi umani saranno particolarmente è velocemente colpiti da questa esperienza.
Penso che i primi saranno le donne, gli stranieri e i colpevoli di qualsiasi diversità, anzitutto sessuale. Poi, se si approva la flat tax, a soffrire saranno bambini e malati per l’impossibilità di garantire I servizi pubblici. Infine sarà sempre il turno dei poveri. Poiché la destra odia i poveri, combatteranno la povertà cercando di eliminare i poveri.
Come cantava Chico Buarque de Holanda nel Brasile dei militari, “Faccia patria, ammazzi un mendicante”.
Ma Chico scrisse anche “A manha va a ser outro dia”, e cioè “domani sarà un altro giorno”.
Perché lo sia, tocca pensare, con urgenza, cosa fare per mitigare le sofferenze che questo governo di destra dura e impenitente porterà con sé, e per impedire che possa creare i meccanismi per perpetuarsi.
Questo si chiama politica e acquista senso solo se la si pratica collettivamente.