Lo sciopero globale delle donne

Lo sciopero globale delle donne

Dallo ius corrigendi ai femminicidi lungo un eccetera plurimillenario

Cristo è il capo dellʼuomo, lʼuomo è il capo della donna e Dio è il capo di Cristo.

Lʼuomo non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è la gloria dellʼuomo.

Non è lʼuomo che è stato fatto dalla donna, ma la donna dallʼuomo.

Adamo, il primo uomo, non fu creato per la donna, ma la donna fu creata per lui.

10 Per questa ragione e per riguardo agli angeli, la donna deve portare il capo coperto, come simbolo della sua sottomissione allʼuomo.

Paolo di Tarso (San Paolo), Prima lettera ai Corinzi

Nato nel mondo romano, lo ius corrigendi, ossia l’esercizio del diritto della violenza correzionale sulla moglie, autorizzava esplicitamente che l’uomo praticasse la violenza contro la “sua” donna. Essendo la donna debole, doveva essere protetta e corretta con tutti mezzi, anche con la forza, naturalmente senza eccedere troppo (!).

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Questa disposizione è stata derogata soltanto nel 1956 dalla Corte di Cassazione italiana.

Eppure, c’è stato di peggio.

Non solo in una landa non remota ma diretta, come quella italiana, dall’ideologia di crudeli censori della morale e dei costumi … altrui.

Fra il 1227 ed il 1235 una serie di decreti papali instaurarono l’Inquisizione contro le “streghe” e contro gli “eretici”.

Nel 1252 Papa Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura per estorcere “confessioni” di stregoneria da parte delle donne sospettate.

Successivamente, Alessandro IV diede all’Inquisizione ogni potere di torturare ed uccidere, in caso di stregoneria coinvolgente l’eresia.

Il 5 Dicembre 1484 con la bolla “Summis desiderantes affectibus” (“Desiderando con supremo ardore”), Papa Innocenzo VIII ordinava sopprimere l’eresia e la stregoneria nella regione della Valle del Reno, e nominava i frati Dominicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger come inquisitori incaricati di estirpare la stregoneria dalla Germania.

L’incarico, esplicito, era quello di scoprire, torturare e giustiziare le streghe.

I due assassini seriali (in lingua volgare chiamati “inquisitori”), usarono la “Summis desiderantes affectibus” come prefazione del loro “Malleus Maleficarum” (“Martello delle Streghe”). Il testo, pubblicato nel 1486, diventava la bibbia dei cacciatori di streghe e aveva venti edizioni fra il 1487 e il 1520 e altre sedici fra il 1574 e il 1669.

Recitava la bolla:

“Desiderando noi […] che la fede cattolica […] cresca e fiorisca al massimo grado possibile, e che tutte le eresie e le depravazioni siano allontanate dai paesi dei fedeli, questo decretiamo […]. È recentemente giunto alle nostre orecchie […] che in alcune regioni dell’alta Germania, come […] Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo, e Brema, molte persone di entrambi i sessi, […] rinnegando la fede cattolica […], si sono abbandonate a demoni maschi e femmine, e che, a causa dei loro incantesimi, lusinghe, sortilegi, e altre pratiche abominevoli […] hanno causato la rovina propria, della loro prole, degli animali, e dei prodotti della terra […] così come di uomini e donne, delle greggi e delle mandrie, delle vigne e dei frutteti […] che essi hanno tormentato e torturato, infliggendo orribili dolori e angosce, sia spirituali che materiali, a uomini, mandrie, greggi, e animali, impedendo agli uomini di procreare e alle donne di concepire, e facendo in modo che nessun matrimonio potesse essere consumato; che, per di più, la fede stessa, che essi accolsero con il sacro battesimo, con bocca sacrilega rifiutano […] e si macchiano di molti altri abominevoli crimini e peccati […] dando uno scandaloso e pernicioso esempio alle popolazioni […]

Siccome nelle province tali crimini ed offese restano impuniti, per rimuovere ogni impedimento che ostacoli in qualsiasi modo i detti inquisitori, e per impedire che la macchia dell’eresia di altri simili mali diffonda la sua infezione causando la rovina degli innocenti, Noi decretiamo in virtù della nostra autorità apostolica, che sia concesso ai sopracitati inquisitori di esercitare il proprio ufficio di inquisitori nelle sopracitate regioni, e procedere alla correzione, all’imprigionamento ed alla punizione delle suddette persone, per le colpe e i crimini sopracitati, in ogni loro aspetto e precisamente come se le province, città, territori, luoghi, persone e crimini sopraindicati fossero stati menzionati espressamente nella lettera sopracitata […]

Fra tutte le eresie, la più grande è quella di non credere nelle streghe e con esse, nel patto diabolico e nel sabba”.

Eccetera.


Quindi, operando in piena legalità e in un clima di generale acquiescenza, tra il 1257 e il 1816 l’Inquisizione torturò e bruciò sul rogo milioni di persone innocenti, accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi.

Tutte, o quasi, furono giudicate senza processo, in segreto, col terrore della tortura.


Non esistono cifre certe sulle vittime

La prima tra le stime più diffuse, nove milioni di vittime, è stata formulata dall’illuminista tedesco Gottfried Christian Voigt (1740-1791), che criticò e rivide al rialzo una precedente stima fatta da Voltaire, secondo il quale le vittime erano state qualche centinaio di migliaia.

1549: donne bruciano, frati si rilassano col crocefisso in mano, soldato ne approfitta per scaldarsi le mani

Voigt calcolò il numero di condanne pronunciate nell’abbazia tedesca di Quedlinburg per un periodo di 29 anni e lo estrapolò prima in senso cronologico a 650 anni di storia e poi in senso geografico all’intera Europa arrivando, appunto, a un totale di oltre nove milioni di vittime.

Il metodo utilizzato è certamente assai poco attendibile. Ma non lo è che le vittime siano state comunque tante.

Nella meno peggio tra le ipotesi circolate finora si parla di circa cento mila persone uccise (per l’85% donne) in un continente che aveva allora meno di 50 milioni di abitanti.

E non è discutibile che le campagne di caccia alle streghe siano state organizzate, intraprese, finanziate ed eseguite dalle Chiese e dagli Stati.

Quando le malcapitate “confessavano”, erano dichiarate colpevoli di stregoneria, e arse sul rogo.

Quando “non confessavano” erano considerate eretiche, e arse sul rogo.

Si permetteva qualche variante. Ad esempio, la “Prova della pietra al collo”.

In questo caso, la presunta colpevole veniva gettata in acqua legata ad una pietra.

Se annegava era innocente, se restava a galla era una strega.

Le truppe del Papato si attestarono alle porte della piccola cittadina di Béziers dirette verso Albi e Carcassonne dove le comunità catare si erano per la maggior parte rifugiate.

Dopo averla circondata chiesero che i catari fossero tratti fuori dalle mura cittadine ma dopo aver ricevuto un secco rifiuto la misero sotto assedio.

L’assedio durò poco poiché in seguito ad un tentativo di sortita degli abitanti, i crociati penetrarono in città ammazzando chiunque si trovarono davanti.

Un soldato chiese ad Arnaud Amaury, Abate di Cîteaux e legato pontificio di Papa Innocenzo III: “Come si possono distinguere i 500 eretici catari dagli altri abitanti?”

L’Abate rispose serafico:“Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi“.

E con una lettera datata Agosto 1209, rese conto al Papa del suo operato:

“Nello spazio di circa due o tre ore, dopo aver superato i fossati e le mura, la città di Béziers fu presa e, poiché i nostri non guardarono né a stato sociale né a sesso né a età, quasi ventimila esseri umani morirono di spada; compiuta così una grandissima strage di nemici, la città fu interamente saccheggiata e bruciata: in questo modo la colpì mirabilmente il castigo divino” (Jacques-Paul Migne, “Patrologia Latina CCXVI”, col. 139C).

Béziers sarà stata pure un’eccezione, ma i corpi femminili sono stati, e rimangono, parte del bottino del vincitore. Infatti, generalmente oltre che torturate venivano pure violentate.

Per non buttare via nulla, i loro beni erano confiscati fin dalla presentazione dell’accusa, ben prima d’iniziare il giudizio.

D’altronde era logico: mai nessuna – o quasi – veniva assolta.

Questo regime di terrore, durato complessivamente oltre cinque secoli, è stato benedetto da almeno 70 Papi e ha goduto della unanime complicità degli Stati o regni.

Ovvero, “El violador eres tú”, il flash mob (dall’inglese flash, lampo, inteso come evento rapido, improvviso, e mob, folla) del gruppo cileno “Tesis”, è solo un riassunto, aggiornato e artistico, dello stato delle cose. 

Certo, i metodi sono certamente cambiati. Ma proprio il caso cileno dimostra che ciò vale solo fino ad un certo punto, quando le circostanze lo permettono, “nella misura del possibile”.

Essendo lo scopo sottomettere le donne, il “Malleus Maleficarum” abbondava in indicazioni utili a terrorizzarle e a punirle adeguatamente.

Detto meno educatamente, forniva istruzioni pratiche per la cattura, il processo, la detenzione e l’eliminazione delle streghe.

Per processare le donne bastavano i pettegolezzi pubblici.
Per eliminare ogni loro possibilità di difesa il “libretto giallo del Papato” stabiliva:

“Una difesa troppo vigorosa da parte del difensore prova che anche quest’ultimo è stregato”.

Esperti in malvagità umana i due domenicani fornivano poi indicazioni utili ad evitare che le autorità potessero essere soggette alla stregoneria ma, altrettanto esperti sulla preservazione dei privilegi della loro casta, rassicuravano:

“In quanto rappresentanti di Dio, i giudici sono immuni ai poteri delle streghe”.

Da pratici fraticelli, dedicavano in seguito ampio spazio all’illustrazione delle tecniche più adatte ad estorcere confessioni e a praticare la tortura durante gli interrogatori.

Ad esempio, per trovare la prova principe della colpevolezza, e cioè il “marchio del Diavolo”, raccomandavano l’uso del ferro infuocato per rasare l’intero corpo delle accusate.

Diciamolo: non esistono torture che uomini di provata fede non abbiano praticato per secoli.

Le modernità si è limitata ad aggiungere qualche “Supporto tecnico”.

Ad esempio, la dittatura militare brasiliana degli Anni 60-70 del secolo scorso introdusse ed utilizzo all’ingrosso il “Pau de Arara”. Il termine che letteralmente significa trespolo del pappagallo, indica per analogia lo strumento atto ad appendere e torturare i dissidenti politici.

Ad esempio, la motosega, probabilmente maneggiata da sicari colombiani, che è stata usata per tagliare in pezzetti Jamal Kashoggi nel consolato saudita a Istambul il 2 ottobre 2018 (Emily Hager e Mark Mazzetti, “Emirates Secretly Sends Colombian Mercenaries to Yemen Fight”, “The New York Times”, 25 de noviembre de 2015; Jineth Bedoya Lima, “Los colombianos que pelearán otra guerra en el Golfo”, “El Tiempo”, Bogotà 17 ottobre 2015).

I bontemponi domenicani sapevano benissimo che le streghe non erano tali perché dedite all’impiego di filtri magici e al dialogo con il maligno. In fondo, non ne facevano mistero alcuno specificando:

“Quando una donna pensa per conto proprio, pensa soltanto a cose cattive.

Perché sono più deboli nel corpo e nell’anima, non sorprende che possano soccombere all’incanto della stregoneria. Ogni stregoneria proviene dalla lussuria carnale, che nelle donne è insaziabile”.

Come già osservato, nell’Europa occidentale la caccia alle streghe è stata organizzata, finanziata ed eseguita dalle Chiese – cattoliche e protestanti – e dagli Stati.

Tramite la colonizzazione, gli stessi soggetti l’hanno successivamente trapiantata nelle Americhe.

Tra il XV ed il XVII secolo l’apice della violenza sistemica contro le donne ha provocato il maggiore femminicidio finora noto.

Eppure, il termine “strega” significava “donna saggia”.

Nessuna contraddizione: la persecuzione serviva anche a espellerle dalle conoscenze legittimate.

Guaritrici, levatrici e/o esperte nell’uso dell’erbe diventarono così triplicemente pericolose: perché erano donne, perché avevano saperi messi all’indice dalle norme ecclesiastiche, perché facevano concorrenza alle conoscenze scientifiche maschili.

La vera colpa delle donne è stata quella di organizzarsi e resistere contro una concezione della femminilità che prevedeva la loro sottomissione e addomesticamento.

E’ stata quella di rifiutare che i maschi decidessero sui loro corpi come imponeva il progredire dell’incipiente economia capitalistica che intendeva relegarle alla sfera privata.

Solo il regno spagnolo ebbe il privilegio di avere a suo uso e consumo un Tribunale dell’inquisizione indipendente da quello romano.

La “Santa Suprema Inquisizione”, prima istituzione “nazionale” messa in piedi dai “re cattolici”, è stata utilizzata da tutti i monarchi come arma essenziale del proprio potere politico.

Re cattolicissimi la esportarono nell’America oggi latina.

Re protestantissimi in quella anglosassone.

Forse nemmeno in questo c’è qualcosa di sorprendente. Almeno ciò deduco da quanto scriveva Charles Dickens nell’Incipit di “Una storia fra due città” (1859):

“Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell’altra parte. A farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo.

Un re dalla grossa mandibola e una regina dall’aspetto volgare sedevano sul trono d’Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia”.

Raccontano cronisti spagnoli che ai tempi della colonia le donne indigene venivano giustiziate sulle piazze disponendo i loro corpi in modo che, morendo, strangolassero i loro figli piccoli.

Coglievano così tre piccioni con una fava:

Punivano le streghe

Ammonivamo le altre donne a non pensare per conto proprio

Risparmiavano sul lavoro dei boia che, per quanto fosse uomo di provata fede, ci teneva ad essere lautamente ricompensato per il suo pregiato lavoro.

Mastro Titta, il più longevo e famoso dei boia dello Stato pontificio, arrivò a compiere ben 68 anni di onorata carriera tra il 1796 e il 1864.

Essendo amato e popolarissimo, Giuseppe Gioachino Belli gli dedicò vari sonetti.

Penso che il Sonetto 68, “Il ricordo” (1830), ben riflette il clima culturale della Roma papalina:

“Il giorno che impiccarono il Camardella, io mi ero appena cresimato. Mi sembra adesso, che il padrino al mercato mi comprò un «saltapicchio» e una ciambella. Mio padre prese poi la carozzella, ma prima volle «godersi» l’impiccato e mi teneva in alto sollevato, dicendo: «Guarda la forca quant’è bella!».

Tutt’a un tratto, al «paziente», Mastro Titta appioppò un calcio in culo, e il papà a me uno schiaffone sulla guancia con la destra. «Tieni!», mi disse, «e ricordati bene che questa stessa fine sta già scritta per mille altri che sono meglio di te»”.

La coincidenza temporale dei quattro processi collegati al controllo del costo del lavoro

– la caccia alle streghe,

– la tratta degli schiavi

– il furto con scasso delle industrie e conoscenze asiatiche

– l’invasione/colonizzazione/sterminio delle popolazioni delle Americhe

fa dell’irruzione del capitalismo uno dei periodi più sanguinosi della storia europea.

In “Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria”, che considero tra i libri più significativi del secolo scorso, Silvia Federici sostiene che il feudalesimo è stato eroso dal potere e dall’autonomia ottenute dalle classi popolari e che la risposta delle classi dominanti è stata una violenta offensiva che mise le basi del capitalismo.

Karl Marx ha scritto che l’accumulazione primitiva era precursore del capitalismo.

Per Federici che si tratta di una caratteristica fondante e fondamentale del capitalismo stesso che per sopravvivere richiede una costante infusione di capitale espropriato:

“La caccia alle streghe compare raramente nella storia del proletariato. Fino ad oggi, è uno dei fenomeni meno studiati della Storia d’Europa o, forse, della Storia mondiale, se consideriamo che l’accusa di adorare il Demonio è stata portata al «Nuovo Mondo» dai missionari e conquistatori come uno strumento per soggiogare le popolazioni locali.

Che le vittime, in Europa, siano state fondamentalmente donne contadine dimostra, forse, l’indifferenza degli storici verso questo genocidio; un’indifferenza vicina alla complicità, poiché l’eliminazione delle streghe dalle pagine della Storia ha contribuito a minimizzare la loro eliminazione fisica nei roghi, suggerendo che si è trattato di un fenomeno di scarso significato, o addirittura una questione di folclore.

Mentre deplorano lo sterminio delle streghe, molti le ritrattano con insistenza come disprezzabili stupide colpite da allucinazioni. In questa forma, la loro persecuzione potrebbe spiegarsi come un processo di «terapia sociale», che è servito a rinforzare la coesione amichevole e che potrebbe essere descritta in termini medici come «panico», «pazzia», «epidemia», tutte caratterizzazioni che esimono di colpa i cacciatori di streghe spoliticizzando i loro crimini”.

Schiavitù e colonialismo, sottomissione dei lavoratori nella produzione e confinamento delle donne alla riproduzione, creazione di gerarchie basate sulle razze, il genere e l’età, sono parte di questa nuova dominazione.

Per impossessarsi dei beni comuni, il potere delle donne è stato distrutto dalla caccia alle streghe. Pur se la maggior parte di loro non sembra essersene accorto, anche i maschi (come le donne, i bambini e le bambine), sono stati sottomessi tramite la schiavitù tout court e la schiavitù salariata.

Il femminicidio nostro contemporaneo

Filastrocca impertinente,

chi sta zitto non dice niente;

 chi sta fermo non cammina;

chi va lontano non s’avvicina;

chi si siede non sta ritto;

chi va storto non va dritto;

 e chi non parte, in verità,

in nessun posto arriverà”

Gianni Rodari, “Filastrocca impertinente”

Il femminicidio non è un atto di violenza personale e non ha un carattere intimo.

Non è un crimine di odio emotivo.

Il femminicidio è una metodologia di controllo sociale e un atto politico di estrema violenza.

Storicamente, i conflitti di genere – femminicidi, violenze di genere ecc. – sono stati messi su piani di minore importanza, riconducendoli alla sfera privata.

Anche per questo, le lotte vincolate alle questioni di genere sono state associate normalmente a questioni non prioritarie.

Non vale solo per il pensiero e la pratica di destra come spiegava una decina d’anni fa la cantautrice honduregna Karla Lara:

“Credo sia molto insurrezionale andare oltre la lotta di classe tradizionale, mettendo sullo stesso livello altre lotte che abbiamo rimandato sempre…

«Prima, compagne, prendiamo il potere, poi vediamo chi lava e stira e chi dorme con chi».

No compagno, bisogna farlo adesso, perché diversamente continueremo a ripetere i vizi che vediamo. Bisogna farlo ora, anche perché in America Latina la sinistra è troppo maschilista e, perciò, completamente sorda” (“Entrevista a Karla Lara, de Artistas y Feministas en Resistencia de Honduras”, www. Rebelión.org, Madrid 24 marzo 2011).

Il genere è una forma di caratterizzazione economica, sociale e politica.

Essere donna, trans, travesti o lesbica in un mondo dei maschi, significa non avere accesso agli stessi posti di lavoro, allo stesso trattamento salariale, alla liberazione dei rapporti di dipendenza/potere (economici e simbolici), significa quotidiana esposizione alla violenza fisica e simbolica.

Il genere, come l’etnia, è una forma adatta a differenziare e subordinare.

Anche oggi, nell’attuale fase di crisi la classe dominante utilizza la violenza per perpetuare il suo dominio.

Questa crisi specifica, che ha la sua base nel calo del tasso di profitto da quasi 50 anni (altroché corona virus), deriva essenzialmente dal potere acquisito dai ceti popolari nel secondo dopoguerra, specie negli Anni ‘60, che ha in parte disarticolato il potere padronale e debordato la disciplina fordista nell’industria.

L’offensiva in corso cerca di distruggere quella capacità di organizzazione e di lotta.

L’odierno mondo popolare è diverso da quello precedente e il principale cambiamento deriva dalla crisi del vecchio patriarcato.

Ancora oggi le donne continuano ad essere meno visibili dei maschi, ma hanno conquistato un ruolo centrale.

Sono la malta della vita collettiva.

Sono responsabili della riproduzione della vita e dei movimenti dei beni comuni, materiali e immateriali.

Sono il sostegno del mondo popolare, delle famiglie allargate e delle organizzazioni, da quelle cittadine alle comunità contadine e indigene.

Perciò, nulla ha di sorprendente constatare che esiste una nuova caccia alle streghe condotta in nome di un’idea di potere maschile in crisi.

Lo estremo sfruttamento delle risorse, incluso quelle umane, dimostra la presenza di una nuova ondata di accumulazione originaria.

Ancora una volta, il capitale ha bisogno d’impossessarsi della forza lavoro. Perciò espropria la terra, precarizza il lavoro, diminuisce le remunerazioni, concentra la ricchezza, taglia i servizi.

Il mondo è più ricco che mai. Ma, anche, più disuguale.

Dal 2017, oltre l’80% di tutta la ricchezza creata a livello globale finisce nelle tasche del 1% della popolazione, mentre il 50% non ne ha ricevuto il minimo beneficio.

Sembra che lo sappiano in pochi.

Forse perché 7 aziende controllano il 70% dell’intera rete di comunicazione mondiale.

In Italia, forse, perché 4 consigli di amministrazione controllano oltre l’80% dell’audience televisivo e radiofonico.

Esiste un forte legame tra il processo di estrazione dei beni comuni e la violenza contro le donne, perché sono loro a dare e conservare la vita, a mantenere la comunità unita, ad essere colpite più fortemente dai progressi del capitale, a sostenere le lotte per la vita e il territorio.

Ecco il perché della nuova caccia alle streghe.

Ecco il perché dell’incrementi dei femminicidi.

Ecco perché si è rimessa in moto la pedagogia della crudeltà.

Al maschilismo non mancano ragioni:

Le donne ed i loro figli e figlie hanno disarmato la famiglia nucleare patriarcale, il potere della chiesa e del prete, il ruolo disciplinante della scuola, degli ospedali e delle officine.

Hanno creato un mondo, non dominante ma presente, dove prevalgono i rapporti collettivi su quelli familiari.

Grazie alla loro capacità di cooperazione hanno reso la stessa divisione sessuale del lavoro una fonte di potere e di protezione per le donne stesse.

La violenza contro i ceti popolari è portata avanti con strumenti tradizionali che si tratta di presentare come se fossero nuovi:

  • la droga (con la quale l’imperialismo inglese ha distrutto la Cina nell’800),
  • il femminicidio (di cui la caccia alle streghe e l’olocausto susseguente è un esempio lampante),
  • le guerre contro i popoli, mai cessate e onnipresenti con i pretesti più disparati.

Sono elementi diversi di un disegno unico delle classe dominanti che ha come obiettivo distruggere i nostri poteri, sia quelli espliciti, sia quelli non espliciti.

In questo contesto la nuova caccia alle streghe non ha bisogno di ricorrere a manuali, tribunali e formalità ma ricorre apertamente alle pallottole e alla diffusa violenza maschile.

E’ parte dell’offensiva mondiale del capitale per eliminare i popoli.

Per vincere, il capitale deve far tavola rasa dell’autonomia dei popoli, delle comunità e delle persone.

Come avveniva durante le fasi di decollo del sistema, l’odierna accumulazione di capitale usa la violenza come principale agente.

Né un errore, né un eccesso, né una deviazione transitoria, bensì caratteristica sistemica del capitalismo nell’attuale fase di decadenza.

Va da sé: questa caratteristica è particolarmente evidente in quelle aree del mondo dove non si riconosce la dignità degli esseri umani.

Per chi abbia interesse ad approfondire questi aspetti, rimando al mio testo “Spigoli della quarta guerra mondiale: appunti sui femminicidi”, pubblicato sul mio blog (rodrigoandrearivas.com) nel giugno  2018. 

Il lavoro non remunerato

“Gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta”

Groucho Marx

“Con l’avvento della società capitalista una «strana follia» si è impadronita delle classi operaie:

«l’amore per il lavoro, la passione esiziale del lavoro,

spinta sino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua progenie» …

Se la classe operaia si sollevasse non per reclamare i «Diritti dell’uomo»,

che non sono altro che il diritto allo sfruttamento capitalista,

ma per chiedere una legge che vieti a ogni uomo di lavorare per più di tre ore al giorno,

allora davvero la Terra, tremando di allegria, sentirebbe schiudersi un nuovo universo”.

Paul Lafargue, “Il diritto all’ozio” (1860)

Nel 2018, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha presentato uno studio “Care work and care jobs for the future of decent work”  (“Il lavoro dignitoso e le prospettive occupazionali legate alla assistenza e cura alla persona”).

Lo studio è stato realizzato in 64 paesi che nel loro insieme rappresentano due terzi della popolazione mondiale in età lavorativa.

Non esiste finora alcun testo comparabile per le dimensioni del campione.

Molte le considerazioni indicate dall’OIL.

Mi limito a quelle più pertinenti:

  • “Nel 2015 le persone che hanno avuto bisogno di assistenza e cura erano 2,1 miliardi.

Di questi, 1,9 miliardi erano bambini di età inferiore ai 15 anni, mentre gli anziani erano 200 milioni.

Questo dato dovrebbe raggiungere 2,3 miliardi entro il 2030”.

La conclusione è ovvia: tutti abbiamo bisogno di cura in qualche fase della nostra vita.

Diciamolo altrimenti: mentre il lavoro necessario diminuisce, aumentano enormemente le attività indispensabili alla vita.

In un’ipotesi ottimistica di trasformazione, alle tipiche attività legate alla cura e alla riproduzione si aggiungeranno in modo accelerato tutte quelle relative al “tempo liberato” da organizzare.

In ogni caso, ridurre la questione della trasformazione, indispensabile e urgente, dell’organizzazione della vita, a discorsi ottocenteschi sul lavoro, non è solo riduttivo. E’ un errore.

Il lavoro rimane indispensabile per il suo saldo legame con l’idea stessa di cittadinanza, ma è diminuita enormemente – e continuerà a diminuire ulteriormente e velocemente – la quantità di lavoro necessario (mentre aumenta in continuazione la quantità di lavoratori potenziali).

Sarebbe un dramma, risolvibile solo eliminando parte significativa della popolazione (a ciò punta il capitale, anche nelle aree metropolitane odierne), se non ci fossero i mezzi sufficienti per finanziare queste attività. Ma questi mezzi ci sono.

Questo è un tema in discussione da quasi cento anni, e non dai teorici della decrescita, da marxisti incalliti o da ecologisti radicali, bensì si tratta di una discussione iniziata da John Maynard Keynes in “Economic Possibilities for our Grandchildren (“Prospettive economiche per i nostri nipoti”, 1928).

Secondo Keynes, padre del liberalismo moderno, a cent’anni di distanza la ricchezza socialmente disponibile si sarebbe moltiplicata di otto volte.

Nel 2020, 92 anni dopo la sua previsione, solo dal secondo dopoguerra ad oggi in Italia il PIL assoluto e procapite si è moltiplicato di oltre sette volte.

L’idea di Keynes era quella di un’espansione della eguaglianza “a partire dal centro”, e cioè dall’ampliamento della classe media sino a rappresentare l’intera società. 

Aggiungeva: bisognerà distinguere tra “bisogni inesauribili” e “bisogni assoluti”.

Assoluti sono quelli che sentiamo comunque: mangiare, dormire, vestirsi ecc.

Relativi sono quelli che “esistono solo in quanto la soddisfazione di essi ci eleva, ci fa sentire superiori ai nostri simili.”

In futuro saranno solo i primi ad essere soddisfatti. I secondi (proprio perché tecnicamente inesauribili) dovranno essere riclassificati. Verranno ripensati non per accumulare ulteriore ricchezza, ma “per vivere bene, piacevolmente e con saggezza” (il “buon vivere” degli indigeni).

“Tra coloro che vorranno lavorare, perché solo così trovano un senso alla vita soddisfacendo il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi, si dovranno distribuire le ore socialmente necessarie per produrre i beni necessari a soddisfare i bisogni assoluti: tre ore di lavoro al giorno”.

“L’amore per il denaro come possesso, distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali”.

Chiosa keynesiana:

“Rivaluteremo di nuovo i fini sui mezzi e preferiremo il bene all’utile. Renderemo onore a chi saprà insegnarci a cogliere l’ora e il giorno con virtù, alla gente meravigliosa capace di trarre un piacere diretto dalle cose, i gigli del campo che non seminano e non filano”.

Mi limito ad aggiungere un piccolo esempio attualizzato:

Nel suo rapporto del 2019, la Banca dei Regolamenti Internazionali, la più antica istituzione finanziaria internazionale alla quale partecipano 60 banche centrali fra cui la Banca centrale europea, ha calcolato in 11 bilioni di dollari (milioni di milioni, in inglese trilioni), il totale delle transazioni finanziarie realizzate durante l’anno.

Facendo qualche calcolo, ciò vuol dire che con una tassa di 20 centesimi per ogni 100 dollari di transazione, si potrebbe finanziare tutta la spesa pubblica mondiale eliminando contemporaneamente tutte le tasse che esistono nel pianeta (altroché flax tax).

Se poi, si volesse creare un reddito di cittadinanza (cosa assai diversa di quello esistente in Italia che in termini stretti è una misura per combattere la povertà), per finanziarlo basterebbero altri 20 centesimi (sempre ogni 100 dollari di transazione).

Non è tutto ciò di cui abbiamo bisogno ma è sufficiente per dimostrare che la sfida della povertà (e della fame, 25.000 morti al giorno secondo il rapporto FAO del 2020), non si vince perché non si assume come imperativo etico essenziale il diritto alla vita di tutti gli esseri umani.

Detto diversamente, il problema dell’umanità non è l’estrema povertà.

Il problema dell’umanità è l’estrema ricchezza.

  • “Ogni giorno 16,4 miliardi di ore sono dedicate a lavoro non retribuito di assistenza e di cura alla persona.

Questo equivale a 2 miliardi di persone che lavorano otto ore al giorno senza remunerazione.

Se a tali servizi fosse attribuito un valore basato su un salario minimo orario, essi equivarrebbero al 9% del PIL globale o a 11.000 miliardi di dollari statunitensi (parità di potere d’acquisto con base 2011)”.

  • “Il 76,2% delle ore totali di lavoro non retribuito di assistenza e di cura è svolto dalle donne non retribuito.

Questo rappresenta il triplo dello stesso lavoro svolto dagli uomini”.

  • “In alcuni paesi, la percentuale di uomini che svolgono questo tipo di lavori non retribuiti è aumentato negli ultimi 20 anni.

Tuttavia, nei 23 paesi che dispongono d’informazioni e dati, il divario di genere in termini di tempo dedicato al lavoro non retribuito di assistenza e cura è diminuito di soli sette minuti al giorno negli ultimi due decenni”.

  • “Di questo passo, saranno necessari 210 anni per colmare il divario di genere nel lavoro di assistenza e cura non retribuito in questi paesi.

L’entità di questi cambiamenti mette in discussione l’efficacia delle politiche nel far fronte alla divisione del lavoro non retribuito di assistenza e di cura negli ultimi due decenni”.

  • “I servizi di assistenza e cura di lungo periodo sono quasi inesistenti nella maggior parte dei paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia”.

Diciamolo con Bertolt Brecht:

Chi non conosce la verità è uno sciocco, machi, conoscendola, la chiama bugia,è un delinquente” (“Vita di Galileo”).

“Non una di meno”

8 marzo 2020 Mobilitazioni delle donne contro i femminicidi in alcuni paesi dell’America Latina

“Tante volte mi hanno ucciso,
tante volte sono morta.
Eppure, sono qui, resuscitando.
Ringrazio la disgrazia e la mano con pugnale,
perché mi uccise così male,
che continuai a cantare.
Tante volte mi hanno cancellato,
tante altre sono scomparsa,
al mio stesso funerale sono andata,
sola e piangendo.
Feci un nodo nel fazzoletto,
ma mi dimenticai dopo,
quando non fu più la prima volta.
E continuai a cantare (…)
Tante volte ti ammazzeranno,
tante risorgerai,
quante notti passerai,
disperando.
Ma, nell’ora del naufragio,
e in quella dell’oscurità,
qualcuno ti riscatterà,
per continuare a cantare.
Cantando al sole come la cicala,
dopo un anno sotto terra,
come fa un sopravvissuto,
che ritorna dalla guerra”

María Elena Walsh, “Como la cigarra” (Come la cicala)
Argentina
Bolivia
Cile
Messico
Perù

A mo’ di conclusione (provvisoria)

“Ogni alba ha il suo dubbio”

Alda Merini

Malgrado repressioni e virus assortiti, l’8 marzo 2020 grandi cortei di donne hanno riempito le strade e le piazze di 51 tra i 196 Paesi in cui si divide il mondo. 

La manifestazione più imponente è stata sicuramente quella avvenuta a Santiago del Cile.

Dei 5,7 milioni che compongono la popolazione della città, le donne sono poco più del 50% ed il gruppo di donne la cui età oscilla tra 14 e 65 anni, il 68% del totale.

Quindi, la popolazione che potrebbe avere partecipato con maggiore facilità al corteo, s’aggira attorno ai 2 milioni di persone complessive.

Secondo gli organizzatori, hanno partecipato alla manifestazione proprio 2 milioni di persone.

Forse esagerano, ma anche se ne avessero mobilitato la metà, un milione di donne, si tratta di un successo assoluto.

Sullo sciopero mondiale, le donne argentine hanno scritto alle donne di tutto il mondo.

Ne riporto alcuni estratti di questa lettera:

“Dallo scorso 19 ottobre, quando abbiamo convocato il primo sciopero nazionale delle donne al di fuori dalle strutture sindacali, un’idea è circolata di bocca in bocca senza riconoscere frontiere né distanze: organizzare una misura di forza comune per ridare significato all’8 marzo, giornata internazionale delle donne.

Ora, lo sciopero internazionale delle donne è un fatto.

Questo 8 marzo non porterà dei fiori a noi altre, bensì uno sciopero e una mobilitazione, in Argentina, in America Latina e in altri Paesi del mondo.

Dalla Thailandia al Cile, dalla Polonia alla Corea del Sud, dai territori maya fino a quelli dei mapuche, in molte lingue, con le modalità che ognuna avrà scelto, con le rivendicazioni e le esigenze elaborate in ogni angolo specifico, le assemblee si sono succedute nei vari estate del Sud ai vari inverno del Nord, sfidando l’idea del possibile, appropriandosi dello strumento dello sciopero perché le nostre richieste sono urgenti.

La violenza maschilista non si placa e giorno dopo giorno siamo costrette a piangere le vittime di femminicidi ogni volta più crudeli mentre l’inattività dello Stato ci lascia tutte senza alcuna protezione.

Per questo facciamo dello sciopero delle donne una misura ampia e attualizzata, capace di dare protezione e aiuto ad occupate e disoccupate, a salariate e a chi vive di sussidi, alle lavoratrici in proprio e alle studentesse.

Poiché siamo lavoratrici e dobbiamo difendere le nostre vite e le nostre decisioni, noi scioperiamo”.

Rodrigo Andrea Rivas

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