Appunti sul 5G, sull’economia e sull’obiettività della scienza

Appunti sul 5G, sull’economia e sull’obiettività della scienza

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Si produce per il profitto, non già per l’uso.
Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro
che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego;
un «esercito di disoccupati» esiste quasi in permanenza.
Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego.
Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso,
la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno.
Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione,
piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti.
Il movente dell’utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti,
è responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del capitale,
destinata a portare a crisi sempre più gravi.

Albert Einstein, “Perché il socialismo”[1]

In tutta Europa è in atto una campagna contro la Cina che assume diverse forme ma nelle ultime settimane ha preso la forma di una crociata contro il sistema di comunicazione 5G. Significherebbe, dicono, consegnare ai cinesi tutti i dati sensibili del Paese. La NATO è arrivata a parlare persino di escludere la Germania dalle intese strategiche se questa continua a coltivare cattive compagnie.

Ammesso che avvenga l’attivazione del 5G prevista per il 2020, non avrà effetti visibili immediati. I cellulari si connetteranno più velocemente e diminuirà il tempo di risposta per caricare una pagina o guardare un video. Ma l’effetto non visibile nell’immediato è un altro: il 5G rappresenta la chiave per l’ingresso definitivo dell’intelligenza artificiale nell’economia globale e per l’apertura di un complesso di nuove ed enormi potenzialità.

Per riuscire ad impiantare questa tecnologia bisogna ampliare enormemente l’infrastruttura delle reti 4G già esistente (solo in Germania si stima che sarà necessario installare altri 800mila ripetitori di minori dimensioni) e la definizione dei grandi centri di lettura e immagazzinamento. Non è, quindi, nella produzione di cellulari ma nel complesso dei processi (lettura, trattamento, immagazzinamento, diffusione e conservazione dei dati), che Huawei e ZTE partono da un evidente vantaggio competitivo derivato dalla pratica cinese resa possibile da una pianificazione senza necessari riscontri immediati sulle entrate delle aziende. Detto terra a terra: gli USA non dispongono della tecnologia 5G perché non hanno investito a sufficienza per una ventina d’anni.

È noto che il conflitto USA-Cina trascende di gran lunga lo scontro commerciale e che la posta in gioco è il potere globale. Le analisi statiche, e cioè in base a proiezioni statistiche, dicono che la Cina – seconda economia del pianeta – dovrebbe diventare la prima economia mondiale nel corso del prossimo decennio. Ovviamente, queste esercitazioni non comprendono gli effetti di possibili conflitti armati maggiori.

La tensione raggiunta in questo scontro geopolitico tra UE, Usa e Cina intorno al futuro dell’Italia, non appena si è prospettata la possibilità che questa diventi un terminale privilegiato della nuova Via della Seta per via della sua posizione centrale nel Mediterraneo non si registrava almeno dalla caduta del Muro.

Per i suoi teorici, imprenditori ed economisti, la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” vedrà la convergenza di tecnologie digitali, fisiche e biologiche (ingegneria genetica e neuro tecnologie). Per velocità, portata e impatto sui sistemi costituirà un cambiamento di paradigma, e non solo un passo avanti nella frenetica corsa tecnologica, insomma una rivoluzione definita quarta in riferimento alle tre precedenti. La prima segnò il passaggio dalla produzione manuale a quella meccanizzata tra il 1760 e il 1830; la seconda portò, attorno al 1850, l’elettricità e la manifattura di massa. La terza, a metà del XX secolo, l’elettronica, la tecnologia dell’informazione e le telecomunicazioni.

Tendenzialmente la quarta porterebbe l’automatizzazione totale della manifattura adoperando sistemi cyber fisici resi possibili dall’Internet delle cose e dal cloud computing o nuvola. Combinando macchina fisica e tangibile a processi digitali, questi sistemi cyber fisici potrebbero prendere decisioni decentralizzate e cooperare – tra di loro e con gli umani – tramite l’internet delle cose per conformare una fabbrica intelligente in grado di creare reti intelligenti che possano auto controllarsi lungo tutta la catena produttiva. Naturalmente, i suoi teorici non affermano che dovrebbe cancellare almeno 5 milioni di posti di lavoro solo nei 15 Paesi più industrializzati, aumentare la disuguaglianza dei redditi e i problemi di sicurezza geopolitica.

Al centro dei progetti si pone la necessità di controllare le metropoli, veri motori dell’economia, centri di potere e prede pregiate per l’estrazione di profitto, ben più importanti degli Stati nazionali dalla prospettiva strategica delle grandi aziende coinvolte nella trasformazione tecnologica. Nelle metropoli si prevedono forti investimenti pubblici dedicati alla costruzione di “smart city”, super connesse dal punto di vista infrastrutturale e tecnologico (strade interurbane e urbane, rotonde e semafori, ponti e trafori), interconnessioni dei sistemi di trasporto e sanitari, interventi delle finanze e della tecnologia per rimodellarle nella chiave tecnologica testé indicata…

A tutto questo serve il 5G, il requisito indispensabile per quanto indicato, per mettere in moto servizi automatizzati, ad esempio di pulizia, di trasporto o di emergenze e, soprattutto, come base logistica per dare risposta all’ossessione securitaria tramite reti di telecamere e droni, sistemi di riconoscimento facciale e biometrico, e possibili interventi dei terminal a fini spionistici, punto quest’ultimo sul quale Trump fonda la sua campagna contro Huawei per impedirne l’acquisto dei servizi ai suoi alleati.

Nel caso italiano questa campagna è arrivata persino ad un avvertimento esplicito rivolto al presidente della repubblica tramite un editoriale del direttore del quotidiano “La Stampa”, Maurizio Molinari:

“Bisogna tenere presente che l’Italia è diventata l’anello debole di un Occidente in difficoltà davanti a due rivali strategici divenuti temibili: Cina e Russia. Dal crollo del Muro di Berlino nel 1989 Pechino e Mosca non sono mai stati così in crescita. Nel caso della Cina si tratta di una crescita soprattutto economica che consente di gareggiare testa a testa con Washington per la leadership sul PIL globale disponendo al tempo stesso di un formidabile progetto di infrastrutture per estendere la propria influenza all’Eurasia e di una tecnologia – il 5G – capace di cambiare il modo in cui comunichiamo. Se a tutto ciò aggiungiamo un apparato di intelligence che supera il milione di effettivi – il più numeroso al mondo – non è difficile arrivare alla conclusione che Pechino sia oggi portatrice di una sfida molto efficace all’Occidente perché punta a spostare il baricentro dello sviluppo del Pianeta dalla dorsale New York-Londra alla macroregione Pechino-Shanghai”.

Poi Molinari aggiunge gli F35, l’”ambiguità sul Venezuela”, una certa freddezza con la “narrativa” UE, il Donbass, le presunte cyber-offensive dei russi, il ruolo in Medio Oriente e Africa di entrambi, il tutto “in un contesto di debolezza interna di Nato e UE dovuta a carenza di leadership, rivalità nazionali e protesta sociale”…

Conclude:

“Ciò spiega perché Washington, Parigi e Berlino guardano sempre più al Quirinale quando entrano in gioco temi cruciali per la sicurezza dell’Occidente. In attesa di comprendere se il governo di Giuseppe Conte riuscirà ad esprimere posizioni capaci di superare le incertezze di questi mesi. Tutto ciò non significa che l’Italia debba rinunciare alla tutela dei propri interessi nazionali, economici e politici, ma la sfida è armonizzarli con la nostra adesione alle alleanze Ue e Nato. Senza le quali il nostro benessere e la nostra sicurezza sarebbero a rischio.”

La tensione raggiunta in questo scontro geopolitico tra UE, Usa e Cina intorno al futuro dell’Italia, non appena si è prospettata la possibilità che questa diventi un terminale privilegiato della nuova Via della Seta per via della sua posizione centrale nel Mediterraneo non si registrava almeno dalla caduta del Muro. Si possono avere diverse opinioni a questo riguardo ma il primo problema e che le forze politiche al governo sembrano non essersene neppure accorte.

Il 5G e lo sviluppo tecnologico – ossia la cosiddetta quarta rivoluzione industriale – potranno permettere di superare la crisi del capitalismo dissipando le paure circa una sua crisi terminale? Il mercato aperto da Internet è in grado di generare un processo di accumulazione equivalente a quello del ciclo di espansione del capitalismo nel secondo dopoguerra?

A partire dagli Anni ’70, si è provato a rispondere al calo dei tassi di profitto con il neoliberismo. L’indebitamento è stata la risposta al crollo della domanda aggiunta in seguito alla esplosione delle disuguaglianze.

In questo senso, la risposta è no: aprire un mercato capace di offrire una base al capitalismo non passa dall’informatica ma dalla diminuzione delle disuguaglianze. Oltre al palliativo costituito dalla continua diffusione delle guerre, la soluzione trovata alla crisi del 2007-2008 attraverso una crescita artificiale via iniezioni di liquidità, diminuzione dei tassi d’interesse e flessibilizzazione del lavoro, non ha fatto altro che aumentare gli squilibri e porre le basi per una nuova crisi da affrontare con ancor meno strumenti di politica economica.

D’altra parte, l’analisi dei cicli economici dimostra che le innovazioni tecnologiche legate a periodi di crescita sostenuta e ad alta produttività durano sempre di meno, e al di là della grancassa, ogni nuova rivoluzione industriale offre meno margine al capitalismo per svilupparsi senza contraddizioni fondamentali.

Come tutti sappiamo, tra la sinistra e la scienza è diffuso un cattivo rapporto malgrado molti tra i principali scienziati contemporanei siano stati progressisti.

Penso che questo cattivo rapporto dipenda, da una parte, dai maldestri tentativi di regolamentazione della ricerca in base a interessi partitici (penso ai socialismi reali soprattutto) e, dall’altra, dall’esclusione di principio di qualsiasi limitazione (penso alla pecora Dolly e alla susseguente clonazione umana, ad esempio). Per quanto possa suonare curioso trattandosi di scienze, mi pare un litigio tra integralisti.

Da non scienziato ma da semplice osservatore non disinteressato, esplicito quelle che mi sembrano alcune idee elementari sulla funzione reale dell’istituto scientifico.

Dopo appena due secoli di vita in piena sinergia col capitalismo, con i combustibili fossili, con l’industria, con l’individualismo ed il patriarcato, la scienza è la principale responsabile dei molteplici benefici nonché dei principali rischi, tare, pericoli e minacce, che colpiscono l’umanità.

Tre miti principali circondano la scienza contemporanea nascondendone la realtà fattiva.

Il primo mito riguarda la trasformazione della scienza in un feticcio, in una sorta di ente supremo. In questa forma si evita il riconoscimento concreto delle diverse modalità del lavoro scientifico, ognuna delle quali insegue scopi diversi e non di rado contrapposti.

Il secondo consiste in ricoprire il feticcio con la falsa idea che ogni attività scientifica sia automaticamente portatrice di benessere, moralmente buona, ideologicamente e politicamente neutra. In questa forma, lo scienziato è identificato come essere virtuoso. Gli scienziati sono i santi della vera conoscenza, gli eroi dell’obiettività, i martiri dell’umanità, i coraggiosi praticanti della via sperimentale. La loro principale virtù consisterebbe nell’avere sottomesso la passione ed eliminato la soggettività dalle loro analisi.

Il terzo mito consiste nella credenza che la conoscenza scientifica sia un enorme bene in sé stessa. Quindi, gli scienziati e il mondo che adotta il loro gergo sembrano credere che il semplice incremento della conoscenza porterà a migliorare la condizione umana.

Invece, non esiste alcun automatismo e il progresso scientifico non implica necessariamente il progresso umano.

Detto nel mondo più semplice: dal momento che i progressi dell’agricoltura permetterebbero, da molti anni, di far mangiare bene oltre 10 miliardi di persone, come spiegare la fame diffusa se tale automatismo fosse davvero esistito?

Il fatto è che per tradurre il progresso scientifico in progresso umano è indispensabile una condizione non scientifica: che le comunità formate dalla scimmia avariata che denominiamo Homo sapiens siano in condizioni, materiali e morali, di usare le conoscenze crescenti in modo adeguato.

Ad esempio, e se oltre allo scontro geopolitico la moltiplicazione di centrali di ripetizione e di linee di connessione, diffondesse forme nuove di cancro e/o di altre malattie, un effetto secondario non scartato né scartabile all’attuale livello di conoscenze e sperimentazione, potremmo definirlo un progresso umano? E più in generale, come si fa a lagnarsi del deterioramento delle condizioni di vita e di sopravvivenza nel pianeta per proporre subito dopo “più dello stesso”?

L’alcolizzato che continua a bere, tenta di mantenere una parvenza normale e nega qualsiasi problema. Allo stesso modo, società tossicodipendenti dalla crescita senza fine ed il consumo illimitato negano che ci sia qualche problema, come se i limiti delle risorse finite potessero essere dribblati da una credenza cieca e irrazionale tramite soluzioni ancora da immaginare. Alla fine, oltretutto, la tossicodipendenza ci costringe a vivere una bugia – a vivere nell’autoinganno[2].

“Durante la Seconda guerra mondiale sulla terra bielorussa i nazisti avevano distrutto 619 villaggi e sterminato la loro popolazione. Dopo Chernobyl, il Paese ne perse 485, di cui 70 sono ancora sottoterra. In Bielorussia la guerra uccise un bielorusso ogni quattro; oggi uno su cinque vive in una regione contaminata. Sono 2,1 milioni, di cui settecentomila sono bambini. Le radiazioni sono la principale causa di deficit demografico… La superficie totalmente vietata all’agricoltura è di 264.000 ettari. Il 26% dei boschi e oltre la metà delle praterie situate nei bacini suscettibili di allagamento dei fiumi Pripiat, Dniepr e Soj sono nella zona di contaminazione radioattiva”[3].

“Dal marzo 2018 le farmacie belghe distribuiscono gratuitamente pasticche di iodo a chi ne faccia richiesta. La misura fa parte di un nuovo piano di sicurezza nucleare presentato dal ministro degli Interni Jan Jambon. Servono per limitare il rischio di cancro alla tiroide in caso di un incidente nucleare. Quindi, pur se, ha spiegato il ministro sulla rete televisiva RTBF, “per il momento non ci sono rischi specifici”, il governo ha ordinato 4,5 milioni di confezioni di 10 pastiglie “perché ogni famiglia belga possa disporne il giorno J”[4].

“Nella primavera del 2019 in Francia avrà luogo la prima campagna di distribuzione di pastiglie di iodo in un radio di 20 km attorno ai 19 siti nucleari di EDF (contro i 10 precedenti). Tre anni fa, con il vecchio perimetro la distribuzione aveva coinvolto 400.000 famiglie e 2.000 siti aperti al pubblico in oltre 500 Comuni”[5].

Nel marzo 2019. l’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD) di Katmandu ha pubblicato il rapporto “The Hindu Kush Himalaya Assessment: Mountains, Climate Change, Sustainability and People (2019)”[6]. In estrema sintesi il rapporto spiega che i ghiacciai dell’Himalaya si sciolgono ad un ritmo più veloce di quanto accade in altre aree del mondo. Questi ghiacciai alimentano i principali fiumi dell’Asia (Yangztze, Giallo, Gange, Brahmaputra, Irrawady, Mekong…) garantendone l’acqua durante la stagione secca. Senza questo apporto il Gange e il Fiume Giallo perderebbero il 70% dell’acqua durante la stagione secca. La conclusione dello studio è che persino nell’ipotesi più ottimistica riguardo il riscaldamento del pianeta, gli altamente improbabili più 1,5 gradi sui livelli preindustriali, scomparirà un terzo dei ghiacciai himalayani[7].. Le conseguenze per 10 tra i sistemi fluviali più importanti del pianeta colpiranno direttamente 2 miliardi di persone e molti tra questi fiumi porterebbero acqua durante la stagione delle piogge. Piccolo problema: l’80% del raccolto cinese e 60% di quello indiano dipendono dall’irrigazione. Per la cronaca: la Cina è il primo produttore mondiale di grani, l’India il secondo (gli USA sono il terzo). E come si risolveranno i problemi tra grandi potenze abituate a rispondere militarmente ai problemi? Probabilmente, stress e tensioni derivanti dalla crisi alimentare aumenteranno il numero di Stati falliti e in mezzo al caos. Il primo candidato da quelle parti potrebbe essere il Pakistan. Piccolo dettaglio: è una potenza nucleare.

Formulati così, questi problemi sembrano quasi una fatalità astratta la cui responsabilità ricade sugli uomini. È vero che gli uomini sono per la prima volta un fattore di cambiamento geologico, ma lo sono in quanto inseriti in un sistema socioeconomico specifico denominato capitalismo, che avendo messo il profitto al centro della ragione umana, ci porta dritti al suicidio.

Per modificare questa apparente fatalità è necessario cambiare sistema. Ma, ammesso che ciò avvenga, nulla garantisce cosa ne prenderà il posto. Le caratteristiche di qualsiasi altro sistema, in meglio e in peggio, dipenderanno dall’attività politica organizzata e cosciente degli umani. In questo senso, a bocce ferme la barbarie sembra avvantaggiata.

…mi sembra arrivata l’ora di definire come vera scienza quella che si misura dalla capacità di risolvere i problemi, non dalla capacità di crearli.

A questo punto bisognerebbe fare una riflessione sulla transizione energetica alla quale, penso, dovremmo abituarci molto presto, ma richiederebbe troppo spazio. Ci torneremo.

Per ora, ritornando alla scienza, mi sembra di poter affermare che i tre miti sulla scienza testé ricordati diventano ogni giorno meno credibili, soprattutto poiché negli ultimi 50 anni la scienza è stata indiscutibilmente cooptata, influenzata, diretta e/o finanziata, dal capitale corporativo che domina il mondo.

Guardiamo i dati UNESCO (“Unesco Scienze Report 2015”) sull’incremento degli investimenti privati nella scienza in tutti i Paesi del mondo. Ad esempio, nel 1965 la ricerca scientifica accademica finanziata direttamente dal governo rappresentava negli Stati Uniti il 60% della ricerca totale, la scienza corporativa il 40%. Nel 2015 le percentuali erano più che invertite: 30 e 70% rispettivamente. Lo stesso è avvenuto in tutto il mondo.

Il problema non è una scelta di principio per la scienza accademica. Il problema è che la scienza corporativa mantiene un mondo non sostentabile generando gas, liquidi e sostanze tossiche, fertilizzanti chimici, pesticidi, plastici, alimenti dannosi, farmaci nocivi, organismi transgenici, gas a effetto serra e specialmente armi sempre più sofisticate e complesse.

Ad esempio: nel 2017 i 10 produttori principali di sistemi di armamenti hanno guadagnato 194 miliardi di dollari. Avevano 800mila lavoratori, di cui il 20% erano scienziati, tecnici e ingegneri. Di fatto, la maggior parte dei quasi 8 milioni di scienziati esistenti al mondo lavorano per l’industria bellica.

D’altronde, come accade con molti governi, aziende, partiti politici, chiese o case reali europee, anche l’attività scientifica ha subito e subisce i colpi della corruzione. Accade, ad esempio, a molte riviste scientifiche di lunga tradizione che sotto la spinta della pubblicità sono state messe al servizio delle multinazionali farmaceutiche e biotecnologiche. E solo considerando la connivenza e complicità tra aziende e scienziati si può capire che 110 premi Nobel abbiano firmato una lettera in difesa delle colture transgeniche.

È accaduto e accade che molti premi Nobel siano stati assegnati a ricercatori dichiaratamente razzisti come William Schockley[8] e James Watson[9], anche se so che razzista è sì sinonimo di stronzo ma non necessariamente di imbecille. Ergo, pur se a priori possono sembrare genuinamente ingenui gli appelli ad aumentare le disponibilità di finanziamento per la ricerca scientifica, bisogna dire che senza un’approfondita discussione previa tali aumenti servirebbero soprattutto ai dettami dei gruppi di potere incrostati nel governo e nell’accademia, i quali impongono le loro linee di ricerca e le loro visioni anacronistiche su aree fondamentali come la biotecnologia, l’ecologia, la biomedicina, la chimica e le ingegnerie.

Secondo me, bisognerebbe iniziare mettendo in discussione gli obiettivi ed orientamenti di base per arrivare a formulare un Programma Nazionale di Scienza e Tecnologia che, partendo dai maggiori e più urgenti problemi del Paese, non perda di vista il conflitto esistente tra una scienza di mercato ed una scienza impegnata nel benessere sociale e ambientale dell’Italia e del pianeta. E cioè, mi sembra arrivata l’ora di definire come vera scienza quella che si misura dalla capacità di risolvere i problemi, non dalla capacità di crearli.

Sono conscio che tutto ciò è possibile a condizione che esista una sinistra vitale e dotata di un progetto che vada al di là del prossimo appuntamento elettorale. Diversamente, al massimo si continuerà ad annaspare tra lucciole e lanterne.

R.A. Rivas

17 marzo 2019

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[1] Albert Einstein, “Why socialism?”, “Monthly Review”, New York, maggio 1949. Disponibile in italiano in http://www.ezeta.net/homosapiens/documenti/einstein/index.htm

[2] Marc Hathaway, Leonardo Boff, “The Tao od Liberation: exploring the Ecology of Transformation”, Orbis Books, New York 2010”, Ed. it. “Il Tao della liberazione”, Fazi editore, Roma 2015

[3] Svetlana Alexievitch, “La supplication. Tchernobyl, chronique du monde après l’apocalypse”, Éditions J’ai lu, Parigi 1999.

[4] “La Belgique distribue des pastilles d’iode face au risque nucléaire”, www.lefigaro.fr/flash-actu/2018/03/07/97001-20180307FILWWW00083-la-belgique-distribue-des-pastilles-d-iode-face-au-risque-nucleaire.php

[5] Reseau Sortir du nucléaire, Pastilles d’iode : une opération de communication plus qu’une mesure de protection des populations, https://www.sortirdunucleaire.org/Pastilles-d-iode-une–operation-de-communication

[6] Philippus Wester; Arabinda Mishra; Aditi Mukherji; Arun Bhakta Shrestha (a cura di), “The Hindu Kush Himalaya Assessment: Mountains, Climate Change, Sustainability and People (2019)”, in lib.icimod.org/record/34383

[7] Il cambiamento climatico non è l’unico problema. I limiti planetari dagli studiosi identificati sono nove: cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, ozono stratosferico, cicli biogeochimici di azoto e fosforo, uso globale dell’acqua dolce, cambiamento nella destinazione di uso della terra, tasso di perdita della biodiversità, inquinamento chimico e carico atmosferico da aerosol. Per molti tra questi studiosi abbiamo già superato tre di questi limiti planetari: il cambiamento climatico, il tasso di perdita della biodiversità ed i cambiamenti del ciclo dell’azoto. Vedere il quadrimestrale pubblicato da  Resilience Alliance,“Ecology and Society” 14, N.º 2: 32, 2009, “Planetary Boundaries: Exploring the safe operating space for humanity”, con articoli di Rockström Johan, Will Steffen, Kevin Noone, Åsa Persson, F. Stuart III Chapin, Eric Lambin, Timothy M. Lenton, Marten Scheffer, Carl Folke, Hans Joachim Schellnhuber, Björn Nykvist, Cynthia A. de Wit, Terry Hughes, Sander van der Leeuw, Henning Rodhe, Sverker Sörlin, Peter K. Snyder, Robert Costanza, Uno Svedin, Malin Falkenmark, Louise Karlberg, Robert W. Corell, Victoria J. Fabry, James Hansen, Brian Walker, Diana Liverman, Katherine Richardson, Paul Crutzen y Jonathan Foley. http://www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art32/

[8] Assieme a John Bardeen e Walter Houser Brattain, Shocley fu insignito nel 1956 del Premio Nobel per la Fisica per “le loro ricerche sui semiconduttori e la scoperta dell’effetto transistor”.

Un paio delle sue perle: “Le mie ricerche mi portano inevitabilmente all’idea che la causa principale dei deficit intellettivi e sociali dei negri americani è ereditaria e di origine genetica razziale e quindi non rimediabile in misura maggiore da miglioramenti pratici nell’ambiente.”  Firing Line with William F. Buckley Jr.: Shockley’s Thesis (Episode S0145, Recorded on June 10, 1974); “Gli individui con quoziente d’intelligenza al di sotto di 100 dovrebbero essere pagati per andare volontariamente a farsi sterilizzare”, citato da Edward J. Boyer, “Los Angeles Times” 14 agosto 1989. https://www.bing.com/search?q=controversial+nobel+laureate+shockley+dies&form=EDGEAR&qs=PF&cvid=d6f9e19a088a4c4595734360b4845406&cc=IT&setlang=it-IT

[9] Un paio di perle di Watson:

“Se si potesse trovare il gene che determina la sessualità, e una donna decidesse che non vuole avere un figlio omosessuale, beh, io l’appoggerei”, cit. da  Macdonald, V. “Abort babies with gay genes, says Nobel winner”, “The Telegraph”, 16 febbraio 1997. “I neri sono meno intelligenti dei bianchi. L’eguaglianza della ragione condivisa da tutti i gruppi razziali si è rivelata una delusione. Chi ha a che fare con dipendenti di colore pensa che questo non sia vero”. In “Clamorosa teoria del pioniere del Dna: «I neri sono meno intelligenti dei bianchi»”, “La Repubblica”, Roma 17 ottobre 2007 e in “Neri meno intelligenti dei bianchi”,Corriere della Sera”, Milano 17 ottobre 2007.

Rodrigo Andrea Rivas

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