Internazionalismo partigiano
Mario Depangher (Capodistria 1897), fece il pescatore fin quando una squadraccia lo costrinse a cambiare mestiere bruciandogli la barca, probabilmente, perché per vati cocainomani, futuristi strampalati, arditi accoltellatori e/o ex socialisti, nell’immaginario popolare l’insurrezione dei pesci avrebbe potuto sostituire le piaghe egiziane.
La “Piaga delle orate” al posto della piaga delle rane, delle zanzare, delle mosche o delle locuste? Un vero incubo.
Aveva 22 anni quando lo arrestarono per difendere la Camera del Lavoro di Trieste dall’assalto di altre squadracce. Ne seguiva un lungo elenco di condanne contrassegnate “da attività sovversive diverse” finché, nel 1931, finiva in uno dei 102 campi di confinamento e concentramento del maceratese a “San Severino Marche”. La “Banda Mario” nasceva nel 1938. I “ragazzi color dell’aurora” e le “ragazze dalle guance di pesca” (Italo Calvino, “Oltre il ponte”, 1958), erano britannici, sovietici, croati, serbi, italiani (tra cui 2 preti), ebrei. Tutti rigorosamente bianchi.
Il 9 maggio 1940, nel terzo anniversario nell’impero coloniale, M inaugurava a Napoli la “Prima Mostra Triennale delle terre italiane d’Oltremare”.
Come aveva fatto Darwin sul Beagle 115 anni prima, faceva portare un gruppo di nativi dalle colonie.
Etiopici, somali, eritrei e libici rappresentavano il baobab e l’avorio.
Il 10 giugno 1940 la mascella parlante annunciava dal balcone di Palazzo Venezia l’entrata in guerra dell’Italia e la Triennale andava a farsi benedire.
Nel 1943 gli africani, una sessantina, dopo diverse peripezie finivano a “Villa Spada”, un ex manicomio femminile a Treia, nel maceratese.
Tre di loro, Abbagirù Abbauagi, Scifarrà Abbadicà e Addisà Agà, avrebbero dato vita all’esperienza dei “partigiani stranieri”.
Tra la proclamazione dell’armistizio, 8 settembre 1943, e il 25 ottobre 1943, i tre fuggivano da Villa Spada e, percorrendo circa 30 chilometri tra strade di campagna e boschi, raggiungevano il Monte San Vicino per unirsi alla “Banda Mario” grazie all’appoggio della popolazione che li guidò verso i nascondigli dei partigiani.
Nessun travestimento sarebbe andato a buon fine visto il colore della loro pelle.
Il loro arrivo ingrossò le file della banda, ormai un battaglione, accentuandone il carattere multietnico. Il mix di 11 culture aveva come obiettivo liberare l’Italia dal nazifascismo.
I nuovi arrivati informarono i partigiani che a Villa Spada c’era un posto di sorveglianza dei neri.
Si decise allora di tentare un’azione, per ‘liberare i prigionieri’ e ‘impossessarsi delle armi’”. L’assalto alla Villa fece guadagnare alla resistenza fucili mitragliatori, bombe a mano, moschetti, rivoltelle e nuovi partigiani: almeno altri 10 africani si unirono al gruppo, tra cui una donna. Alcuni erano ex militi della Pai, la Polizia dell’Africa italiana, passati dalla parte della resistenza per il senso del giusto.
Delle imprese partigiane degli africani del battaglione Mario non si sa molto pur se presero parte a tutte le attività del gruppo che per 10 mesi fu uno dei più attivi nell’entroterra maceratese. Tra queste anche la battaglia di Valdiola, tra il 23 e il 24 marzo 1944 quando, quasi accerchiati da centinaia di tedeschi e fascisti, i partigiani riuscirono ad evitare la dispersione del gruppo continuando i sabotaggi al nemico.
Il pericolo rappresentato dagli africani di Villa Spada fu riconosciuto anche dalla Repubblica sociale italiana, il cui ministero dell’Interno scrisse: “Molti stranieri si sono dati alla macchia con i partigiani. Sono particolarmente feroci”.
Molti morirono nel tentativo di liberazione. Tra questi, Abbabbulaye Abbamagal, detto Carlo, ucciso il 24 novembre 1943.
Nel suo “Partigiani d’oltremare: dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana” (Pacini Editore, Pisa 2019), lo storico Matteo Petracci racconta che “il corpo del piccolo, ricciuto, ilare e coraggioso Carletto fu portato a Valdiola”, sede di un comando partigiano, “e sepolto in zona dove ancora oggi una lapide ricorda l’impegno di uomini e donne, provenienti da tutto il mondo e l’atto eroico di Abbamagal caduto per la libertà d’Italia e d’Europa”.
A mo’ di epilogo
Dopo il 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale di San Severino designò Depangher a sindaco del piccolo comune. Lo amministrò sino al ritorno nella sua terra, dove morì nel 1965.
La storia della “Banda Mario” è poco nota poiché così vanno le cose in una repubblica fondata sulla rimozione del passato coloniale e la scarsissima coscienza delle proprie responsabilità riguardo la Shoah.
Secondo Sartre, “ci s’impegna sempre in una certa ignoranza”.
Per me, tra altre cose significa che lo scopo dell’attività politica, solo una delle forme possibili di resistenza, non ha come scopo oggetti immaginari tipo “il mondo futuro”.
Penso invece che ogni rivolta inizia come una dissonanza, che ogni atto di resistenza è una creazione e che l’ingiustizia non esista in sé ma solo rispetto ad un altro possibile.
Quindi, ad ognuno tocca far i conti con la propria dissonanza.
E, poiché nessuna epoca storica risolve i problemi una volta per tutte, penso che non si lotta una volta per tutte e sia giusto e responsabile affermare che ogni giorno è il giorno X.
Detto altrimenti, ORA E SEMPRE RESISTENZA.