Sozinho, muito sozinho

10 novembre 2020
Ieri nella mia Bolivia il vicepresidente David Choquehuanca ha raccontato la visione del mondo dei popoli originari in un discorso straordinario, contemporaneamente un pezzo di letteratura, di storia, di sogni, di progettualità, una fonte di pulsioni positive e programmatiche. Jallala.
Ma, a scanso di equivoci, non è stato un discorso facile, quantomeno per me:
“Chiedo l’autorizzazione al nostro arcobaleno”

Ieri nel mio Perù è stato destituito l’ennesimo presidente. Com’e successo negli ultimi decenni a tutti i suoi predecessori, Martin Vizcarra è stato mandato a casa per corrotto.
“Libertà era un affare, mal condotto da tre. Libertà era ammiraglio, generale e brigadiere”, canticchia Piero mentre ognuno di noi continua “a cercare pieno di speranze la strada che i sogni hanno promesso alle sue ansie”. L’ha sentenziato Enrique Santos Discepolo ma, forse perché sapeva che cercare è complesso, diceva “uno”.

Infatti, senza offesa: cosa potrebbe cercare, ad esempio, la maggior parte dei componenti del circo televisivo? Un rosario? Una medaglietta? Un testo sacro, quindi immutabile anche quando profano?
“Onorevole sarà lei!”

Oggi voglio stare vicino alla casa e all’albero.
Oggi mi sento muito sozinho, ma non nel senso del dizionario, e cioè molto solo.
Mi sento muito sozinho nel senso del “solo, solitario e finale” del buon Osvaldo Soriano, che interpreto come l’essere davanti ad un ripido pendio senza sapere se scalare o discendere.
“Tanto rumore per nulla”, direbbe il William, ma quando depone un uovo la gallina starnazza come se etcì, fosse uno tsunami.

Il 10 novembre, proprio oggi, il Tito, mio padre, avrebbe compiuto 96 anni. Certamente troppi, se è vero che non c’è male che duri cent’anni né corpo che lo resista.

Il 17 novembre, tra una settimana esatta, ricorderò i 47 anni dalla sua morte. Troppo pochi gli anni che ha vissuto, 49, troppo pochi gli anni trascorsi dalla sua morte, 47, perché possano esserci perdono od oblio.

Oltre agli svampiti, solo la Violeta riusciva a “ritornare ai 17 dopo vivere un secolo”.
Purtroppo non sono la Violeta.
E seppure è vero che continuo a “coltivare una rosa bianca, a luglio come a gennaio”, non lo faccio più per “l’amico sincero, che mi da la sua mano franca” o, quantomeno, non solo per lui.

“Quando a gente gusta, é claro que a gente cuida”, canta Caetano. Troppo ottimista, ma bello.
Anche a me piace ricordare, anche se spesso mi fa male. E poiché ci tengo, li curo, intendo i miei ricordi.
E, banalmente, come Caetano, anch’io “tenho meus desejos e planes”, a volte “segretos”.

“C’era una volta un marinaio che fece un giardino accanto al mare.
E diventò giardiniere.
Quando il giardino era in fiore, il marinaio se ne andò,
per quei mari di Dio”.

Discrepo con Antonio Machado su un solo punto: penso che i mari non siano di Dio ma di tutti, quindi di nessuno. E da agnostico, penso che se invece esistesse, il Padre eterno perdonerà la mia incredulità.

Solo così riesco ad immaginarmi soliloquiando con il Tito, naturalmente col permesso dell’arcobaleno, senza corruzione e vicino alla casa e all’albero.

Avendola fatta come al solito troppo lunga, passo immediatamente a parola al compagno Caetano Veloso

Rodrigo Andrea Rivas

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