CUBA Ancora sulle strade
“Aquí pensaban seguir, ganando el ciento por ciento … y en eso llegó Fidel. Llegó el comandante y mandó parar”.
Sono passati oltre 60 anni da allora.
A Fidel non sono riusciti ad assassinarlo.
La rivoluzione è sempre lì.
A Washington, tra seppelliti, sfiatati suonatori di trombone, cowboy improbabili e piazzisti di ogni risma, è passata oltre una decina di presidenti.
Tutti ci hanno provato ad assassinarlo.
“Fidel, Fidel, que tiene Fidel. Que los imperialistas no pueden con él”.
I rivoluzionari sono sempre lì, ormai, ormai alla terza o quarta generazione.
Domani, 14 novembre, i cubani tornano nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole.
E gli statunitensi ci riprovano.
Pensano che sia un buon momento per chiudere la piaga.
Vogliono prendersi le strade e le piazze.
Sono oltre 60 anni che gli USA ci provano.
Trovano sempre qualcuno da pagare per dichiararsi poeta o prigioniere di coscienza, per mettere bombe (magari su qualche aereo civile), per diffondere nefandezze …
Pagano bene, comunque più di 30 denari.
Cuba certo, non è un paradiso.
È solo, come canta Silvio Rodríguez, “un popolo libero che può solo essere libero” (Pequeña serenata diurna).
Dopodomani, sul malecón si continuerà ad ascoltare Carlos Puebla: “Aquí pensaban seguir”.
Da buon samaritano, consiglio a lor signori una tisana di bailahuén peruviano. Amici fidati mi garantiscono che, resa due tre volte al giorno, calma il mal di fegato.