Haiti: Secoli di solitudine  

Haiti: Secoli di solitudine   

Manifestanti a Port-au-Prince, 7 febbraio 2019. Hector Retamal, AFP

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Buon Signore che ogni giorno fai risplendere su di noi il sole
e lo fai sorgere dal mare.
Che fai ruggire le tempeste e che governi i tuoni.
Signore che ti nascondi in cielo da dove ci guardi.
Il Signore vede ciò che i bianchi hanno fatto.
Il loro dio ha comandato questi crimini,
ma i nostri ci hanno dato benedizioni.
Il Buon Dio ordina vendetta.
Egli darà forza e potenza alle nostre braccia e coraggio ai nostri cuori.
Egli ci sosterrà.
Abbattiamo le immagini del dio dei bianchi,
perché è lui che fa scendere le lacrime dai nostri occhi.
Per la libertà che risuona ora nei nostri cuori.”
“Preghiera di Boukman”, Bois Cayman, vespro del 14 agosto 1791[1]

 

1 – Nel febbraio 2019 l’ennesima rivolta haitiana coincide con le celebrazioni dell’indipendenza della Repubblica Dominicana, che con Haiti divide l’isola di Hispaniola.

La sollevazione nasce da cause interne, come da secoli, ma questa volta contiene anche un elemento esterno: il tradimento del governo verso il Venezuela.

I cartelloni urlano “Nou gen dwa viv tankou moun”, vogliamo vivere come persone umane. Stramba idea per il razzismo dominante.

Sui social qualcuno protesta perché non se ne parla. Spesso, si contrappone questo silenzio all’inflazione di notizie sul Venezuela. “Lo ignorano poiché non c’è petrolio”. Ma sul Venezuela le notizie non solo sono generalmente di parte ma, in genere sono commenti. Le notizie sono poche.

Soprattutto, penso che si tratti di una spiegazione troppo parziale per essere convincente.

Da una parte, il più elementare materialismo mi spinge a considerarla ragionevole. Dall’altra, credo che sia necessario integrarla: la ragione fondamentale per cui non si parla di Haiti a queste latitudini, è che della disgrazia infinita dei neri non gliene frega nulla. La mancanza di petrolio accentua il disinteresse, ma in Nigeria e Angola il petrolio c’è. Eppure, non se ne parla lo stesso, malgrado la Nigeria sia – con il Sudafrica – la principale economia di un continente in via di esplosione e proprio in questi giorni debba eleggere il Presidente della repubblica. Certo, so che al silenzio contribuisce l’attività dell’ENI, per il quale meno se ne parla, meglio è.

Ma, se da queste parti a nessuno frega qualcosa delle disgrazie dei neri, essendo sempre le idee della classe dominante le idee dominanti, ciò accade anche ad altre latitudini e persino in Africa.

Ad esempio, nel Cile, una popolazione senza memoria permette – senza grandi proteste – che dal 2018 il governo espella centinaia di profughi haitiani[2]. Non sono originali, ed i loro metodi somigliano molto a quelli utilizzati dal governo italiano con i profughi albanesi nel 1991.

Poiché la memoria è labile, ricordo quanto fu allora sbrigativo il governo italiano:

“I profughi vennero imbarcati su traghetti e aerei diretti in Albania con la convinzione di essere trasferiti in altre città italiane. Lo stadio dov’erano stati concentrati venne svuotato: alcuni accettarono di tornare in patria, ricevendo la somma di 50.000 lire. Gli altri, persuasi di avere vinto la loro battaglia, lasciarono lo stadio. Ma sono stati immediatamente presi e imbarcati su aerei diretti a Tirana. E così, tra luci e ombre, tra la solidarietà di una città intera e la fermezza del governo centrale, si è conclusa la storia di quasi tutti i 20.000 albanesi che, stipati sulla Vlora, avevano cercato di raggiungere in Italia l’America”[3].

Per la cronaca, ricordo i nomi dei personaggi principali di questo specifico capitolo della storia universale dell’infamia: il capo del governo era Giulio Andreotti, il suo vice Claudio Martelli. Ci sono ancora in giro alcuni sopravvissuti politici di quella stagione. Il più famoso è Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica. Ma è doveroso aggiungere che, avendo rinunciato al suo incarico poco prima, non prese parte a quella decisione[4].

Albanesi e haitiani sono tornati a casa, in nave e/o in aereo, senza pagare il biglietto. È la “pacchia”.

Nel Bel Paese gli albanesi erano definiti “socialmente pericolosi”. Perché ex comunisti e/o probabilmente delinquenti.

Anche nella versione dei cileni (“versione pinguinesca”), gli espulsi sono “socialmente pericolosi”. Non per derive ideologiche o eventualmente delinquenziali. La loro colpa è che insistono a restare neri. Alcuni, seguendo il poeta, ideologo della négritude e primo presidente del Senegal indipendente, Léopold Sédar Senghor, arrivano a mettere in dubbio la qualifica “uomo di colore”.

Senghor scrive:

“Caro fratello bianco, quando sono nato ero nero, quando sono cresciuto ero nero,
quando sto al sole, sono nero.
Quando sono malato, sono nero, quando io morirò sarò nero.
Mentre tu, uomo bianco, quando sei nato eri rosa, quando sei cresciuto eri bianco,
quando vai al sole sei rosso, quando hai freddo sei blu,
quando hai paura sei verde, quando sei malato sei giallo, quando morirai sarai grigio.
Allora, di noi due, chi è l’uomo di colore?”[5]

In molti sensi, il Nuovo Mondo si rivela tale perché comportamenti, regimi, arguzie, pretesti… sono più brutali e meno sofisticati che altrove. Sono, per così dire, più allo stato brado, più liberi e quasi selvatici.

In negativo, ce l’ha ricordato il 26 febbraio il presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Alfredo Stroessner, dittatore del Paraguay per 25 anni (1964-1989), era, per sua stessa ammissione, un nazista. Per dirla con Francesco de Gregori, “che fosse un bandito, negare non si può”[6].

Essendo “un figlio di puttana ma il nostro figlio di puttana”, come affermava il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt di un suo simile, il nicaraguense Anastasio Somoza, è stato uno degli organizzatori della “Operación Cóndor”, nome dato dai servizi segreti statunitensi, dalla CIA e dall’amministrazione Nixon, a una massiccia operazione che ebbe luogo negli Anni ‘70 del XX secolo per reprimere le varie opposizioni ai governi  di Cile, Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia e Venezuela. Negli “Archivi del terrore”, trovati proprio in Paraguay nel 1992, si fa l’elenco di 50.000 assassinati, 30.000 scomparsi e 400.000 prigionieri[7].

Senza nemmeno scomporsi, Bolsonaro l’ha definito “un grande statista”[8].

Ma torniamo a noi.

“Abuso lavorativo, sovraffollamento abitativo, difficoltà per accedere ai servizi educativi e sanitari, sono il pane quotidiano dei migranti haitiani in Cile. Devono anche far fronte a pregiudizi, classismo e razzismo. I furbi li abusano, li derubano, li truffano. Arrivano persino a vendere a loro contratti falsi per fargli avere dei documenti. Alcuni sono morti assiderati a Santiago. Joseph Polycart dopo essere stato cacciato due volte da un ospedale senza riuscire a farsi visitare. Benito Lalane per ipotermia nella sua stanza. Nella morgue, da settimane ci sono 4 corpi di haitiani che nessuno riconosce. In Cile, afferma Pablo Valenzuela, direttore regionale del Servizio Gesuita per i Migranti (SJM), si è scatenato il razzismo contro la migrazione nera. La sola loro presenza ha risvegliato una forte xenofobia. Il progetto migratorio degli haitiani non ha alcuna sintonia con la nostra realtà neoliberista. Sono visti solo come questuanti, mai come persone”[9].

“Ieri, un taxista ha cacciato via una coppia di colombiani che gli aveva chiesto di raggiungere il più vicino centro di assistenza sanitaria perché la donna era sul punto di partorire. Lina García, 21 anni, di razza nera, ha partorito sul marciapiedi. E sul marciapiedi ha visto morire il suo bambino”[10].

Haiti è bersaglio prediletto del moto “Razzisti del mondo, unitevi”. L’internazionale razzista ha condannato gli haitiani “all’isolamento perpetuo” poiché statunitensi ed europei temono che il “virus” della ribellione che li accomunerebbe possa uscire da Hispaniola. E poiché la vita degli haitiani vale meno del piombo per ucciderli, pur non dichiarandolo preferiscono farli morire a casa loro. Non importa se di terremoto, di epidemie, di urgano o di fame: “Devono morire”.

2 – I primi emigranti a popolare in ondate successive le isole dei Carabi arrivarono da diverse zone del continente, particolarmente dalle Guyane. Erano per lo più popoli orinoco-amazzonici di origine arawak che vivevano nello stadio di comunità primitiva e chiamavano sè stessi “taino”. La volontà espressa dagli invasori fin dalle “Capitolazioni di Santa Fe”[11] li fece entrare nella storia scritta, quella dell’Europa occidentale, dalla porta posteriore, in condizioni di emarginazione subalterna e periferica. Nella sua “Historia (general) de las Indias[12], Bartolomé de Las Casas riferisce che nel 1492 erano circa 3 milioni in tutti i Caraibi e che nel 1508 rimanevano circa 60.000 taino nell’isola di Hispaniola. Che nel 1531 erano ridotti a 600 e, infine, che nel 1539 erano scomparsi da tutte le isole. Con loro scomparve il soggetto originario della cultura primaria caraibica.

Nell’America continentale l’indigeno rappresenta gli attributi fondatori, nei Caraibi non esiste alcun soggetto in grado di esprimerli malgrado che, fino a quando nel 1519 le navi spagnole toccarono per la prima volta la terraferma, l’America erano i Caraibi.

Fin dall’inizio, si trattava di un territorio concepito esclusivamente per il godimento degli europei. “È il paradiso terrestre”, scrisse Colombo nel suo “Diario di bordo”[13]. All’inizio, era il paradiso del cibo e delle spezie. Poi, dello zucchero, del caffè, del rhum… Oggi, “il paradiso di lunghe spiagge di sabbia e alberi di cocco completa il feticcio commerciale. Forse per questo, dal piacere turistico l’occidentale continua a non voler vedere più in là del tropico”[14].

Quando i bisogni dello sviluppo europeo resero necessario aumentare la manodopera, arrivarono i neri portati dall’Africa in schiavitù.

L’economia delle piantagioni aveva le capacità produttive richieste dal mercato internazionale dominato dall’industria europea, e la schiavitù era un modo per aumentare sia la produttività del lavoro, sia il tasso di profitto, grazie ad un’organizzazione fondata sul lavoro dei neri dominati da un ridotto gruppo di residenti bianchi, proprietari delle piantagioni o rappresentanti dei proprietari residenti nelle metropoli.

Nei Caraibi spagnoli, precedentemente colonie di popolamento, l’arrivo della manodopera africana si circoscrive alla seconda metà del XVIII secolo, quando ormai esisteva una popolazione stabile, pur se emarginata e marginale.

Nei Caraibi francesi, inglesi e olandesi, che non avevano una popolazione stanziale, le colonie nascono come piantagioni, vere prigioni di lavoro forzato estese quanto un’isola. Perciò gli attuali livelli di meticciato sono maggiori nei Caraibi ispani. Ma in tutta l’area il dibattito razziale resta a fior di pelle perché, seppur con l’abolizione della schiavitù il vecchio schiavo è diventato contadino, continua ad occupare l’ultimo gradino della società capitalistica.

3.- La sera del 14 agosto 1791 lo schiavo e sacerdote voodoo Dutty Boukman apriva la cerimonia degli schiavi delle piantagioni vicine recitando la preghiera citata in epigrafe.

A Bois-Cayman (Bwa Kayiman), il vespro diventava incontro strategico dei cospiratori della rivolta contro i proprietari bianchi delle piantagioni della colonia. Concluso il rito, iniziava l’insurrezione di schiavi trasformatasi in seguito nella Rivoluzione che avrebbe infiammato in pochi giorni tutte le pianure del nord haitiano.

In termini storici, il giuramento di Bois-Cayman è contemporaneamente l’atto di nascita della prima rivoluzione dei neri al mondo e il calcio d’inizio della guerra d’indipendenza latinoamericana.

A quell’epoca, Haiti generava il 75% della produzione mondiale di zucchero e produceva più profitti per la Francia di quanti ne producevano le 13 colonie nordamericane per l’Inghilterra.

“Haiti era stata la perla della corona, la colonia più ricca della Francia: una grande piantagione di zucchero, con il lavoro degli schiavi. Nello Spirito delle leggi, Montesquieu lo aveva spiegato senza peli sulla lingua: «Lo zucchero sarebbe troppo caro se non lavorassero gli schiavi per la sua produzione. Tali schiavi sono neri dai piedi alla testa ed hanno il naso così schiacciato che è quasi impossibile sentire pena. Risulta impensabile che Dio, che è un essere molto saggio, abbia messo un’anima, e principalmente un’anima buona, in un corpo interamente nero».

Invece, Dio aveva messo una frusta nelle mani del caporale. Gli schiavi non si distinguevano per la loro volontà di lavoro. I neri erano schiavi per natura e lazzaroni anche per natura, e la natura, complice dell’ordine sociale, era opera di Dio: lo schiavo doveva servire il padrone ed il padrone doveva castigare lo schiavo, che non mostrava il minimo entusiasmo al momento di compiere il disegno divino. Karl von Linneo, contemporaneo di Montesquieu, aveva dipinto il nero con precisione scientifica: «Vagabondo, ozioso, negligente, indolente e di abitudini dissolute». Più generosamente, un altro contemporaneo, David Hume, aveva verificato che il nero «può sviluppare alcune abilità umane, come il pappagallo che dice qualche parola»”[15].

Manifestanti sfilano per le strade di Port-au Prince, 7 febbraio 2019, Hector Retamal, AFP

Dopo le prime scaramucce e la conseguente fuga delle truppe stanziali francesi, gli haitiani cacciarono via i distaccamenti inglesi e spagnoli che, fiutando un affare, avevano invaso l’isola. Poi, arrivò il turno di Napoleone che, con la tradizionale “grandeur”, sognava un suo grande impero coloniale in America.

A tale scopo, l’imperatore aveva comprato dalla Spagna l’enorme territorio della Louisiana, da secoli conteso alla Spagna, per recuperare il controllo totale della sua principale colonia: Saint-Domingue[16]. Quindi, nel gennaio 1802 spediva sull’isola ribelle una grande spedizione militare, composta da 50 navi e 30.000 soldati professionisti, comandati da suo cognato, il generale Victor Emanuel Leclerc. Tuttavia, malgrado la deportazione del capo dei rivoluzionari, il giacobino Touissaint L’Ouverture[17], il 12 novembre 1803 Jean Jacques Dessalines e Alexander Petion sconfiggevano definitivamente la Francia nella battaglia di Vertieres. Nel 1804 Dessalines proclamava definitivamente l’indipendenza di Haiti e l’abolizione della schiavitù.

La disfatta aveva dimensioni catastrofiche per Parigi. Due anni dopo, per far fronte ai costi dell’avventura caraibica e poiché la sconfitta haitiana aveva reso indifendibili i suoi territori nordamericani, la Francia era costretta a vendere la Louisiana agli Stati Uniti per 15 milioni di dollari. La Louisiana aveva allora 2.144.476 km² e comprendeva, oltre all’attuale Louisiana, gli attuali stati d’Arkansas, Missouri, Iowa, Oklahoma, Kansas, Nebraska, Minnesota al sud del Mississippi, quasi tutto il Sud ed il Nord Dakota, il nordest del Nuovo Messico, il nord del Texas, parte del Montana, del Wyoming e del Colorado, più Alberta e Saskatchewan nell’attuale Canada. Era il doppio della superficie degli Stati Uniti di allora, il 23% di quella attuale.

Tuttavia, i francesi riuscivano a mantenere il controllo dei territori orientali dell’isola, capitale Santo Domingo, appoggiati dagli ex-coloni spagnoli che, definendosi “spagnoli mulatti”, rifiutavano di essere diretti dagli ex-schiavi neri. Quindi, si apriva un’altra lunga guerra che si concludeva solo nel 1821 con la vittoria degli haitiani che imponevano l’abolizione della schiavitù, la riforma agraria, la ridistribuzione delle terre, l’educazione obbligatoria, laica e gratuita. Era troppo per la Chiesa cattolica che, dopo essersi opposta formalmente ad “atti in contraddizione con le Sacre scritture”, chiamava alla rivolta armata.

Il 27 febbraio 1844 una insurrezione popolare guidata da Juan Pablo Duarte portava all’indipendenza della Repubblica Dominicana.

Hispaniola era formalmente divisa in due. Il terzo occidentale era governato dai neri antischiavisti. I due terzi orientali dai mulatti che, nella loro furia iconoclasta contro i neri, arrivavano persino a firmare un trattato di riammissione alla Spagna (1861).

Come sarebbe avvenuto ai militari argentini con l’occupazione delle isole Malvine molti anni più tardi, accade che “sparando al perno”, dritto all’insù, i proiettili cascassero sui loro piedi: l’annullamento dell’indipendenza diede inizio alla “Guerra di Restaurazione” conclusasi con l’indipendenza definitiva nel 1863.

4.- In un discorso tenuto in diverse località statunitensi a partire dal 1930, il più decorato militare statunitense, il Generale del corpo dei marines, Smedley Butler, affermava:

“Ho passato 33 anni e 4 mesi in servizio militare attivo, e durante questo periodo ho speso la maggior parte del mio tempo come uomo di fatica di alto profilo per il Grande Mercato, per Wall Street e per le banche. In pratica ero un estorsore, un gangster a servizio del capitalismo. Nel 1914 ho contribuito a rendere il Messico e specialmente Tampico un terreno sicuro per gli interessi petroliferi americani. Ho contribuito a rendere Haiti e Cuba luoghi convenienti per fare affari per i ragazzi della National City Bank. Ho contribuito allo stupro di una mezza dozzina di repubbliche del Centro America a beneficio di Wall Street. Tra il 1902 ed il 1912 ho contribuito a purificare il Nicaragua per la banca internazionale d’affari Brown Brothers & Co. Ho portato la luce in Repubblica Dominicana, nel 1916, per gli interessi americani nella produzione di zucchero. Nel 1903 ho dato una mano a rendere l’Honduras un buon posto per le compagnie statunitensi della frutta. Nel 1927 in Cina ho dato il mio contribuito per fare in modo che la Standard Oil potesse continuare ad operare indisturbata. Guardando indietro, avrei potuto dare alcuni buoni suggerimenti ad Al Capone: il meglio che era riuscito a fare era estendere il suo racket a tre distretti; io ho operato in tre continenti”[18].

Infatti, nel 1916 la Repubblica Dominicana viveva la prima occupazione militare da parte degli Stati Uniti. Il pretesto era: è incapace di pagare il suo debito estero. La verità, come affermava Butler: si devono consolidare i nostri interessi sulle piantagioni di canna da zucchero.

Prima di andarsene, i monelli raggruppati dal moto “Semper fidelis”, creavano la “Guardia nazionale” e ne installavano a capo il loro proconsole Rafael Leónidas Trujillo. Pochi anni dopo, avendo deposto il presidente in carica Trujillo diventava il primo di una lunga saga di satrapi caraibici. Formalmente era stato eletto ed i suoi voti superavano persino il numero degli elettori. Come elisir di lunga vita destinò il 21% del bilancio nazionale alla sua Guardia nazionale e ai vari rami spionistici derivati. La sua dittatura sarebbe durata fino al maggio 1961, quando una pallottola dispersa sparata da un fucile rimasto sconosciuto metteva fine alla sua esistenza quando passeggiava nei dintorni della capitale da lui ribattezzata “Ciudad Trujillo”. Vorace quanto Boris Yeltsin, alla sua morte aveva accumulato all’estero circa 800 milioni di dollari[19].

Molto prima, però, “il benefattore” aveva ideato la moderna versione isolana per massacrare neri: ubriaco in un bordello e volendo ingraziarsi la proprietaria (donna Isabel, da lui stesso nominata precedentemente senatrice della repubblica), ordinava di uccidere gli haitiani residenti nelle zone di confine dominicano. Eseguendo l’ordine, furono assassinati non meno di 18.000 haitiani. Passata la sbornia, Trujillo giustificava il massacro attribuendolo ad una rivolta del popolo dominicano contro l’invasione haitiana e, bonariamente comprensivo dello stato d’animo della sua gente, lanciava una campagna di “dominicanizzazione” della frontiera, antesignana dell’“America First” e di altre simili amenità come il casareccio “Prima gli italiani”.

Da quelle parti, il massacro degli haitiani è denominato “Massacro del prezzemolo”, poiché gli haitiani erano identificati dalla loro pronuncia della parola “perejil” (prezzemolo in spagnolo). Scrive lo storico statunitense Robert D. Crassweller:

“…I terribili fatti avvennero nelle 36 ore susseguenti la notte del 2 ottobre. Ebbero un’apparente spontaneità e successivamente si fece ogni sforzo per mantenere quella impressione… Solo a Santiago, l’esercito catturò tra mille e duemila haitiani, li rinchiuse come un gregge dentro un cortile circondato da uffici del Governo e si dedicò al compito di decapitarli sistematicamente con il machete, arma preferita alle armi da fuoco per simulare un attacco spontaneo da parte degli infuriati contadini dominicani… A Monte Cristi, un altro numeroso gruppo di haitiani fu costretto a marciare sospinti dalle baionette e con le braccia legate, fino all’estremo dell’imbarcadero dove sono stati affogati semplicemente spingendoli nelle acque profonde… A Dajabón, sul fiume Masacre, migliaia di haitiani sono stati abbattuti a colpi di machete e di fucile mentre cercavano di trovare un rifugio. I cadaveri erano talmente tanti da ostruire il fiume, ma si contavano a migliaia anche nelle oscure vallate, nelle vie dei paesi, nelle strade comunali e nella tranquilla e verde campagna. Fiumi di sangue segnavano le sterrate strade rurali ai due lati del confine. Il sangue gocciolava dei carri che trasportavano i cadaveri verso i fossi lontani per cancellare ogni traccia degli avvenimenti…”[20]

Comunque, per grazia ricevuta da un fucile anonimo, il 20 dicembre 1962 la Repubblica Dominicana eleggeva come Presidente, in elezioni libere e democratiche, Juan Bosch, fondatore del Partito Rivoluzionario Dominicano. Bosch prendeva il 59% dei voti ma non l’happy end: sette mesi dopo la sua entrata in carica, il 25 settembre 1963, era deposto da un colpo di Stato capeggiato dal colonnello Elías Wessin, che imponeva un triumvirato militare. Bosch si esiliava a Porto Rico. Meno di due anni dopo, il 24 aprile 1965, l’impopolarità del governo militare portava nuovamente l’esercito a prendere l’iniziativa, questa volta per chiedere il ritorno di Bosch e la restaurazione della Costituzione del 1963 la quale, per la prima volta nella storia dominicana, aveva stabilito diritti sociali per i lavoratori, per le organizzazioni sindacali, per le donne in stato di gravidanza, per i senzatetto, per le famiglie, per l’infanzia, per i contadini e per i figli naturali. Gli insorti, guidati dal colonnello Francisco Caamaño, deponevano la giunta militare. Ma nemmeno questa volta c’era l’happy end: il 28 aprile, “per difendere i cittadini stranieri presenti nel Paese”, gli Stati Uniti inviavano 42.000 soldati sull’isola per rovesciarlo. La chiamarono “Power Pack Operation”.

Il 2 maggio 1965 il presidente statunitense Lyndon B. Johnson giustificava il pacco in diretta TV presentando la “Dottrina Johnson”, un’estensione delle precedenti “Dottrina Eisenhower” e “Dottrina Kennedy”. Disse Johnson: “Le rivoluzioni nei Paesi dell’emisfero occidentale cessano di essere una questione interna se finalizzate all’instaurazione di un regime comunista… Gli Stati Uniti non possono permettere, non vogliono permettere e non permetteranno, l’instaurazione di un altro governo comunista nell’emisfero occidentale”[21].

A proposito dello stato brado, si potrebbe dire.

28 aprile 1965, truppe USA inviate ad invadere la Repubblica Domenicana per schiacciare a rivolta del 24 aprile

5.- L’indipendenza di Haiti era coincisa con la rovina della monocoltura dello zucchero e con gli enormi danni provocati da una guerra che aveva provocato la morte di un terzo della popolazione. Il colpo di grazia è arrivato dalla Francia.

Poiché tra lor signori la continuità ideale esiste, per far pagare l’umiliazione inflitta a Napoleone, Luigi XVIII decretava nel 1814 il blocco totale dell’isola: nessuno poteva comprarle o venderle nulla, nessuno doveva riconoscerne l’esistenza. L’ordine venne rispettato da tutti, compresi i nuovi Stati indipendenti dell’America Latina.

Rovinato e isolato, nel 1825 Haiti doveva arrendersi all’ukase. Allora Parigi lo riconobbe, ma non prima di averlo costretto ad impegnarsi per un indennizzo gigantesco giustificato esplicitamente dal danno che aveva prodotto liberandosi. Espiare il peccato della libertà gli costò 150 milioni di franchi d’oro, circa 22 miliardi di dollari all’attuale cambio, quasi 3 volte il PIL di Haiti nel 2017 (8,408 miliardi di dollari), 44 volte il bilancio pubblico annuo degli ultimi anni. Va da sé: essendo impossibile pagarlo nei tempi previsti (5 anni), gli interessi usurai lo moltiplicarono a dismisura. L’ultima rata del pagamento fu saldata dopo 113 anni, nel 1938, quando Haiti apparteneva ormai alle banche degli Stati Uniti.

Nel frattempo, per non fargli riperdere l’abitudine all’ubbidienza, Haiti è stato invaso dalla Francia nel 1869, dalla Spagna nel 1871, dall’Inghilterra nel 1877 e nel 1915 dai marines, che vi rimassero fino al 1934. Come spiegò Robert Lansing, Segretario di Stato di Woodrow Wilson, “bisogna farlo perché la razza nera ha una tendenza inerente alla vita selvaggia ed è fisicamente incapace di civiltà”[22].

Questa diffusione della civiltà aveva inizio con l’occupazione della dogana e dell’esattoria, per proseguire con la trasformazione della “Banca della nazione” in una succursale della “City Bank” di New York. Poiché il Presidente della repubblica sembrava recalcitrante all’idea di liquidare la Banca centrale, i marines ne trattenevano lo stipendio e, per lasciare in chiaro chi comandava o semplicemente giacché c’erano, gli vietavano – perché nero – l’ingresso nei pubblici esercizi. Imponevano il lavoro forzato come modalità per realizzare le opere pubbliche e abolivano il divieto costituzionale di vendita delle piantagioni agli stranieri. Comunque, bisogna riconoscere che non ristabilirono la schiavitù. Purtroppo, la realizzazione del loro programma di civiltà li costrinse ad uccidere molti haitiani e adottare misure esemplari del tutto simili a quelle precedentemente adottate dai conquistadores spagnoli qualche secolo prima. Ad esempio, dovettero inchiodare il capo della resistenza all’occupazione, Charlemagne Péralte, al portone di una chiesa ma, da buoni devoti, lo inchiodarono a croce.

Nel 1571, gli spagnoli avevano fissato ad un palo la testa di Tupac Amaru. Dovettero toglierla e seppellirla assieme al corpo dopo due giorni perché era diventata oggetto di continua adorazione per la sua gente. Nel 1919, gli statunitensi fotografarono e distribuirono in tutto il territorio la foto di Péralte inchiodato per demoralizzare la popolazione, ma dovettero ritirarla dopo pochi giorni poiché la popolazione lo considerava un martire[23].

Il corpo di Charlemagne Péralte

Nel 1957 gli USA aiutarono ad insediarsi la dittatura dei Duvalier, “Papa e Baby Doc”, e la loro “Repubblica da incubo”[24], il claustrofobico sistema di Papa Doc in cui ognuno era bersaglio dei “tonton macoutes”, il gruppo paramilitare che controllava capillarmente la società. Alla morte di Papa Doc (1971), gli successe il figlio Jean Claude, “Baby Doc”. I due straziarono il Paese per 27 anni, impossessandosi di ciò che restava delle sue ricchezze, sperperando ogni risorsa, riducendo a pezzi il già rachitico apparato produttivo, svendendo parti del Paese alle multinazionali…

La “repubblica da incubo” non devastò solo l’economia e la natura haitiana, ma si accanì contro la società civile manipolandone le coscienze. Papa Doc amava apparire in pubblico con il frac ed il cilindro nero con cui la religione voodoo raffigura il loa della morte, Baron Samedì (o Baron Cimetière, Baron La Croix o Baron Krimminel). Traghettatore dei morti, oltre ad essere l’arbitro supremo della vita del suo popolo si proponeva come padrone della sua morte. Non era Caronte ma un bokor, ossia un houngan o una mambo pratico di magia malvagia a scopi personali, in grado di trasformare i suoi nemici in zombie – un altro termine del voodoo haitiano – ossia in cadaveri privi di volontà che restavano suoi schiavi per sempre.

Va da sé: come fecero poi i generali del Cono sud, per impedire l’elaborazione del lutto e ogni reazione da parte dei familiari delle vittime, i corpi degli uccisi scomparivano.

6.- Da oltre due secoli gli haitiani sono condannati per il loro inconcepibile peccato: essere liberi. Per i bianchi ed i loro imitatori, tanto questa pretesa come le loro vittorie militari potevano essere solo frutto di uno scellerato patto col diavolo[25]. Diversamente dall’Europa medioevale, dove ad essere perseguitate per i loro patti col maligno erano soprattutto le donne, ad Haiti lo sono tutti. Colpendo indistintamente tutti, si potrebbe dire, macabramente, che trattasi di “atrocità democratiche”.

Oltre ogni ragionevole dubbio sul ruolo di Lucifero, l’anatema ha funzionato perfettamente: 215 anni dopo l’indipendenza Haiti, la più ricca colonia francese ed europea del Nuovo Mondo, è lo Stato più povero delle Americhe. Secondo la Banca Mondiale, alla fine del 2018 il 59% della popolazione viveva al di sotto della soglia nazionale della povertà, il 24% al di sotto della soglia nazionale della povertà estrema[26].

Le prime elezioni democratiche haitiane si sono svolte nel 1990. Nel 2004, i marines tornarono per cacciare il presidente in carica, Jean-Bertrand Aristide, detto Titide. I media assolsero la loro funzione trasmettendo immagini di confusione e violenza che confermavano il destino degli haitiani: fare bene il male e male il bene.

“Aristide, il prete ribelle, arrivò alla presidenza nel 1991. Durò pochi mesi. Il governo degli Stati Uniti aiutò a rovesciarlo, se lo portò via, lo sottopose a trattamento e una volta riciclato lo restituì, nelle braccia dei marines, alla presidenza. E un’altra volta ha aiutato a rovesciarlo nel 2004, e un’altra volta c’è stata una strage, e un’altra volta sono tornati i marines, che tornano sempre, come l’influenza.

Ma gli esperti internazionali sono molto più devastanti delle truppe d’invasione. Paese sottomesso agli ordini della Banca Mondiale e del FMI, Haiti aveva obbedito alle loro istruzioni senza batter ciglio. Lo ripagarono negandogli il pane e il sale. Gli congelarono i crediti, nonostante avesse smantellato lo Stato e avesse liquidato tutti i dazi e i sussidi che proteggevano la produzione nazionale. I contadini coltivatori di riso, che erano la maggioranza, divennero mendicanti e boat people. Molti sono finiti e continuano a finire nelle profondità del mar dei Caraibi, ma quei naufraghi non sono cubani e rare volte compaiono sui giornali.

Adesso Haiti importa tutto il suo riso dagli Stati Uniti, dove gli esperti internazionali, che sono persone piuttosto distratte, si sono dimenticati di proibire i dazi e i sussidi che proteggono la produzione nazionale. Sulla frontiera dove termina la Repubblica Dominicana e inizia Haiti, un grande cartello avvisa: Lasciate ogni speranza… Dall’altra parte c’è l’inferno nero. Sangue e fame, miseria, peste”[27].

L’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ha incoraggiato Haiti ad avviare l’esportazione di prodotti agricoli preparati e trasformati, sottolineando la necessità di importare cereali di base sul mercato internazionale … Gli esperti americani hanno lavorato per smantellare l’economia rurale di Haiti, anche se i funzionari dell’USAID hanno riconosciuto che una tale mossa poteva aumentare la povertà e contribuire a un declino degli standard medi di reddito e di salute degli haitiani. Nel 2003, circa l’80% del riso consumato ad Haiti è stato importato dagli Stati Uniti”[28].

Io ricordo Porto Principe nell’ottobre 1991. Conoscevo molti Paesi e regioni povere, ma sono rimasto colpito dalla povertà raggelante della città. Alloggiavo a pochi isolati dal palazzo presidenziale fatto dipingere bianco latte dai Duvalier. Davanti alla Casa bianca c’era la sola via asfaltata della capitale. Per arrivare dall’aeroporto avevo attraversato Citè Soleil. La ricordo come uno scorcio delle scene infernali di Bruegel, ma senza il carnevale. Ci andai a visitare la radio da dove Titide aveva ricreato la speranza della sua gente. Vedendo la sua assoluta mancanza di risorse, mi sono convinto che la volontà è più decisiva dei mezzi.

Ricordo la sera del 12 ottobre, anniversario dello sbarco di Colombo nel 1492. Gli haitiani, dopo avere camminato a lungo, deposero la statua del navigante genovese e la buttarono al mare: “È il capostipite della specie”, mi dissero[29].

Molta acqua è corsa da allora nei Caraibi, il mare d’oro.

7.- Nel gennaio 2010, ad Haiti un devastante terremoto uccise almeno 222.570 persone, lasciò 1 milione e mezzo d’indigenti e provocò danni per 7,9 miliardi di dollari. Il FMI concesse allora un “prestito” di 114 milioni di dollari da rimborsare a partire dal luglio 2015.

Nell’ottobre 2016, il passaggio dell’uragano Matthew provocava ulteriori danni per oltre 2 miliardi di dollari. Nel settembre successivo ci passava Irma, un uragano del quale abbiamo sentito dire qualcosa non solo perché è stato classificato come il più intenso mai registrato nell’Oceano Atlantico al di fuori del Golfo del Messico e del Mar dei Caraibi, ma perché è stato il primo a colpire la Florida, negli Stati Uniti.

Alla fine del 2017 il debito estero di Haiti era stimato a 890 milioni di dollari, per due terzi verso la Banca mondiale e la sua agenzia regionale (Banca Interamericana di Sviluppo, BID).

Agli inizi del luglio 2018, mentre circa 55.000 haitiani continuavano a vivere in accampamenti di fortuna, il monopolio privato che controlla il petrolio ed i suoi derivati ne aumentava tutti i prezzi. Partiva così un nuovo ciclo di proteste che s’intensificavano a partire del 6 luglio.

La sera prima, governo e FMI si erano messi d’accordo per applicare un programma d’austerità, che ad Haiti è come razionarle il sangue a un moribondo durante una trasfusione.

Il 7 luglio il governo faceva marcia indietro ed il presidente Jovenel Moïse chiedeva alla popolazione di ritornare a casa. Ma le proteste proseguivano, provocando almeno tre morti e diversi danni a palazzi pubblici, uffici commerciali, alberghi e uffici a Porto Principe, Cap-Haitien e nelle più piccole Les Cayes, Jacmel e Petit-Goave. Il 14 luglio le proteste costringevano alle dimissioni il primo ministro, Jack Guy Lafontant.

“L’aggiustamento” concordato con l’ FMI aveva il pregio della semplicità: aumentava il prezzo della benzina del 38%, del diesel del 47% e del kerosene, utilizzato dagli haitiani per illuminare le loro abitazioni prive di elettricità, del 51%. Si trattava, chiariva il testo, la prima misura di un “Accordo di aiuto umanitario” destinato a mettere fine ai sussidi sui derivati del petrolio, ridurre il disavanzo della spesa pubblica e “stabilizzare” l’economia.

Dopo il terremoto i donatori internazionali hanno stanziato 12,32 miliardi di dollari di fondi umanitari destinati alla risposta all’emergenza che doveva essere data tra il 2010 e il 2020.

Alla fine del 2012, OXFAM scriveva: “Secondo le Nazioni unite, ancora oggi più di un milione di haitiani hanno bisogno degli aiuti umanitari. Questa cifra include 358.000 persone che ancora vivono nei campi, 500.000 persone che soffrono di insicurezza alimentare e circa 73.500 bambini sotto i 5 anni che sono affetti da malnutrizione… Ci sono ancora 358mila persone vivendo nelle tende allestite all’interno di 496 campi per sfollati e 1,5 milioni di persone colpite da una grave insicurezza alimentare. Il governo non ha affrontato la questione delle migrazioni forzate che violano i diritti degli sfollati interni e più di 75mila persone devono far fronte alla minaccia della migrazione forzata su terreni privati (il 75% dei campi sono allestiti tu terreni privati). Quest’anno gli uragani tropicali Isaac e Sandy hanno distrutto il 25% della produzione agricola nazionale, per un valore di 254 milioni di dollari, e hanno lasciato i contadini con poco per sopravvivere fino al prossimo raccolto di maggio-giugno 2013. Sin dall’inizio dell’insorgere dell’epidemia di colera nell’ottobre 2010, sono stati riportati circa 632mila casi complessivi di colera e più di 7.600 persone sono decedute a seguito della malattia. Le piogge torrenziali causate dall’uragano Sandy hanno provocato enormi inondazioni, colpendo 1,5 milioni di persone. Molte province sono state colpite e il governo di Haiti ha esteso la dichiarazione dello stato di emergenza fino al 5 gennaio 2013”[30].

Il principale donatore erano gli USA ma, poiché l’intera economia di Haiti è al loro servizio, due terzi dei dollari inviati ad Haiti sono tornati negli Stati Uniti.

L’ex presidente Bill Clinton ha avuto un ruolo fondamentale in questo ennesimo latrocinio. “Nei quattro mesi successivi al terremoto ha formato la Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti (CIRH)… Dopo qualche pressione e un po’ di corruzione, il Parlamento haitiano è stato costretto a dichiarare uno stato di emergenza di 18 mesi, durante i quali Clinton e la sua banda del CIRH potevano gestire la ricostruzione a loro piacimento, senza essere perseguiti per la loro responsabilità. Un anno e mezzo più tardi, quando il Senato di Haiti ha rilevato che ben poco era stato fatto, ha accusato il CIRH di essere fraudolento e lo stato di emergenza non è stato rinnovato”[31].

Un cartello durante le proteste a Port-au-Prince, ottobre 2011, “CIRH = Occupazione. Lunga vita Haiti sovrana.” Photo: Ansel Herz

Il terremoto è stata un’altra buona occasione per gli affari e le donazioni hanno in genere favorito le imprese dei Paesi donatori.

Non ho dubbi sul fatto che la maggior parte delle persone che lavorano per organizzazioni umanitarie occidentali abbiano ottime intenzioni. Tuttavia, la “politica occidentale umanitaria” è deliberatamente progettata per mantenere la superiorità del Nord sul Sud.

Nel caso specifici di Haiti, “mentre alcune agenzie statunitensi governative sostengono che i loro programmi sono progettati per ridurre la fame e promuovere la produzione agricola, altri programmi hanno costretto l’apertura del mercato di Haiti, creando milioni di nuovi consumatori per i prodotti agricoli statunitensi, come riso, pollame, carne di maiale e altri, mettendo in crisi la produzione agricola locale e trasformando le abitudini alimentari di Haiti.

Poiché circa il 50-60% della popolazione vive ancora nel settore agricolo, queste politiche hanno avuto effetti molto negativi sull’economia in generale. Ad esempio, uno studio della rivista “Christian Aid” del 2006 stimava in 831.900 le persone direttamente colpite dalla caduta dei prezzi nel 1995. Prima i prezzi proteggevano zucchero, riso e pollo haitiani.

Sotto la tutela del FMI e dopo l’apertura commerciale, Haiti importa ora almeno il 50% del suo cibo, soprattutto dagli Stati Uniti, ed è diventato il secondo più grande importatore di riso statunitense del pianeta. [32]

“Secondo i dati del governo degli Stati Uniti, i cinque principali imprenditori che hanno ricevuto fondi relativi ad Haiti negli ultimi 5 anni sono negli Stati Uniti:

  1. Chemonics International Inc., (società di sviluppo internazionale, USA): $ 118.961.374
  2. Development Alternatives Inc. (società di consulenza, USA): 67.703.366 $
  3. Cce / DFS Inc. (società di consulenza degli Stati Uniti): $ 20.551.722
  4. Tetra Tech Inc. (società di consulenza, ingegneri, ecc, Stati Uniti): 16.294.596 $
  5. Pathfinder International (ONG, Stati Uniti): $ 16.036.859

I primi cinque destinatari dei fondi federali per Haiti per lo stesso periodo sono stati:

1. Ministero della Salute, Haiti: $ 137.751.752

  1. Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Haiti (MINUSTAH): $ 117.111.216
  2. Ufficio di gestione delle urgenze, New York: 36.912.02 $
  3. Città di Miami: 35.270.000 $
  4. Miami- Dade Fire Rescue Department $ 34.070.000”.[33]

Nel dicembre 2014, solo un mese prima, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), aveva fissato in 80.000 le persone che ancora vivevano nei campi, con una diminuzione del 92% riguardo l’inizio della crisi. Ma nulla aveva detto sulla destinazione delle persone che avevano lasciato i campi.

La prima pista la dà “Haiti Grass Root Watch: “200.000 vittime del terremoto hanno lasciato i campi di fortuna per le tre nuove baraccopoli note come Canaan, Onaville e Gerusalemme”[34].

La stessa organizzazione racconta chi vive nelle case pagate dalle donazioni.

“In totale, secondo i dati del governo i progetti hanno permesso di costruire 3.588 case o appartamenti per un costo complessivo di circa 88 milioni di dollari. I donatori internazionali e le agenzie umanitarie private hanno speso però oltre cinque volte tale importo – circa 500 milioni di dollari – per «rifugi temporanei» chiamati «T-Shelters»… Il 21 luglio 2011, il presidente Martelly, l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e il primo ministro Jean Max Bellerive hanno inaugurato l’Expo Habitat: una mostra di circa 60 modelli di case a Zoranje… Tutti sono d’accordo che l’Expo è stato un fallimento. Poche persone l’hanno visitato e ancora meno persone hanno scelto un modello per il loro progetto di ricostruzione. Molti modelli presentati erano molto costosi rispetto agli standard di Haiti”[35].

Ma, con i soldi per i terremotati non si costruiscono solo case:

“Un nuovo hotel Marriott sorge dalle macerie di Haiti e ha ricevuto un notevole sostegno finanziario per 26,5 milioni dalla International Financial Corporation (IFC) membro del Gruppo della Banca mondiale … La Banca Mondiale è stata bersaglio di critiche per iniziative quali il «Projet national de développement communautaire participatif» (PRODEP). In seguito a un’indagine durata otto mesi, «Haiti Grassroots Watch» ha rilevato che PRODEP «ha contribuito a minare uno stato già debole», «danneggiato il tessuto sociale di Haiti», «sollevato questioni di sprechi e corruzione», «contribuito a rafforzare lo status di ‘Repubblica delle ONG’ di Haiti», «danneggiato i sistemi di solidarietà tradizionali e, in alcuni casi, aumentato il potere delle élite locali»”[36]. Inoltre, “sempre per «ricostruire» il Paese, la «Clinton-Bush Haiti Fund» ha investito 2 milioni di dollari nel Royal Oasis Hotel, un resort di lusso costruito in un’area metropolitana colpita da povertà e piena di campi di sfollati abitati da centinaia di migliaia di persone” [37].

Nella sua affannosa operosità, la Clinton-Bush Haiti Fund ha usato anche soldi destinati alla ricostruzione per costituire una società che controlla le miniere d’oro del Paese (valore stimato, 24 miliardi di dollari), presieduta dal fratello di Hillary, e ha installato al confine con la Repubblica Dominicana, fabbriche d’assemblaggio (maquila) in zona franca. Sorpresa: i salari sono miserabili e la sindacalizzazione è vietata.

Dopo il terremoto Haiti è “il Paese delle ONG”, oltre 14.000 – ma solo 300 sono iscritte nell’albo nazionale – per 9 milioni di abitanti. Se ipotizziamo una media di 10 cooperanti per ognuna, media molto modesta, significa 1 cooperante ogni 64 abitanti. È la gallina delle uova d’oro per le ONG di cui una buona parte sono sostanzialmente degli sportelli bancari fuori controllo.

Così, il rapporto tra l’infelicità degli haitiani e la felicità di queste ONG è diventato diretto. Stante la debolezza dello Stato e la loro forza, si parla di “uno Stato in via di oennegizzazione”.

Detto altrimenti, ad Haiti è stata dimostrata la capacità capitalistica di mercantilizzare qualsiasi cosa. Nulla di nuovo nel Paese di “Mafia capitale”: qualsiasi necessità può diventare un buon affare e/o un traffico lucrativo. Possono essere succosi affari la malattia, la sofferenza, l’educazione, il sesso, la paternità, lo sport, il riposo, l’arte, respirare aria pulita… Perché non dovrebbero esserlo la solidarietà o la compassione?

“«Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati?», chiede Buzzi al telefono con la sua assistente Piera Chiaravalle: «Non c’ho idea, no», risponde; «Eh, il traffico di droga rende meno», risponde Buzzi, alla guida dell’impero delle cooperative Eriches-29 giugno con sede a Pietralata: «Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato ma tutti i soldi, gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, sulla emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero»”[38].

Con la mercantilizzazione dell’aiuto umanitario “i disastrati” abbandonano il centro della scena. Poiché ogni mercato capitalistico genera una ineludibile tendenza alla crescita e all’aumento delle proprie quotazioni in un ambiente sempre più competitivo, il centro della scena è occupato “dai donanti”. Per rispondere loro, “il prodotto umanitario” offerto deve essere attraente. Per “venderlo” bisogna adoperare costose e sofisticate tecniche di marketing e disporre di tecnici e dirigenti sperimentati. In molti casi, si devono creano vere e proprie multinazionali con sedi nei paradisi fiscali per “gestire” i fondi.

Non tutte le ONG sono come la Fondazione Clinton o la Fondazione Gates, ovviamente.

Avendo impiegato parte importante della mia vita a lavorare con organizzazioni del volontariato, non considero questa una deriva fatale e tantomeno penso ci si deva tenere alla larga delle ONG.

Mi onoro, d’altra parte, di essere un piccolissimo donatore di Emergency, una ONG che oltre a scopi per me condivisibili, si caratterizza per compiti, risultati e conti trasparenti e certificati.

Conosco molte ONG piccole, caratterizzate dalla disinteressata dedizione dei loro aderenti e, molto spesso, dai buoni risultati ottenuti in rapporto agli obiettivi dichiarati.

Nel caso haitiano, posso dire che mi sembra particolarmente apprezzabile l’attività della Caritas[39], specie riguardo al lavoro con i contadini[40] e quella in campo educativo realizzata dall’AVSI [41].

Ma il problema non è solo l’ex presidente Clinton, e c’è persino un processo penale contro la direzione di OXFAM per sfruttamento e abuso sessuale, negligenza e nepotismo.

Nel febbraio 2019 è iniziato il nuovo ciclo di proteste a Montrouis con l’incendio della questura. Il 7 febbraio, anniversario della fuga di Baby Doc, si moltiplicavano le piccole manifestazioni lampo, le carovane di scooter, gli incendi di uffici della polizia e di palazzi del governo, iniziavano gli scioperi dei trasporti e, soprattutto, comparivano migliaia di barricate nella capitale e nelle 10 regioni del Paese.

Il detonatore era ancora il combustibile. Fallito l’accordo col FMI, i distributori hanno semplicemente chiuso e per recuperare il debito del governo, il monopolio ha paralizzato il Paese. Immediatamente tutti i prezzi sono aumentati e l’economia quotidiana dei poveri più impoveriti dell’emisfero occidentale è saltata per aria.

Messo alle corde, il governo di Jovenel Moïse ha cercato di riparare allineandosi agli USA nella questione venezuelana, riconoscendo Napo Guaidó. Un’adesione importante poiché la sua astensione e quella di altri Stati caraibici, aveva evitato l’espulsione del Venezuela dall’OSA nel febbraio 2018.

Spaventato dalla sua popolazione e probabilmente ricattato dalla grande democrazia nordamericana, Moïse ha dimenticato la generosità della politica di integrazione energetica praticata dalla venezuelana Piattaforma Petrocaribe fin dal 2005. Ma il prezzo è alto[42].

In creolo, la parola “ladro” ha una forte connotazione. Come in tutti i popoli aborigeni della regione, il furto è considerato una offesa grave verso tutta la comunità. Normalmente la si adopera con parsimonia ma ora la strada si è abituata a chiamare il presidente e la classe politica “ladri”.

È successo dopo che il Senato e la Corte dei conti hanno provato che tra l’attuale amministrazione e quella precedente (diretta da Michel Martelly) sono scomparsi 3,8 miliardi di dollari destinati alle infinite urgenze infrastrutturali concessi gratuitamente dalla Rivoluzione Bolivariana per i programmi di sviluppo definiti dalla Piattaforma Petrocaribe.

Alle ragioni morali, che per gli haitiani contano, si aggiunge il disastro economico e sociale. La sommatoria unifica la protesta di un composito mosaico di settori sindacali e politici, urbani e contadini, ecclesiastici e imprenditoriali, conservatori e radicali.

Tra i sintomi del disastro si contano la svalutazione della gourde (meno 20% nel 2018); l’inflazione (14-15% nel 2018); la resa di uno Stato che non ha neppure una legge finanziaria (quella prevista per il 2018-2019 è stata ritirata dopo la rivolta contro il FMI); gli alti livelli di disoccupazione e informalità lavorativa (80% della popolazione in età lavorativa); l’analfabetismo (oltre il 50% della popolazione è analfabeta ma, poiché il 90% dell’educazione è privata, non ha possibilità di accesso); la preventivata rovina definitiva della produzione agricola; l’esodo permanente dei giovani verso le città e l’estero, dove sono discriminati e super sfruttati; la fame che attanaglia il 60% della popolazione…

A completare l’inventario di disgrazie e dare un senso alla durezza della risposta della popolazione, un incidente stradale: il 7 febbraio, dopo aver perso il controllo, un’autoblindo dell’ONU si scontrava frontalmente con un tap tap, il mezzo di trasporto più popolare nella capitale, con un saldo di 4 morti e 9 feriti.

Non è in discussione l’involontarietà della disgrazia. È in discussione che un veicolo da guerra circoli liberamente nel centro della capitale di un Paese senza forze armate.

Il 30 aprile 2004, in seguito al colpo di Stato contro Jean-Bertrand Aristide, veniva creata la Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH, da Mission des Nations Unies pour la Stabilisation en Haïti). Immediatamente operativa e con scadenza ottobre 2018, doveva aiutare il governo di transizione nazionale a mantenere l’ordine e la legge, garantire libere e democratiche elezioni e proteggere il personale delle Nazioni Unite impegnato in progetti umanitari. I militari confluiti nella forza multilaterale erano 7.803 soldati (di 19 nazionalità) e 2.136 poliziotti (di 41 nazionalità), più 464 civili (di 115 nazionalità), 1.239 civili haitiani e 207 volontari delle Nazioni Unite. I maggiori contingenti militari, Brasile (1.280), Uruguay (1.136), Nepal (1.078), Sri Lanka (959), Giordania (634), Argentina (557) e Cile (509). L’Italia partecipa con 120 carabinieri.

14 anni dopo, è fuori di ogni dubbio la principale minaccia per la vita degli haitiani. Si tratta di una forza d’occupazione a tutti gli effetti: violentano sistematicamente donne e minorenni (100 soldati pachistani coinvolti nel 2005, 111 caschi blu dello Sri Lanka nel 2007); hanno assassinato un alto numero di giovani nei quartieri della capitale; barattano cibo contro droghe, sigarette, alcol o sesso; commettono ogni tipo di abuso sessuale (soprattutto i caschi blu del Brasile e dell’Uruguay); i soldati nepalesi hanno portato un’epidemia di colera che ha provocato tra 7 e 9mila morti nel 2010[43] e altri 10mila nel 2019[44].

Nell’aprile 2017 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU decise di concludere la missione di MINUSTAH ad ottobre 2017 e di rimpiazzarla con una Missione dell’ONU in Appoggio della Giustizia ad Haiti (MINUJUSTH), per “rinforzare lo stato di diritto, sviluppare la polizia ed i diritti umani, aiutare il governo a consolidare i risultati della stabilizzazione e garantire la loro sostenibilità”. Proprio i lavori di questa missione portarono agli accordi FMI-governo che scatenarono la rivolta.

A fine febbraio 2019, secondo il governo i morti civili erano 10. Secondo l’opposizione erano almeno 60, più 247 i feriti gravi e oltre 600 manifestanti in galera[45]. Sui social girano immagini di ragazzi e bambini agonizzanti sulle strade mentre un nero e denso fumo copre Porto Principe; di uomini in sedia a rotelle protestando sotto il bruciante sole di mezzogiorno; di venditrici ambulanti e di donne anziane che sfidano la repressione.

“Il Paese è completamente bloccato, c’è una barricata con gente armata ogni cento metri, è tutto fermo. E la gente più povera non ha letteralmente più niente da mangiare. Non si può dire che i manifestanti, al di là che la loro partecipazione sia genuina o provocata dall’opposizione, non abbiamo delle ragioni dalla loro parte… L’impressione è che siamo arrivati a una situazione di stallo. Alla fine, il presidente Moise ha fatto una breve dichiarazione, senza però dare un messaggio forte. E l’impressione è che il rapporto di fiducia con la popolazione sia compromesso”, testimonia da Porto Principe Fiammetta Cappellini, referente nell’isola caraibica della Fondazione Avsi[46].

“Tutte le principali strade sono bloccate, si arriva a Port-au-Prince solo in aereo. Alcune organizzazioni hanno lasciato il Paese, noi siamo rimasti ma c’è una minima possibilità di movimento solo nelle prime ore del mattino. I manifestanti non ce l’hanno con le organizzazioni umanitarie, ma non vogliono nemmeno lasciarci lavorare. Non riusciamo a raggiungere le periferie, le bidonville, dove le persone più povere non hanno letteralmente nulla da mangiare”. In tale scenario, prosegue Cappellini, “non è neppure possibile coordinarci con le Organizzazioni internazionali, è tutto bloccato. Speriamo che una tregua possa favorire il raccordo con le Nazioni Unite e le altre organizzazioni”[47].

“Nou gen dwa viv tankou moun”, Noi vogliamo vivere come delle persone, è un programma minimo, semplicemente umano, di una popolazione che, malgrado tutto, continua a credere che la dignità e la convivenza siano fattibili.

Io ricordo gli haitiani che conobbi nel 1991: sofferenti ma mai rassegnati.

Mi viene un dubbio: e se fosse vero che il Padreterno ha iniettato loro il virus della ribellione?

Rodrigo A. Rivas

4 marzo 2019

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[1] Citata da Antoine Dalmas, “Histoire de la révolution de Saint Domingue”, Mame Frères, Parigi 1814. Testo rieditato nel 2010 da Kessinger Publishing Company, Whitefish, Montana.

[2] Nodal, “Pese a la crisis socioeconómica que vive Haití, el gobierno chileno continúa el plan de deportación”, 27 febbraio 2019. https://www.nodal.am/2019/02/pese-a-la-crisis-socioeconomica-que-vive-haiti-el-gobierno-chileno-continua-el-plan-de-deportacion/

[3] “1991, quando gli albanesi cercarono l’America in Italia”. “L’inkiesta”, 8 agosto 2011 https://www.linkiesta.it/it/article/2011/08/08/1991-quando-gli-albanesi-cercarono-lamerica-in-italia/5118/

[4] Mattarella si era dimesso dall’incarico di Ministro della pubblica istruzione (insieme ad altri 4 ministri della sinistra democristiana), il 27 luglio 1990, per protesta contro la fiducia posta dal governo sul disegno di legge Mammì di riassetto del sistema radiotelevisivo, soprannominato Legge Polaroid poiché, limitandosi a fotografare l’esistente condizione di duopolio, ha legittimato definitivamente la posizione dominante della Fininivest e di Silvio Berlusconi. B li ripagò pochi anni dopo mandandoli tutti a casa.

[5] La négritude  è stato un movimento letterario, culturale e politico sviluppatosi nel XX secolo nelle colonie francofone che coinvolse scrittori africani e afroamericani. Gli esponenti di questo movimento si proponevano di affrancare i propri popoli dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori attraverso l’orgogliosa rivendicazione delle qualità peculiari proprie dei neri (la loro “negritudine”). Léopold Sédar Senghor, “Al mio fratello bianco”, in “Poesie dell’Africa”, Giovane Africa Edizioni, Pontedera, 2011

[6] Francesco de Gregori, “Il signor Hood”, nell’album “Rimmel”, 1975.

[7] Per una cronaca generale, vedere Stella Calloni, “Los archivos del horror del Operativo Cóndor” (www.derechos.org/nizkor/doc/condor/calloni.html). Ci sono anche i documenti desecretati nel 1993 sulla connivenza tra Richard Nixon (https://nsarchive2.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB470/) ed Henry Kissinger (https://nsarchive2.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB110/) con Augusto Pinochet. Per una lettura approfondita del piano, vedere John Dinges “The Condor Years: How Pinochet and His Allies Brought Terrorism to Three Continents”, The New Press, New York 2004. Esiste anche la versione spagnola: “Operación Cóndor: Una década de terrorismo internacional en el Cono Sur”, Ediciones B Chile, Santiago 2004.

[8] Santi Carneri, “Bolsonaro reivindica en público al dictador paraguayo Alfredo Stroessner. El presidente brasileño trata de «estadista» al militar, responsable de crímenes de lesa humanidad”, “ El País”, Madrid 26 febbraio 2019.

[9] Arnaldo Pérez Guerra, “Penurias de los haitianos en Chile”, “Punto Final”, Santiago 15 settembre 2017.

[10] Faride Zeran, “Escenas de racismo cotidiano”, “Palabra pública”, Santiago 2 novembre 2017.

[11] Le “Capitolazioni di Santa Fe” (17 aprile 1492), nel finanziare l’impresa di «buscar el Levante por el Poniente», sancivano che in caso di successo Colombo avrebbe avuto il grado di Ammiraglio dell’Oceano e il titolo di viceré delle terre scoperte. Esseri umani e natura erano quindi di sua proprietà.

[12] Bartolomé de las Casas, “História (general) de las Índias” (3 volumi). La principale opera storica di de las Casas, fu iniziata nel 1527 e conclusa nel 1564 e pubblicata integralmente per la prima volta nel 1875-76 dalla Imprenta Miguel Ginesta a Madrid. Dal 2007 esiste una versione digitale del Primo volume realizzato dalla Biblioteca Virtuale Miguel de Cervantes di Alicante.

[13] Cristoforo Colombo, “Diario di bordo”, Ugo Mursia editore, Milano 2013. In spagnolo esiste una versione elettronica consultabile in http://www.traduccionliteraria.org/1611/esc/america/diario.htm

[14] Yolanda Wood, Presentazione della mostra “Caribe: exclusión, fragmentación, paraíso”, Casa de América, L’Avana 1998.

[15] Eduardo Galeano, “Memorias del fuego II. El siglo del viento”, Siglo XXI Editores, Città del Messico 1987. Trad. it. “Memoria del fuoco II. Il secolo del vento”, Rizzoli, Milano 2001

[16] Ovviamente, i diritti spagnoli e/o francesi sulla Louisiana, come su qualsiasi altro territorio americano, discendevano direttamente dal padreterno.

[17] Gli interventi del capo della rivoluzione haitiana sono stati raccolti recentemente. Con prefazione di Jean-Bertrand Aristide, vedere Nick Nesbitt (a cura di), “Toussaint L’Ouverture. The Haitian Revolution”, Verso, Londra 2008.

[18] Generale Smedley Butler, “War is a racket” (La guerra è una truffa), a cura di Robert Alan Balaicius è stato pubblicato dal “Reader’s Digest” nel 1935.

[19] Frank Moya Pons, “Historia dominicana”, 2 Volumi, Caribe Grolier, Santo Domingo, 1982 e “La otra historia dominicana”, Editora de Colores, Santo Domingo 2008. In italiano, Fabrizio Montanari, “Assassinato il dittatore Trujillo”, https://www.24emilia.com/Sezione.jsp?titolo=Assassinato+il+dittatore+Trujillo&idSezione=14053

[20] Robert D. Crassweller, “Trujillo, la trágica aventura del poder personal”, Editorial Bruguera, Barcellona 1968.

[21] Juan Bosch è stato anche un prolifico autore di racconti, romanzi e saggi ed un limpido esempio di onestà umana ed intellettuale. Per la “Dottrina Johnson” https://it.wikipedia.org/wiki/Dottrina_Johnson

[22]  Citato da Chomsky N., “Year 501; the Conquest Continues”, South End Press, Brooklyn 1992. Tr. it.  “Anno 501, la Conquista continua. L’epopea dell’imperialismo dal genocidio coloniale ai giorni nostri”, Gamberetti Editrice, Roma 2003.

[23] Cenni della storia di Péralte si trovano in “An Iconic Image of Haitian Liberty”, “The New Yorker” 28 luglio 2018. Negli “Archives Nationales” di Haiti si trova l’originale del suo testo “Bandites ou Patriotes?”, consultabile in inglese in historymatters.gmu.edu/d/4946

[24] Graham Greene, “The comedians”, Bodley Head, Londra 1966. Tr. it. “I commedianti”, Mondadori, Milano 1976.

[25] Vedere Elizabeth McAlister, “From Slave Revolt to a Blood Pact with Satan: The Evangelical Rewriting of Haitian History”, Bepress Wesleyan University, Middletown 2012.

Vedere “Diario di Haiti”, a cura di Maria Teresa Gatti e Elisabetta Ponzone, con testi di Andrea Bianchessi, Lucia Capuzzi, Fiammetta Cappellini, Maria Teresa Gatti, Elisabetta Ponzone, AVSI, Casa Editrice Marietti S.p.A., Genova-Milano 2012

[26] Per approfondimenti vedere D. J. Marshall, “The Haitian Problem: illegal migration to the Bahama’s, Institute of Social and Economic Research, University of the West Indies, Kingston, 1979; M. Lundahl, “The Haitian Economy: Man, Land and Market’s, Routledge Revivals, Londra, 1983; Rodrigo A. Rivas, “Messico, Istmo, Antille”, CESPI-CGIL-CISL-UIL, Milano 1984; J. Ferguson, “Papa Doc, Baby Doc: Haiti and the Duvaliers”, Basil Blackwell, Oxford, 1987; F. Lucarelli, P. de Stefano, “Haiti”, Electa, Napoli 1989; A. Wilentz, “The Rainy Season: Haiti since Duvalier”, Simon & Schuster, New York, 1989; a cura di Maria Teresa Gatti e Elisabetta Ponzone, “Diario di Haiti”, Casa Editrice Marietti S.p.A., Genova-Milano 2012.

[27] Eduardo Galeano, “La maldición blanca”, “Página 12”, Buenos Aires 4 aprile 2004.

[28] Leah Chavla, “Bill Clinton’s Heavy Hand on Haiti’s Vulnerable Agricultural Economy: The American Rice Scandal”, “Council on Hemispheric Affairs”, Washington 13 aprile 2010.

[29] R. A. Rivas, “Titide ed i sopravvissuti”, “The Practitioner”, edizione italiana, Milano marzo 1992.

[30] Oxfam, “Haiti, quadro generale”, Porto Principe-Londra dicembre 2012. In italiano http://www.vita.it/static/upload/_con/contesto_ita.pdf

[31] Dady Chery, “Haiti: Time for Clinton and Co to Pack and Go”, “Nouvelles Junkie Post”, 15 dicembre 2014. newsjunkiepost.com/2014/12/15/haiti-time-for-clinton-and-co-to-pack-and-go/#top

[32] Ezili Dantò, “Haiti: US to Re-Write Haiti Constitution to Better Service the One Percent”, “Black Agenda Report”, 2 luglio2013

[33] Julie Lévesque, “Haiti’s Humanitarian Rape: Five Years After Earthquake – Reconstruction Fraud, Military Occupation”, 14 gennaio 2015. https://21stcenturywire.com/2015/01/14/haitis-humanitarian-rape-five-years-after-earthquake-reconstruction-fraud-military-occupation/

[34] L’organizzazione “Haiti Grassroots Watch” (“Ayiti Kale Je” in creolo), produce testi, audio e video sugli aiuti umanitari e la ricostruzione ad Haiti. Il testo citato è del dicembre 2013.

[35]Questionnements sur les projets de logements de la reconstruction”, “Ayiti Kale Je”, 8 gennaio 2013.

[36] Julie Lévesque, “Haiti Reconstruction: Luxury Hotels, Sweat Shops and Deregulation for the Foreign Corporate Elite”, “Global Research”, 16 Agosto 2013.

[37] Julie Lévesque, “HAITI: Les dons aux victimes du séisme investis dans un hôtel cinq étoiles”, “Mondialisation c.a.”, 10 luglio 2012. Le pubblicazioni del “Centre de recherches sur la mondialisation” http://www.mondialisation.ca/

[38] Tommaso Caldarelli, “Roma, Mafia Capitale lucrava su rom e migranti: Meglio della droga”, “Il Giornale”, Milano 3 dicembre 2014. https://www.giornalettismo.com/archives/1680775/roma-mafia-capitale-rom-migranti-meglio-drog

[39] “Report delle attività di Caritas Italiana a sette anni dal sisma (2010-2017)”, in https://www.caritas.vr.it/index.php/31-agire/322-haiti-2010-2016

[40] “HAITI – RIPARTIRE DALLA TERRA: Dalla povertà rurale a nuove politiche per lo sviluppo” Dossier Numero 22, Gennaio 2017.

[41] https://www.avsi.org/it/

[42] Tutti i dati circa questo furto, https://laradiodelsur.com.ve/corrupcion-petrocaribe-haiti-caribe-nuestro/

[43] Otra América, “Minustah, la vieja enemiga de Haití”, 12 gennaio 2012. otramerica.com/especiales/haiti-seismo-colonial/minustah-la-vieja-enemiga-de-haiti/1239

[44] https://www.elconfidencial.com/mundo/2016-08-23/como-la-onu-llevo-el-colera-a-haiti-segun-sus-propios-expertos_1249903/ e https://www.unicef.it/doc/1952/haiti-epidemia-di-colera-non-si-arresta.htm

[45] Per questi dati, https://aler.org/node/5325

[46] “Pproteste giustificate ma ora a prevalere è la violenza”, “SIR” (Servizio Informazione Religiosa), 9 febbraio 2019. https://www.agensir.it/quotidiano/2019/2/16/haiti-cappellini-avsi-proteste-giustificate-ma-ora-a-prevalere-e-la-violenza/

[47] “Chiesa potrebbe avere un ruolo importante per il dialogo”, “SIR”, 16 febbraio 2019. https://agensir.it/quotidiano/2019/2/16/haiti-cappellini-avsi-chiesa-potrebbe-avere-un-ruolo-importante-per-il-dialogo/

Rodrigo Andrea Rivas

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