Ancora una volta all’ombra dell’ombrello di Altan

Ancora una volta all’ombra dell’ombrello di Altan

Come si evolveranno i prezzi dopo il confinamento?

a) Potrebbero aumentare per la diminuzione dell’offerta, l´interruzione delle catene di rifornimento e la pressione della domanda. Quindi, l’inflazione potrebbe ripartire soprattutto in quei paesi dove la possibilità di applicare politiche monetarie meno rigide induca a ridurre attraverso questa via il peso nominale del debito che in questo periodo crescerà molto, dovunque. E non va trascurata l’avidità: che tutti i ristoratori vogliano il plexiglass per costruire dei separé rappresenta un’ottima ragione per aumentarne il prezzo.

b) Potrebbe succedere anche l’esatto contrario: l’aumento della disoccupazione, la paura dei consumatori, l’eccesso di risparmio e la concorrenza tra aziende e paesi per cercare di ricuperare le quote di mercato perse, possono tradursi in un calo dei prezzi. E non va trascurata la necessità di monetizzare: ormai sono sul mercato i nuovi modelli d’auto. I rivenditori devono farne spazio liquidando velocemente le autovetture del 2019. Brilla la ex FIAT: “Fino a 20.000 euro di sconto sul prezzo di listino per il modello Jeep”. Attenzione alle sole. 

c) Infine, non si può escludere che una seconda ondata della pandemia, con nuove chiusure e peggioramento dell’economie, porti con sé una depressione che si traduca in deflazione.

Poiché l’economia non è una scienza, la maggior parte degli economisti convenzionali – coloro che insegnano nelle università e chiacchierano nei talk show – hanno posizioni che servono sia per cucire che per un scucire.

Esemplifico prendendo come riferimento un economista importante, Oliver Blanchard, una sorta di “Supermario” francese. Ex insegnante ad Harvard e al Massachusetts Institute of Technology (MIT), ex capo economista del FMI, consigliere della Federal Reserve di Boston (dal 1995) e di New York (dal 2004), autore di “Macroeconomia”, tra i più noti libri di testo in materia (il Mulino, 2011)…

Il 24 aprile 2020 sentenziava: “L’inflazione è improbabile ma non impossibile nelle economie avanzate” (“High inflation is unlikely but not impossible in advanced economies”, https://www.piie.com/blogs/realtime-economic-issues-watch/high-inflation-unlikely-not-impossible-advanced-economies

E il 10 giugno 2020, al “Festival d’economia di Trento”, aggiungeva: “E’ importante cercare di capire se avremo uno shock più temporaneo o definitivo. La disoccupazione ci metterà un po’ a diminuire e bisognerà proteggere i lavoratori fino a quando la crisi non sarà superata. Molte aziende avranno bisogno di liquidità, ma le banche in questa situazione d’incertezza non saranno così disposte a fare prestiti. I programmi di garanzia dei prestiti dovrebbero essere mantenuti anche quando le incertezze diminuiranno. Ciononostante avremo aziende che falliranno a causa dei debiti, pur avendo una certa redditività, bisognerà trovare un modo per ristrutturare velocemente le aziende che hanno debiti, ma che hanno comunque redditività e dunque un futuro”, 247.libero.it/rfocus/42255690/1/provincia-autonoma-trento-festival-economia-olivier-blanchard-il-mercato-ai-tempi-del-covid-e-le-molte-incertezze-sulla-ripartenza/

Insomma, parlavo di Blanchard e mi si è materializzato un aruspice dell’età matura.

In origine, l’aruspice o sacerdote designato dagli antichi Romani all’esame delle viscere delle vittime nei sacrifici, doveva solo verificare che fossero state sacrificate seguendo il rituale. Ma nell’età matura dovevano anche trarne indizi per interpretare i prodigi.

“Prima di dare il suo vaticinio, la Sibilla si riuniva con il cliente per fissare il prezzo della sua prestazione. Le serviva per conoscerlo prima di fare le sue predizioni. Arrivati al dunque, costui le raccontava le sue pene, sospetti e sogni. Lei rispondeva in versi talmente oscuri da poter essere interpretati in qualsiasi modo. Il cliente usciva dal santuario stupefatto e contento. Non aveva capito nulla, ma da qualche verso poteva intravedere che i suoi problemi si sarebbero risolti positivamente. Alla Sibilla ed altri oracoli ricorrevano servi, falegnami e re, perché tutti volevano conoscere in anticipo il loro futuro. Ma i clienti di quei tempi avevano un vantaggio: se le predizioni non erano quelle aspettate, potevano cambiare oracolo e ricominciare. Se erano propizie, nessuno avrebbe potuto rinfacciarli nulla: finalmente, il destino era dalla loro parte, come provava la parola di un’autorità competente e di riconosciuto prestigio (…)

I «PAS in tzatziki»” hanno avuto gli stessi risultati dei «PAS alla chimichurri», la salsa argentina a base di prezzemolo e aglio che accompagna l’asado: recessione generalizzata, aumento del deficit pubblico e crescita esplosiva della disoccupazione e dell’estrema povertà (…) Il governo greco affermava con tono saccente: «Ci saranno tre anni durissimi seguiti da altri tre molto duri».

La Sibilla e l’oracolo di Delfi non avrebbero potuto fare un pronostico più fondato e chiaro: nei primi 8 mesi del 2010 la capacità d’acquisto dei salari scendeva ai livelli del 1984; uno ogni quattro euro prodotti dall’economia greca non pagava tasse e le perdite per il fisco oscillavano tra 12 e 15.000 miliardi d’euro. Nel 2011 la disoccupazione superava i livelli del 1960” (R. A. Rivas, “Discesa agli inferi. L’economia-mondo nel Terzo millennio”, testo inedito).

Non penso che sia particolarmente importante cercare d’indovinare cosa succederà con i prezzi. Ciò che credo importi veramente è evitare che, argomentando che i prezzi potrebbero aumentare, si continui ad applicare le politiche economiche degli ultimi anni.

La rivoluzione conservatrice rappresentata dalle politiche neoliberiste applicate a partire dagli Anni ’70 del secolo scorso ha sostituito i quattro obiettivi primari dichiarati dalla politica economica tradizionale: piena occupazione, stabilità dei prezzi, equità crescente nella distribuzione dei redditi ed equilibrio dei conti esterni, per uno solo: lotta contro l’inflazione.

Per riuscirci, ha diffuso l’idea che l’aumento dei prezzi si debba a due cause: l’eccessiva circolazione di denaro ed i salari troppo alti.

Gli è bastato cambiare gli obiettivi e la spiegazione teorica dell’inflazione, demonizzando l’intervento statale e le tasse, perché le politiche economiche mettessero in naftalina ogni ipotesi d’equilibrio nella distribuzione dei redditi e si orientassero verso l’aumento della retribuzione del capitale.

Si può spiegare semplicemente:

–     per frenare la circolazione monetaria si aumentano i tassi d’interesse, e cioè, la retribuzione delle banche e dei proprietari del denaro;

–     per combattere la cosiddetta inflazione dei costi, si fa appello alla costante moderazione dei salari. Anche questa produce un costante aumento dei profitti.

I risultati sono arcinoti.

Effettivamente i profitti si ricuperarono, ma nel peggiore dei modi possibile: con meno salari ci sono state meno vendite e maggiori difficoltà per ottenere profitti nei mercati reali. Quindi, le aziende ed i consumatori hanno dovuto aumentare il loro indebitamento ed i capitali si sono spostati dall’attività produttiva agli investimenti finanziari, molto più redditizi.

Con queste politiche, cosiddette deflazionistiche, l’economie hanno sì avuto prezzi più bassi ma, anche, meno attività economica produttiva, più disoccupazione, più precarizzazione del lavoro, maggiore indebitamento ed una straordinaria concentrazione dei redditi.

Si continua ad inseguire il demone dell’inflazione persino quando l’aumento dei prezzi è pressoché inesistente per l’enorme profitto che queste politiche offrono alla banca e ai grandi capitali.

Presto potremmo ritrovarci in una situazione simile.

La principale posta in gioco è tutta politica: chi dirigerà la ricostruzione dell’economie, chi indicherà la strada da percorrere fin d’ora, chi trarrà maggiori profitti dai giganteschi investimenti che si realizzeranno.

In questo senso, l’aggressività delle destre in tutto il mondo non si spiega solo per i problemi psicologici o per l’isteria dei loro leader, ma perché sono pagate per cercare d’imporre politiche che favoriscano gli stessi che hanno guadagnato durante gli ultimi anni.

Proveranno ad approfittare delle inevitabili tensioni sui prezzi per cercare di garantirne la continuità d’applicazione.

L’IPC è un cattivo indicatore di quanto avviene nella vita economica, ma i carrelli dicono che  aumenti di prezzi sono in corso. Lo sa chi fa la spesa al supermercato e lo sanno le aziende.

E’ naturale: ci sono blocchi nelle catene di fornitura, c’è stato un aumento della domanda in alcuni settori e le imprese aumentano i margini ogni qualvolta è loro possibile, anche per far fronte alla restrizione delle vendite.

L’aumento dei prezzi è come la febbre, un sintomo da prendere in considerazione. Ma non si deve sbagliare il trattamento.

Bisogna, soprattutto, evitare che s’inganni un’altra volta la popolazione sventolando la lotta all’inflazione, magico elisir che tutto guarisce, per imporre la moderazione salariale.

La moderazione salariale serve solo ad arricchire le grandi aziende e la banca. Non può essere, ancora una volta, la soluzione.

Se si provoca una diminuzione generalizzata della massa salariale ci sarà una diminuzione praticamente correlativa delle vendite delle aziende che pregiudicherà non solo i lavoratori ma, anche, i piccoli ed i medi imprenditori, e cioè le imprese senza un forte potere sui mercati.

Ci guadagneranno invece le grandi aziende, anzitutto le multinazionali, poiché hanno una clientela fidelizzata, marchi consolidati e un grande potere di mercato. La diminuzione generalizzata dei salari diminuisce i loro costi de personale senza diminuire considerevolmente le loro vendite. Comunque, possono ricuperarle vendendo a costi minori in altri paesi.

Quindi, va fatto esattamente il contrario degli ultimi anni: combattere i possibili aumenti dei prezzi migliorando l’insieme dell’economia e non solo il suo segmento privilegiato.

Il meglio che può succedere alla stragrande maggioranza delle imprese e all’economia in genere, è un aumento della massa salariale e del peso dei salari nell’insieme delle rendite.

Ciò genererebbe un incremento quasi automatico delle vendite e dei profitti per la maggior parte delle imprese.

L’aumento dei prezzi non va trascurato poiché riflette tensioni sui mercati, squilibri distributivi, mancanze strutturali e di concorrenza, privilegi negli interscambi ed squilibri congiunturali che possono diventare permanenti. Ma non può utilizzarsi per imporre ancora una volta una divisione così asimmetrica dei redditi come quella che si è registrata negli ultimi 30-40 anni ed è una delle principali cause delle crisi e problemi delle nostre economie.

Poiché si fa politica a partire dai rapporti di forza e culturali esistenti, bisogna precisare che questo obiettivo non può essere raggiunto agendo con la delicatezza di un elefante in una cristalleria: bisogna aggiustare le misure alle situazioni esistenti, unire le decisioni sui salari alle strategie sulla  produttività, coinvolgere la pubblica amministrazione per trasformarla in un aiuto e non in un impedimento, considerare la dimensione temporale poiché la troppa fretta raramente porta buoni risultati.

Per far fronte alla spinta a prendersi tutto e alla cecità delle grandi aziende e della banca, bisogna costruire un maggiore equilibrio imponendo la trattativa come metodo di un accordo sui redditi che benefici i lavoratori e le loro famiglie e la stragrande maggioranza delle imprese.

Nulla di questo si concilia con una politica tartagliante e caratterizzata dalle esitazioni. Nulla di questo si può fare mantenendo indefinitamente il confinamento politico della popolazione. Nulla di questo è una questione prevalentemente tecnica.

Sul governo osservo schieramenti di tifosi. Stante le alternative in campo, mi pare comprensibile. A scanso di equivoci, al governo della destra razzista italiana preferisco la nomina a console del cavallo di Caligola.

Ma, confondere la politica con la sopravvivenza di un governo con le caratteristiche di quello odierno, non è sostenibile a media scadenza e mi pare molto simile alla scelta di un coma cerebrale indotto.

Qualunque sia la sua conformazione, il governo deve uscire dall’orizzonte della breve scadenza proponendo accordi che vadano oltre gli aggiustamenti congiunturali.

Nello specifico, significa assumere e riportare nella società l’idea che, invece di dedicarsi a sistemare i problemi provocati dal malfunzionamento dei mercati e del sistema primario di generazione dei redditi tramite aiuti e politiche ridistributive assistenziali, sia meglio, più efficace e meno costoso, dare un contributo per far sì che l’attività economica funzioni diversamente, producendo da sé una distribuzione più efficiente ed equa.

E’ un obiettivo possibile solo se previamente ci si accorda sulla distribuzione dei redditi, su una politica di aumento della produttività e di diversa distribuzione del lavoro realmente esistente, sulle condizioni che possano permettere l’aumento della concorrenza ed il valore aggiunto, con più innovazione e migliore qualità produttiva.

Diversamente, temo che la crisi in corso sia destinata ad impoverirci ulteriormente, a lunga scadenza e senza soluzione effettive.

Rodrigo Andrea Rivas

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