ScholMaDra: l’Idra di Nato a Kiev, vecchio occidentecentrismo e nuove avventure
Al quarto mese di guerra sul treno polacco spuntò lo strano corpo nato con tre teste. C’erano poche speranze di mettere fine velocemente al conflitto: Zelensky aveva scartato ogni cessate il fuoco che prevedesse concessioni, i militari russi continuavano a cercare d’impossessarsi della regione orientale dell’Ucraina, la politica statunitense ad offrire appoggio militare al governo Zelensky per tutto il tempo necessario ad indebolire la Russia, con la speranza di portare ad un cambiamento di regime a Mosca. Le vittime erano soprattutto ucraine, ma ciò che era in gioco superava ampiamente i confini dell’Ucraina.
L’invasione dell’Ucraina è un crimine orrendo, come lo sono state l’invasione statunitense dell’Iraq o l’invasione della Polonia di Hitler. Gli invasori della Polonia furono giudicati a Monaco. Quelli di Falluja e dintorni sono morti, pochi pochi, di vecchiaia. È diverso perdere o vincere la guerra. Si giudica solo gli sconfitti, i Bush e i Blair continuano i loro affari.
Le giustificazioni adoperate da Mosca somigliano ad altre invasioni e processi cruenti scatenati soprattutto da Washington in anni recenti. “Non resteremo con le braccia incrociate a guardare come la stupidità del suo popolo consegna un Paese al comunismo”, recitava l’ukase di Kissinger sul Cile. E organizzarono un feroce colpo di Stato. I russi, non per presunta stupidità comunista ma nazista, hanno organizzato una feroce guerra.
Dall’invasione russa derivano almeno tre conseguenze colossali.
La prima è che la carestia si aggraverà per milioni di persone in Asia, Africa e Medio Oriente. La guerra colpisce una zona ricca e produttiva di cereali ma i dati dell’ONU dicono che per tutto il 2022 il mondo dispone di una sufficiente riserva di cereali. Questo dato è confermato dalla Banca Mondiale secondo la quale le riserve di cereali sono ad un livello storicamente alto e circa il 75% delle esportazioni di grano della Russia e dell’Ucraina sono state consegnate prima dell’inizio della guerra. Nel caso ucraino, il raccolto precedente la guerra è stato da record e, secondo il locale Ministero d’agricoltura, il paese ne ha esportato 46,51 milioni di tonnellate contro i 40,85 milioni dell’esercizio precedente.
Quindi, la crisi alimentare non ha nulla a che fare con l’ipotizzata mancanza di cibo, anche perché un terzo di tutti i cereali prodotti al mondo diventa foraggio per animali (che potrebbero pascolare) e per produrre combustibili per le autovetture (negli USA, il 40% del mais si destina a produrre combustibile ed un altro 40% a foraggio).
In un sistema che considera il cibo solo come merce, la fame non dipende dalla produzione ma dal prezzo degli alimenti e la determinazione dei prezzi ha pochi rapporti con la quantità di cibo a disposizione. I grandi raccolti mondiali, diventati contratti a future, fanno parte dei portafogli dei fondi d’investimento che li usano come fiche da casinò. E questo ciò che fa contare gli scenari della guerra a media scadenza rendendo attraente l’investimento in questi fondi: due mesi dopo l’inizio della guerra, due tra i maggiori fondi dedicati a speculare sulle materie prime avevano aumentato i loro investimenti nel mondo agricolo da 197 milioni a 1,2 miliardi di euro.
Lo stesso dice la contabilità delle persone che subiscono la fame: il conflitto in Ucraina può aumentarli di 50 milioni ma, nel 2021, i nuovi affamati sono stati 40 milioni e negli ultimi anni questa cifra è aumentata costantemente: 108 milioni nel 2016, 193 milioni nel 2021.
Il vero problema alimentare risiede nel permettere che questo diritto vitale dipenda da un sistema di mercato capitalistico controllato, letteralmente, da 4 multinazionali. Se aggiungiamo l’avvenuta industrializzazione della produzione alimentare, abbiamo il cocktail perfetto per passare dalle crisi al collasso, poiché dipendiamo da un sistema alimentare che ha abbandonato l’arte di migliorare ed arricchire la terra con materia organica per doparla con fertilizzanti artificiali fabbricati con derivati del petrolio e del gas, prodotti destinati a scarseggiare e ad aumentare di prezzo, indipendentemente dalla guerra in corso, modello corresponsabile della crisi climatica e del peggioramento della resa dei raccolti per la poca varietà di alimenti poco resilienti e adattabili alle conseguenze della crisi.
Ovvero, il problema è che sulle nostre teste volano una miriade di avvoltoi speculativi.
La seconda è la minaccia crescente di una guerra nucleare terminale. Molti evitano di pensarci e/o si fidano delle residue capacità intellettive dei responsabili, ma molti scenari credibili possono provocare una intensificazione del conflitto. Ad esempio, gli USA hanno inviato missili antinave in Ucraina grazie ai quali è stata affondata la nave emblema dell’armata russa. Supponiamo che questi attacchi s’intensifichino. Come reagirà la Russia? E cosa succederà dopo?
Ad esempio, la Russia si è astenuta finora di colpire le linee di rifornimento utilizzate per inviare armamento pesante in Ucraina. Se lo facesse, entrerebbe in confronto direttamente con la NATO, vale a dire con gli USA. Il seguito lo lascio all’immaginazione di ognuno.
Oppure supponiamo che venga imposta effettivamente una zona di esclusione aerea. Ciò significherebbe attaccare istallazioni antiaeree in territorio russo. Ognuno può immaginare il seguito.
Finora, la nostra fortuna è stata che il Pentagono, a differenza di qualche ministro italiano, capisce cosa implicherebbe mettere in pratica questa proposta. Ma fino a quando ci si può fidare dei militari USA? Ed è triste dover affidarsi ai pargoli di Colin Powell, boy scout di vere o presunte pistole fumanti.
Ai rischi crescenti di una guerra nucleare va aggiunto che l’invasione dell’Ucraina ha messo KO i pochi sforzi messi in campo per far fronte al riscaldamento globale. Ciò significa trasformare presto il riscaldamento globale in arrostimento globale. Se questa inversione di marcia si consolida, siamo fritti.
Secondo gli scienziati, per sopravvivere dobbiamo iniziare subito la riduzione del consumo di combustibili fossili. Invece, Biden ne ha annunciato una forte espansione della produzione. Ed è meglio non riporre speranze nelle ipotetiche capacità di resistenza dell’Idra SchoMaDra. L’appello di Biden ad incrementare la produzione è puro e semplice teatrino politico senza alcun rapporto coi prezzi dei combustibili e/o con l’inflazione.
Cosa possiamo fare per mettere fine a questa tragedia?
A Kiev, il Drago si è limitato alle solite ovvietà. Partiamo anche noi dall’ovvio: la guerra può concludersi solo con un accordo diplomatico o con la resa di uno dei due bandi. L’orrore andrà avanti finché ci sia un accordo o una resa. Presumo che, oltre a “l’importanza dell’acqua per la navigazione marittima” ed altre frasi per la storia, questo sia fuori discussione.
Un accordo diplomatico differisce da una resa in un aspetto decisivo: ogni bando l’accetta come tollerabile. Essendo ciò ovvio, è indiscutibile.
Quindi, un accordo diplomatico non sarà solo “come decida l’Ucraina”, ma deve offrire a Putin una via di scampo che l’improvvisato capo della diplomazia italiana ed altri amanti della guerra fino all’ultimo ucraino definiscono una trappola per topi o una indegna conciliazione.
Lo capiscono persino i maggiori detrattori della Russia, ad esempio l’assassino seriale Henry Kissinger. Certo, ciò richiede esercitare la mente oltre la punizione dell’acerrimo nemico.
Ad esempio, Graham Allison, un distinto specialista di politica estera e militare della Kennedy School della Harvard University, che sostiene da anni che la Russia è una società demoniaca da eliminare, si è sentito costretto a precisare: Putin è un demone, ma dobbiamo contenere la nostra indignazione e mettere velocemente fine alla guerra attraverso accordi diplomatici perché, se si costringe il demone pazzo a scegliere tra la sconfitta e l’aumento del livello di violenza e distruzione, essendo un pazzo razionale sceglierà la seconda opzione, annientando oltre a Sansone tutti filistei e non solo quelli ucraini.
Quindi, persino per il teologo Allison Putin è un demone razionale.
Un’altra ovvietà: opporsi o persino cercare di rimandare un accordo diplomatico significa cercare di prolungare la guerra e le sue conseguenze, e include una prova di forza mostruosa: andiamo a vedere se Putin si ritirerà in silenzio accettando una sconfitta totale o se prolungherà la guerra impiegando persino le armi di cui dispone per devastare l’Ucraina e apparecchiare la tavola per la guerra terminale.
Tutto ciò dovrebbe essere ovvio ma non lo è per il prevalere dell’isteria, un clima nel quale le ovvietà provocano una valanga di reazioni apparentate dall’irrazionalità: “il mostro Putin non cederà”, “ogni conciliazione è un cedimento fuori discussione”, “bisogna determinare e mantenere le nostre linee rosse”, “il mostro può dire quel che vuole” e via sproloquiando.
Sproloqui che in verità dicono: non vogliamo una soluzione, meglio iniziare lo spaventoso esperimento proseguendo con la politica operativa statunitense, appoggiata da un ampio ventaglio fondato sulla nobile retorica del sostegno a principi che “non permettono che il crimine resti impunito”.
Canta il catalano Joan Manuel Serrat:
“Probablemente en su pueblo se les recordará, como carrochos de buenas personas.
Que hurtaban flores para regalar a su mamá
y daban de comer a las palomas.
Probablemente que todo eso debe ser verdad,
aunque es más turbio cómo y de qué manera,
llegaron esos individuos a ser lo que son,
y a quien sirven cuando alzan las banderas.
Hombres de paja que usan la colonia y el honor,
para ocultar oscuras intenciones.
Tienen doble vida, son sicarios del mal,
entre esos tipos y yo hay algo personal.”Probabilmente nel loro paese sono ricordati come cuccioli di brave persone.
Che rubavano fiori per regalarle alle loro mamme
e davano da mangiare ai piccioni.
Probabilmente tutto ciò deve essere vero,
ma è più torbido il come e in quale forma,
arrivarono quei individui ad essere quel che sono,
e a chi servono quando innalzano le bandiere.
Uomini di paglia che usano la colonia e l’onore,
per nascondere oscure intenzioni.
Hanno doppia vita, sono sicari del male,
tra quei tipi e me, c’è qualcosa di personale.