Appunti di storia latinoamericana

Appunti di storia latinoamericana

il razzismo ed i razzisti condannano il Paraguay

Pochi anni dopo l’inizio della “Pacificazione dell’Araucania cilena” (1861) e della conquista “del Deserto barbaro argentino” (1870), le operazioni destinate a sterminare le popolazioni aborigeni in nome della superiore civiltà bianca si dispiegavano nel Paraguay dove Brasile, Argentina e Uruguay sterminarono il 92% della popolazione maschile, ivi inclusi i bambini.
Ufficialmente, la guerra scatenata dalla Triplice Alleanza a nome e per conto dell’Inghilterra (1865-1870), riduceva la popolazione paraguaiana da 525.000 a 221.000 persone, di cui 28.000 maschi.

Scrive Eduardo Galeano:
“Con la benedizione inglese e con i crediti inglesi, i governi dell’Argentina, del Brasile e dell’Uruguay si lanciano a redimere il Paraguay. Firmano un trattato. Fanno la guerra, dice il trattato, in nome della pace. Il Paraguay dovrà pagare le spese del suo stesso sterminio e i vincitori gli forniranno un governo adeguato.
In nome del rispetto all’integrità territoriale del Paraguay, il trattato garantisce al Brasile un terzo della sua superficie e all’Argentina l’intero territorio di Misiones e il vasto Chaco.
La guerra si fa anche in nome della libertà. Il Brasile, che ha due milioni di schiavi, promette libertà al Paraguay, che non ne ha nessuno” (“Memorie del fuoco II. I volti e le maschere”, Rizzoli, Milano 2001).

“Il primo marzo 1870, nell’accampamento paraguaiano di Cerro Corá, mentre si avvicinavano gli oltre 15.000 soldati alle ordini del Generale brasiliano Correa da Cámara, 400 tra uomini, donne, bambini e anziani, per la maggior parte malati, feriti e affamati, si dichiaravano «pronti al combattimento» agli ordini del Maresciallo Francisco Solano López.
Dopo una «battaglia» durata meno di 15 minuti, gli ultimi difensori della terra guaraní venivano massacrati uno per uno.
Il brasiliano duca di Caxias, capo degli eserciti alleati, scriveva all’Imperatore Pedro II:
«La guerra aveva come scopo far diventare fumo e fuoco tutta la popolazione paraguaiana, uccidere persino il feto nel ventre della madre. Missione compiuta»” (Felipe Pigna, “Los mitos de la historia argentina. La construcción de un pasado como justificación del presente”, Belacqua, Buenos Aires 2007).

All’origine dello sterminio c’erano come al solito i pirati di Oltremanica.
Per la borghesia monopolista inglese, che controllava addirittura con dei ministri i governi indipendenti dell’Argentina e del Brasile, considerava inaccettabile che il Paraguay si evolvesse verso il capitalismo industriale.
Essendo il suo obiettivo mantenere ad ogni costo la “divisione internazionale del lavoro”, ovvero la divisione tra Paesi destinati a vincere e Paesi condannati a perdere, considerava indispensabile distruggere la sua struttura economica e politica indipendente per incorporarlo al mercato mondiale come un’altra colonia miserabile, produttrice di materie prime e consumatrice di prodotti manufatti provenienti dalle metropoli.

Tra la borghesia monopolistica inglese e la monarchia spagnola c’era perfetta assonanza.
La “Reale Ordinanza” datata 28 novembre 1800, aveva già vietato la produzione di manifatture nelle colonie ma quella del 30 ottobre 1801 era ancora più esplicita. Recitava testualmente:
“Riguardo all’eccesso di fabbriche e produzione di manufatti contrari a quelli che prosperano in Spagna e che hanno come scopo principale assortire le nostre Americhe.
Sua Maestà non può permettere che queste si moltiplichino o aumentino, e neppure che sussistano, perché lo considera contrario al bene e la felicità di tutti i suoi vassalli e dei suoi domini e perché teme che, una volta abituati i suoi vassalli alle temperature e organizzazione dei lavori dei cosiddetti stabilimenti, rifiuteranno in seguito di far ritorno sia alle miniere di oro e argento che alla coltivazione dei preziosi frutti e beni di quei regni che hanno sicura consumazione in questa penisola.
Quindi, Sua Maestà vuole che Vostra Eccellenza (il viceré) si dedichi, con la prudenza e il rigore che corrispondono, ad esaminare quanti e quali sono gli stabilimenti di fabbriche e manufatti che esistono in tutto il distretto messo sotto il suo comando, e procuri la loro distruzione attraverso i mezzi che consideri più adeguati” (Julio José Chiavenato, “Genocidio americano. La guerra del Paraguay”, Carlos Schauman Editor, Bueno Aires 1984).

Come fa notare lo storico statunitense Richard Alan White (Paraguay’s Autonomus Revolution, 1810-1840”, University of New Mexico Press, Albuquerque 1978), il Paraguay costituiva un caso unico tra le nuove repubbliche indipendenti dell’America Latina. Scrive White:
“Spezzando i legami imperiali, le rivoluzioni dell’Indipendenza latinoamericane hanno solo rotto l’anello politico ed economico che le assoggettava alla Spagna Le neorepubbliche latinoamericane conquistarono la loro indipendenza politica, ma scambiarono la loro dipendenza economica dalla Spagna per un’altra verso le nazioni più industrializzate dell’Europa (…)
La condizione basica della stragrande maggioranza degli americani è rimasta la stessa: cambiarono solo di padroni (…)
La sola rivoluzione indipendentista a mettere in discussione questo schema generale è stata quella paraguaiana. Iniziata nel 1811, è stata l’unica a rompere ogni legame politico ed economico con l’impero spagnolo e con le pretese centralistiche della Giunta di Buenos Aires che, una volta resasi indipendente dalla Spagna, cominciava ad agire come rappresentante degli interessi britannici nel Río de la Plata” (Richard Alan White, “Paraguay’s Autonomus Revolution, 1810-1840”, University of New Mexico Press, Albuquerque 1978).

Per i tribunali di Sua maestà, e quindi per il tribunale della storia raccontata dai vincenti, il Paraguay era colpevole oltre ogni dubbio.
Aveva deciso che, radicando la sovranità nella popolazione – prevalentemente indigena – non aveva alcun senso perdere tempo in discussioni su quale fosse il re da riconoscere o sulle alleanze da stabilire.
Poiché colpevole, era stato “isolato” dal mondo: Buenos Aires gli imponeva, infatti, un blocco economico totale ostruendo la libera navigazione dei suoi fiumi e gravando con onerosi dazi i suoi prodotti.

A quel punto il governo di Asunción era stato costretto a trasformare radicalmente la struttura economica.
Anzitutto, realizzava una radicale riforma agraria confiscando terre agli spagnoli, ai creoli ricchi e al clero.
Per diversificare la produzione agricola e il bestiame in base ai bisogni della popolazione, su queste terre lo Stato creava delle aziende comunali denominate “Estancias della Patria”.
Subito dopo avere abbandonato le monocolture coloniali, il Paraguay generava eccedenti commerciali producendo tutto ciò di cui aveva bisogno.
Contemporaneamente, decretava il monopolio del commercio estero, vietava l’esportazione di metalli preziosi, pianificava la produzione agricola, creava il primo sistema d’educazione e la prima rete d’opere pubbliche finanziate con la confisca delle grandi fortune delle elite, europee e locali.
Il nuovo modello economico permetteva di sviluppare l’industria e di stimolare il commercio interno tramite le “Tiendas del Estado” (Stabilimenti commerciali dello Stato), che vendevano a prezzi contenuti i prodotti delle 65 “Estancias de la Patria” e delle piccole industrie.

La guerra proverà in seguito che la nazione paraguaiana condivideva uno scopo: formare e consolidare una borghesia nazionale indipendente e un forte Stato nazionale.

Controllando i settori economici strategici lo Stato aveva una bilancia commerciale positiva e una moneta stabile che gli permettevano d’investire senza bisogno di ricorrere a prestiti esterni.
Invece di “importare capitali” indebitandosi con l’impero britannico come facevano tutti i Paesi suoi vicini, il governo paraguaiano contrattava tecnici stranieri e spediva a studiare in Europa decine di giovani con borse di studio.
Senza ricorrere al “capitale straniero” inaugurava la prima ferrovia dell’America Latina e costruiva la prima nave della regione, la Yporâ, nei cantieri di Asunción.
Così, mentre il Brasile e l’Argentina, diventate neo-colonie inglesi, importavano tutto ciò che consumavano, il Paraguay fabbricava dagli utensili domestici e l’attrezzatura agricola fino agli armamenti.
Era l’unico Paese della regione senza debito estero e senza analfabeti, con un rispettabile parco industriale, una flotta mercantile, il telegrafo, le acciaierie ed i cantieri, nonché con magazzini pieni d’erba matte e tabacco destinati all’esportazione e di cibo destinato al consumo locale.
Era evidentemente insopportabile.

Come racconta Julio José Chiavenato nell’opera citata, il Console statunitense ad Asunción, Edward A. Hopkins, sentenziava:
“Il Paraguay è la nazione più potente del nuovo mondo, dopo gli Stati Uniti (…)
Il suo popolo è il più unito, il suo governo è il più ricco tra quelli di tutti gli Stati di quel continente (…)”.
Ma per l’Inghilterra, l’evoluzione autarchica del Paraguay verso il capitalismo industriale era un cattivo affare e un pessimo esempio.

Il 6 settembre 1864 l’ambasciatore inglese a Buenos Aires e Asunción, Edward Thornton, informava il suo governo:
“Il Paraguay chiude i fiumi alla nostra navigazione, non vuole i nostri prestiti, non s’interessa ai nostri tessuti e, ciò che è peggio, la maggior parte dei paraguaiani ignora la potenza inglese ed è convinta che il loro sia il paese più potente e felice del mondo”.
Il 3 febbraio 1865 l’agente inglese Hope scriveva sulla “Nación Argentina”:
“Io suppongo che, se il traffico fossi aperto, il valore dei manufatti britannici che potrebbero essere introdotti annualmente in Paraguay sarebbe di circa un milione e mezzo di dollari”.
E il rappresentante diplomatico degli Stati Uniti in Argentina, Charles Washburn:
“Per la sua stupidaggine e cecità, nonché per altri peccati, il popolo paraguaiano merita il completo sterminio che l’aspetta. Il mondo avrà un giusto motivo per congratularsi quando non conterà più una sola persona che parli l’indiavolato idioma guaraní”.

Ovviamente, la guerra “avrebbe portato la libertà e la civiltà al Paraguay, mettendo fine alla tirannia di Solano López”.
Libertà e civiltà da intendere come sinonimo di sfruttamento delle risorse e della popolazione paraguaiane.
Questa continua ad essere la versione predominante tra gli storici latinoamericani.

Quindi, arrivava inevitabilmente la guerra.
A conflitto finito, il Presidente argentino Bartolomé Mitre scriveva:
“La Repubblica Argentina si trovava davanti all’Imprescindibile dovere di stringere alleanza con il Brasile per rovesciare l’abominevole dittatura di Solano López e aprire al commercio del mondo quella splendida e magnifica regione che, oltretutto, possiede i più svariati e preziosi prodotti dei tropici e fiumi navigabili per esportarli”.
Più esplicito ancora il suo successore, Domingo Faustino Sarmiento:
“La guerra si è conclusa per la semplice ragione che abbiamo ammazzato tutti i paraguaiani maggiori di dieci anni” (Julio José Chiavenato, op. cit).
Perché ognuno ha gli eroi che si merita, nel 1947 l’American Conference of Education ha istituito come Giorno Panamericano del Maestro il Giorno 11 settembre in onore della morte dell’umanista Sarmiento.
Comunque, il maestro Sarmiento né mentiva né esagerava:
Nella Battaglia di Acosta Ñu o Battaglia dei Bambini, il 16 agosto 1869 i 20.000 soldati della triplice alleanza, oltre ad ammazzare i 500 soldati paraguaiani, sterminarono fino all’ultimo i 3.500 bambini paraguaiani che vi si opponevano, con finte barbe per sembrare più vecchi.

Piccola consolazione: In Paraguay non si festeggia la Giornata Internazionale del Bambino nella data convenzionale, il primo di giugno. Si celebra il 16 agosto, giorno in cui si commemorano i bambini che combatterono la Battaglia di Acosta Ñu, la “Batalla de los Niños”.
“I bambini di massimo 8 anni, nel fragore della battaglia, terrorizzati, si aggrappavano alle gambe dei soldati brasiliani e piangendo, li imploravano di non ucciderli ma venivano massacrati e decapitati sul posto senza alcun segno di pietà” (José Maria Rosa, “La Guerra del Paraguay y las Montoneras argentinas”, Editorial punto de encuentro, Buenos Aires 2008).

Alla fine della guerra, il Paraguay aveva perso circa 140.000 km2 del suo territorio.
La sua industria di base venne distrutta e diventò una colonia di colonie.
Il solo vincitore del conflitto è stato l’impero britannico: era riuscito ad annientare la popolazione che si opponeva ai suoi piani e ad imporre il suo completo dominio sulle nazioni che l’avevano aiutato a distruggerla.
Brasile, Argentina e Uruguay finirono, infatti, la guerra legati mani e piedi ai piani inglesi per gli esorbitanti debiti esteri contratti (61,5 milioni di sterline provenienti dalla Banca Baring e Rotschild solo per le spese della guerra).

Scrive Jorge Daniel Zárate in “De cómo Brasil se quedó con las tierras de Itaipú” (“E’a”, Asunción 3 marzo 2009):
“La Guerra della Triplice Alleanza (…) è stato il maggiore conflitto armato del continente americano. Dopo cinque anni di lotta, sono morti due terzi dei paraguaiani adulti (…) Morirono tra 250.000 e 600.000 paraguaiani.
Fu un crimine per incarico.
Scrisse lo stesso “The Times” a Londra il 3 settembre 1864:
”La repubblica del Paraguay, sotto la direzione del presidente López continua a progredire ad un ritmo meraviglioso (…) ogni tipo d’industria si sviluppa (…)
Scrisse ancora “The Times”:
Dopo il tragico primo marzo 1870, in 56 mesi, il Brasile ha perso 56.280.000 milioni di sterline e 168.000 uomini. L’Argentina 9.326.000 sterline e 18.720 uomini. Montevideo 248.000 sterline e 3.120 uomini. Le ferite del Brasile difficilmente saranno ricuperate in questo secolo, quelle di Buenos Aires e Montevideo potrebbero essere ricuperate nel presente secolo, ma il colpo inferto al Paraguay è stato finale e definitivo»” .
Due giorni prima, domenica 1° marzo 2009, il quotidiano brasiliano “O’ Globo” rivelava:
“Il governo (presieduto da Lula da Silva) intende impedire l’apertura degli archivi della Guerra della Triplice Alleanza. Lo preoccupano in particolare i documenti collegati alla delimitazione dei confini dopo la fine della guerra con il Paraguay (1864-1870)”

A guerra finita, l’acciaieria fu distrutta dalle truppe alleate e la ferrovia fu venduta agli inglesi.
Al resto hanno provveduto i successivi governi fantocci mettendo all’asta le terre dello Stato. Regolarmente, queste terre sono state acquisite da capitali provenienti da Londra, New York, Amsterdam, Buenos Aires e San Paolo.

Comunque, il fatto è che alla fine della guerra, per la prima volta in decenni, il contadino paraguaiano diventava straniero nella sua terra.
Era uno straniero indebitato.
Come atto di nascita del neolatifondo in un Paraguay ormai pacificato e “aperto al progresso”, pur non avendo un centesimo di debito estero i governi fantocci ipotecavano tutte le terre fiscali per ricevere prestiti dalla banca inglese.

Rodrigo Andrea Rivas

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