Internazionalismo proprietario
Il fine settimana scorso Francia, Germania, Italia e Olanda hanno firmato un accordo con l’azienda farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca per garantire all’UE tra 300 e 400 milioni di dosi del vaccino contro il Covid-19 che questo consorzio sviluppa assieme all’Università di Oxford.
Qualche giorno prima, l’azienda aveva firmato accordi simili con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e alcune organizzazioni private, per altre 700.000 dosi.
Dalle comunicazioni del ministro italiano (Roberto Speranza, LEU) e dai conseguenti commenti giornalistici, pare che a molti sia sembrata cosa pressoché fatta.
Invece, si tratta solo di una scommessa: se funziona, nella migliore delle ipotesi il vaccino non sarà disponibile prima della fine dell’anno.
Questi accordi hanno una caratteristica: i governi firmatari investono somme importanti per aumentare la capacità produttiva dell’azienda.
L’anticipo equivale alla “prenotazione”, non gratuita, per garantirsi l’accesso privilegiato.
E’ una sorta di “contratto in verde”, direbbe un broker: come pagare in anticipo la produzione di caffè alla semina, calcolando la resa in base ad una serie storica ed il guadagno in base alla speculazione che si pensa di poter mettere in atto all’atto di vendita.
Questi accordi si contrappongono alla domanda di molti governi, del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, e del direttore generale del’OMS, Tedros Adhanom Gebreyesus: condividere gli sforzi per creare un vaccino accessibile a tutta l’umanità da distribuire in modo solidale.
A questo scopo, il 24 aprile l’OMS ha presentato un’alleanza per lo sviluppo e condivisione degli strumenti sanitari atti a combattere il Covid-19: vaccino, metodi diagnostici e trattamenti.
Alla conferenza virtuale assistevano il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha sottoscritto l’accordo, e il capo del governo spagnolo, Pedro Sánchez, che ha perorato a lungo sulla necessità di abbandonare gli sforzi individuali ed iniziare una collaborazione collettiva.
Gli accordi privilegiati tra i governi e la bottega farmaceutica transnazionale contraddicono in modo lampante quanto concordato.
Le dimensioni dell’investimento e dei campioni, i rischi inerenti, la paura dei mercati regolatori, sono solo alcuni tra gli ostacoli reali per arrivare ad un vaccino in tempi utili.
Né un’azienda privata, né un governo, né un paese da solo, sembrano in grado di superarli.
Il comportamento dei 4 soci dell’UE, della Gran Bretagna e degli USA solleva una questione eticamente rilevante ed il loro dilettantismo e cecità di classe li espone ad una solenne cantonata.
La pandemia richiede una collaborazione globale non soltanto per ragioni etiche, ma poiché ha già dimostrato che non esistono territori che ne possano restare esenti.
In questo senso, non pare granché intelligente l’idea di creare isole, per quanto grandi un miliardo di vaccinati, isolate dalle isole contenenti sette miliardi di non vaccinati.
Poiché mi riesce difficile immaginare una fotografia altrettanto nitida della disuguaglianza, penso che anche tra il miliardo di vaccinati questo apartheid planetario provocherebbe qualche protesta.
C’è, inoltre, un piccolo paradosso: il denaro dei paesi arricchiti non garantisce che il vaccino Astrozenecatese sia pronto prima degli altri 9 in fase di studio e, malgrado la grande sicumera e l’inegualabile grandeur, potrebbe perdere la gara al Santo Graal farmacologico.
Poiché non esistono solo corruzione e ladrocini, presumo che si tratterebbe di un caso di sperpero di denaro pubblico per appoggiare un consorzio privato e che, in quanto tale, costituirebbe un’altra modalità di cattivo uso di beni comuni.
Ma so che, anche in questo caso, probabilmente tutto finirà a tarallucci e vino.
Mi preoccupa dover rifarmi una domanda che mi perseguita da tempo: come avrà fatto l’allora ministro Francesco Storace a smaltire i 6 milioni di dosi del vaccino contro l’influenza aviaria acquistate per le forze armate?