AMLO nel paese delle farfamiche. Puntata propedeutica

«Los Vietnamitas son chiquititos, son chiquititos, sí
pero con unos corazones asi de grandes, así.
Los yanquis son grandulones, parecidos a gigantes,
algunos como elefantes “pero no tienen corazones”.
Los yanquis tienen aviones, metralletas y fusiles
y generales por miles “pero no tienen corazones”.
Por ésto y miles de cosas, los zumban los vietnamitas
eso que son chiquititos “pero si tienen corazones”».[1]

Carlos Puebla, “David y Goliath”, L’Avana 1967.

CAST

AMLO: Andrés Manuel López Obrador, presidente eletto del Messico. Aspirante al ruolo di eroe di una storia originale “né calco né copia”, come chiedeva uno dei massimi sceneggiatori della storia latinoamericana, il peruviano José Carlos Mariátegui, quasi un secolo fa[2].

Farfamiche: contrazione di Farfalle atomiche.

Farfalle perché messicane e messicani sono, in senso buono, leggeri. Naturalmente, ci sono eccezioni, alcune addirittura Slim, come il Coyote Bill entrato stabilmente nel podio dei ricchi del mondo dopo che i suoi compari al governo gli hanno ceduto a vil prezzo le più redditizie aziende statali.

Atomiche perché le farfalle del 2018 debbono contrapporsi e resistere al Caligola atomico. È il destino condiviso delle farfalle messicane da secoli poiché, recita un vecchio aforisma, “il Messico è troppo lontano da Dio e troppo vicino agli Stati Uniti”.

Star Guest: il capo della banda Bassotti,Maxi grandulón”, per l’anagrafe Donald, alias Caligola atomico. Confesso di avere avuto qualche dubbio su quest’ultimo accostamento perché, come ben sanno i lettori di Paperino, i Bassotti sono sì dei ladri approfittatori ma dotati di una sorta di “forte orgoglio professionale”.

TITOLI DI TESTA 1

“Machiavelli sa troppo bene che un Marco Aurelio è un fenomeno raro, anzi unico, che è un’eccezione di cui è inutile tenere conto. I Tiberio, i Nerone, i Caligola, ecco la materia della storia. Ogni principe degno di questo nome si avvicina più o meno a loro; ogni principe che conosca il proprio mestiere è un mostro dichiarato o attenuato e corretto. I suoi sudditi lo meritano. Per questo Machiavelli lo mette in guardia contro i pericoli della bontà. Uno Stato non si compone né di angeli, né di agnelli: è la giungla organizzata. Tale è l’idea, talora espressa, talora sottintesa, del Principe.”[3]

“Per i nordamericani che intraprendono affari nel Messico […] il regime di Díaz è il più saggio, il più moderno e il più generoso sulla faccia della terra […] Dal punto di vista del messicano comune il governo di Díaz è un trafficante di schiavi, un ladro, un assassino, che non impartisce giustizia né conosce la misericordia […] ma si dedica solo allo sfruttamento.”[4].

“È iniziato il dibattimento su Joaquín El Chapo Guzmán Loera … La difesa ha accusato il presidente Enrique Peña Nieto, il suo predecessore Felipe Calderón, militari e poliziotti messicani e agenzie statunitensi come la DEA, di essere al soldo del vero capo del Messico, Ismael El Mayo Zambada … «Presenteremo la storia che i governi messicano e statunitense non vogliono che si conosca. Funzionari del più alto livello del governo, anche di quello degli Stati Uniti, ricevono tangenti e partecipano ai reati … La DEA cerca di far credere che lo cerca, ma non riescono mai a trovarlo. E invece lavorano insieme, El Mayo ed il governo degli Stati Uniti, quando gli conviene»”.[5]

TITOLI DI TESTA 2

“Questo testo parla di contadini che non volevano cambiare e che, proprio per questo, fecero una rivoluzione … La sola cosa che volevano era restare nei loro paesi e villaggi, nel piccolo Stato di Morelos, laddove erano cresciuti e dove i loro antenati erano vissuti e morti per centinaia d’anni … Verso gli inizi di questo secolo altre persone, potenti imprenditori delle città, conclusero che fosse necessario cacciarli via. E tra imprenditori e contadini prese man mano forma un conflitto intenso, non solo a Morelos … Dovunque, i contadini protestavano poiché la sola forma di sopravvivenza che conoscevano era lavorare la terra dei loro avi”[6].

Pochi giorni fa, parlando della carovana dei migranti honduregni in arrivo a El Paso, il vicepresidente degli USA Pence – Soldo – visitando i coraggiosi soldati disposti al confine (potrebbero arrivare fino a 25.000, senza contare le decine di volontari civili armati arrivati a dare una mano contro i 1.500 facinorosi honduregni), ha sproloquiato che questa invasione somiglia molto a quella fatta dal bandito Pancho Villa ai primi del ‘900. Come allora, ha aggiunto, gli eroici soldati della patria resisteranno e cacceranno l’invasore.

La RAI, sempre attenta alle scorregge dei potenti, ha trasmesso le sue dichiarazioni con l’attenzione dedita alle dichiarazioni di un “fascista liberale”, un “kuklukklanista pacifista”, un jihhadista compassionevole”, un “Minniti pedagogo dei ceti deboli” o un “asino volante”.

Stendo un velo pietoso sulla RAI, limitandomi ad osservare che questo vice non sa che con Villa le cose andarono assai diversamente[7]. Forse perché, come tutti i creazionisti, funziona per paradigmi. Si ricorderà, ad esempio, che l’ammiraglio Eduardo Emilio Massera, “l’intellettuale” della prima giunta militare argentina (1976-1981), disse per illustrare il loro: “L’attuale crisi dell’umanità è da imputare a tre uomini. Verso la fine del XIX secolo, nei tre volumi de «Il capitale» Marx mette in discussione l’intangibilità della proprietà privata; agli inizi del XX secolo, nel libro «L’interpretazione dei sogni» Freud attacca la sacra sfera intima dell’essere umano. Come se non bastasse a problematizzare il sistema dei valori positivi della società, nel 1905 Einstein fa riconoscere la teoria della relatività che mette in discussione la struttura statica e morta della materia”[8].

Nel 1977, per loro fortuna i tre colpevoli erano ormai sottoterra, ma il generale Ibérico Saint-Jean, governatore di Buenos Aires per carro armato ricevuto, identificava velocemente i loro successori: “Prima uccideremo tutti i sovversivi; poi uccideremo i collaboratori; poi i loro simpatizzanti; poi quelli che rimangano indifferenti; per ultimo uccideremo gli indecisi”[9].

Che non si trattasse di vanterie è dimostrato dal fatto che, nell’Argentina, oltre 4.400 ragazzi furono buttati nell’Atlantico durante i “voli della morte”. Racconterà 20 anni dopo il torturatore Adolfo Scilingo: “I voli furono comunicati ufficialmente da Mendía (viceammiraglio della marina) pochi giorni dopo il golpe militare del marzo 1976. Ci spiegò che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nella Marina militare (Armada) si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. Che nell’Armada i sovversivi non sarebbero stati fucilati, poiché non si voleva avere gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e da Pinochet in Cile. Poiché neanche bisognava andare contro il Papa, è stata consultata la gerarchia ecclesiastica e adottato un metodo che la Chiesa considerava cristiano, ossia gente che si alza in volo e non arriva a destinazione. Davanti ai dubbi di alcuni marinai è stato chiarito che i sovversivi sarebbero stati buttati nel bel mezzo del volo. Al ritorno, i cappellani ci consolavano citando un precetto biblico che parla di separare l’erba cattiva dal grano”[10].

Poiché, come affermava Sherlock Holmes, “non c’è nulla di così ingannevole come un fatto ovvio”[11] e visto che le storie ripetute e tramandate non sempre sono le più veritiere, ma solo le più ripetute, non è ozioso ricordare che un ex dirigente del PC torinese arrivò a sostenere che Pinochet e Videla fecero del bene ai loro Paesi. Certo, “l’elefantino” aveva già visto “la luce” e, affermando l’aforisma “solo gli stupidi non cambiano mai opinione”, traslocato anima e corpo nel berlusconismo.

Tuttavia, malafede, soldi, potere e ignoranza non spiegano tutto. Oltre ai problemi personali, esiste pure l’incomunicabilità, penso ben ritrattata da questo dialogo tra il presidente statunitense, Theodor Roosevelt, e il giornalista John Reed:

T.R.: “Villa è un assassino e un bigamo”.
J.R.: “Beh, io credo nella bigamia”.
T.R.: Mi rallegra molto sapere che lei crede in qualcosa. Per un giovane uomo è necessario credere in qualcosa”.[12]

Come a dire che spiegare la sofferenza degli altri, animali umani e animali non umani, ad un fascista, equivale a pensare che chi nasce tondo morirà quadrato.

SOGGETTO

Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica e Geografia del Messico (Inegi), fino al settembre 2018 la guerra dichiarata da Felipe Calderón era costata al Messico 121.683 morti ammazzati. Nel primo quadrimestre di quest’anno, il governo di Enrique Peña Nieto ha superato tutti i suoi predecessori: 10.395 assassinati. Tra l’inizio della presidenza de Carlos Salinas de Gortari (dicembre 1988) e quella di Peña Nieto, gli assassinati sono stati oltre 250.000. Altre 38.000 persone sono scomparse, e si trovano in una fossa clandestina o in un container refrigerato che viaggia per il Paese, senza che nessuno sappia cosa fare col suo carico.

Seguendo diagnosi e ricette importate, i primi governi neoliberisti hanno cancellato ogni possibilità di miglioramento per decine di milioni, cacciato via dalla campagna e dall’industria altri milioni e costretto un’altra parte – quelli che non sono riusciti o non sono voluti emigrare – a diventare mendicanti, venditori ambulanti o delinquenti: 400.000 occupati nei diversi processi del narcotraffico, dai contadini seminatori di marijuana e papavero da oppio alle posizioni di comando, dai falchi che controllano il traffico alle madri che spacciamo per far mangiare i loro figli, dai cammelli da mezzo chilo ai trasportatori all’ingrosso, dai sicari ai ragionieri, medici, avvocati, segretarie, spie professionisti infiltrate nelle strutture poliziesche, militari, politiche e giudiziarie.

La seconda generazione di neoliberisti al comando adottò l’idea di eliminare quanta più gente possibile di quel mondo spingendoli ad uccidersi tra di loro. Arrivarono così i massacri di Tlatlaya, Tanhuato, Apatzingán ed altri. Totale, 250.000 morti, 58 al giorno in media, uno ogni 24 minuti, durante 12 anni. Non erano solo narcotrafficanti o delinquenti. C’era di tutto, soprattutto gente che non c’entrava nulla. Così la violenza si è abbattuta su autisti, operai edili, preti, giornalisti, politici, commercianti, musicisti, imprenditori, studenti, professionisti, prostitute, bambine e bambini, adolescenti, anziane, anziani e neonati.

La strategia, esistono numerose prove al riguardo, è stata promossa e coordinata dall’ambasciata statunitense. E almeno due presidenti, Vicente Fox e Felipe Calderón, vinsero le elezioni ricorrendo a frodi legittimate dal Tribunale Elettorale.

Le donne sono state, come sempre e dovunque, bersagli privilegiati. Nel novembre 2017 la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha presentato il suo rapporto sui femminicidi tra il 2015 e il 2017: delle 12 donne assassinate ogni giorno in America Latina, 7 sono messicane. Nell’85% degli Stati federati esiste un contesto di violenza femminicida.

Nel suo rapporto del 2015, l’OCSE indicava che i salari rappresentavano tra il 50 ed il 53% del Reddito nazionale disponibile negli USA, nel Canada, in Francia, in Cina, in Germania, nel Regno Unito e in Danimarca. Il 59,6% in Svizzera. Il 27,4% in Messico.

Perché le matematiche hanno un senso e non tutti i Paesi sono maltrattati allo stesso modo (almeno finora), nel gruppo di Paesi avanzati testé nominati i guadagni lordi delle imprese rappresentavano tra il 33 ed il 40%. Nel Messico il 66,8%.

Nel febbraio 2015, la rivista “Forbes”, nel suo ranking annuale dedicato ai miliardari stabiliva: nel 2014 le fortune dei 16 superricchi messicani (tutte fortune derivate, aggiungo, soprattutto dalla privatizzazione dei beni nazionali), sommano 144,5 miliardi di dollari, di cui la metà nelle tasche di Carlos Slim, che somma altri 1,6 miliardi ai risultati dell’anno precedente

Carlos Slim, numero uno del Messico e due del mondo (nel 2017 è sceso al terzo posto ma potrebbe riprendersi), aveva una fortuna stimata in 77,1 miliardi di dollari, 6,5% del PIL messicano, incrementata di 5,1 miliardi nel solo 2014. Tale incremento equivaleva al reddito annuo di quasi un milione di lavoratori messicani al salario minimo. Sempre secondo “Forbes”, tra il 1991 e il 2014 Slim era passato da 1,6 a 144,4 miliardi, con un aumento del 4.800%.

Il 16 novembre 2018 il governo in partenza ha informato che nei suoi 6 anni aveva creato oltre 4 milioni di posti di lavoro, oltre il doppio di quanti creati congiuntamente da Fox e Calderón, “cifre inedite che confermano questo governo come quello del lavoro formalizzato.

Magnifico. E il Consiglio Nazionale di Valutazione delle Politiche di Sviluppo Sociale (Coneval) precisava nel suo rapporto “Índice de tendencia laboral de la pobreza al tercer trimestre de 2018”: nella stragrande maggioranza dei nuovi posti di lavoro i salari sono miserabili. Circa 36 milioni di messicani con età e disponibilità per lavorare sono rimasti senza sicurezza sociale e prestazioni minime (quelle di legge), nella disoccupazione aperta (2 milioni) o sopravvivendo nell’informalità con redditi da fame. E poi: la popolazione il cui reddito da lavoro non basta per acquistare la cosiddetta cesta alimentare di base è aumentata dal 38,5 al 39,3% (media nazionale) tra il secondo ed il terzo trimestre 2018 in seguito alla diminuzione dei redditi da lavoro e all’aumento dei prezzi. Il reddito da lavoro reale procapite è diminuito dell’1,1%% tra il secondo ed il terzo trimestre del 2018. Ed è minore del salario nominale del 2005. In 26 dei 32 Stati federati della repubblica, è aumentata la percentuale della popolazione che non riesce a sfamarsi col suo salario. Nel Chiapas è il 68%, in Oaxaca il 64%, in Guerrero il 65%, in Morelos il 55%, in Veracruz il 50%, in Zacatecas il 48%. In Città del Messico il 31%.

Nel 2017, il PIL messicano è aumentato del 2%, la percentuale più bassa degli ultimi 4 anni, per una contrazione del settore industriale e una decelerazione sia del settore servizi – quasi 2/3 del PIL – sia del settore agricolo. Viceversa, le banche hanno aumentato i propri profitti del 28,4% sul 2016. Quest’aberrazione economica illustra un trasloco del reddito dai settori produttivi e dall’insieme dell’economia verso un settore non produttivo: la banca. Ciò è il prodotto delle regole del gioco dell’economia finanziarizzata neoliberista. Nel caso specifico, la Banca centrale ha aumentato il tasso d’interesse, dal 3,75% del febbraio 2016 al 7,25% del dicembre 2017 (7,75 a metà novembre 2018). Aumentando brutalmente tutte le tasse attive applicate dalla banca ai malcapitati clienti.

Queste regole finanziarie spiegano gli altissimi profitti delle banche (quasi tutte filiali di banche spagnole che guadagnano molto di più nel Messico che in Spagna, realisti di Madrid e repubblicani della Catalogna amorevolmente confusi) e, in buona misura, la diminuita crescita del PIL nel 2017.

Non ci sarà alcuna trasformazione radicale senza cambiare questo stato di cose. La vittoria di AMLO ha aperto questa possibilità. Ma per ora, i riformisti hanno preso il governo, non il potere.

Ai primi di novembre un parlamentare di Morena (il partito di AMLO) ha parlato di diminuire le commissioni bancarie. Il giorno dopo crollava la borsa e zompava in alto lo spread mentre l’unione dei banchieri tuonava: “Quest’iniziativa, ed altre posizioni del governo eletto, genera preoccupazione riguardo al potenziale inizio di un processo di distruzione delle istituzioni del paese […] La forma intempestiva dell’annuncio indica la predisposizione del nuovo governo ad adottare un processo di presa di decisioni al di fuori di quanto stabilito istituzionalmente”.

Ovvero, i poteri fattivi si opporranno a qualsiasi cambiamento non cosmetico della realtà. AMLO ha dovuto calmierare la mareggiata finanziaria impegnandosi a non introdurre cambiamenti fiscali e finanziari durante la prima metà del suo mandato.

Ciò significa due cose: riconoscere i poteri di fatto e avvisarli che ci si rivedrà fra tre anni.

Tuttavia, mi sembra ovvio, questi cambiamenti non potranno realizzarsi nemmeno allora se il governo non sarà riuscito a modificare a suo favore il rapporto di forze esistente.

Per modificarlo deve operare su due fronti. Il primo, abbattendo le disuguaglianze e creando lavoro, redditi dignitosi, salute ed educazione. L’altro, costruendo insieme alla popolazione una forte narrazione sulla giustizia sociale che mantenga la mobilitazione popolare in appoggio al processo di trasformazione. Senza dimenticare che lo zio Sam e il Caligola atomico pongono la necessità di una politica di alleanze internazionali produttive in grado di alterare i rapporti di dipendenza profonda verso il nord.

Un compito per formiche elettriche, appunto. Supportate da ogni tipo di aiuto, compresi quelli non terreni se ciò serve al morale.

Ma, se il Messico è una tra le prime 12 economie al mondo, è il principale paese di lingua spagnola, ha la quarta città più popolata al mondo, è la terra del corrido, dei mariachi, di Speedy González e della siesta, della madonna di Guadalupa e di Benito Juárez, è il Paese più rivoluzionario del mondo (quello in cui sono accadute più rivoluzioni in tempi recenti), e quello di Diego Rivera, di Frida Kahlo, del caffè equo e solidale, di Juan Rulfo, di Carlos Fuentes, di Paco Ignacio Taibo II, dello stregone don Juan e di tanti eccetera, perché non se ne parla mai da queste parti?

Penso che la risposta sia ovvia: perché essendo succubi dell’egemonia statunitense, pensiamo che il Paese col quale gli USA condividono oltre 3mila chilometri di confine sia roba loro.

I messicani si meritano, si sono guadagnati, ben maggiore considerazione. Anche perché, penso e spero, sarà il processo riformista più interessante al mondo nei prossimi anni.

Peccato non ci sia John Reed a raccontarcelo. Ma proveremo ad arrangiarci lo stesso.

R.A. Rivas

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[1] «I vietnamiti son piccolini, son piccolini sì, ma hanno dei cuori così grandi, così. Gli yankee sono troppo cresciuti, simili ai giganti, alcuni agli elefanti, “ma non hanno cuore”. Gli yankee hanno aerei, mitragliatrici e fucili, e generali per migliaia, “ma non hanno cuore”. Per questo, e per mille altre ragioni, li bastonano i vietnamiti che sì, sono piccolini, “ma hanno cuori”».

[2] “Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana”, “Amauta”, Lima 1928. Trad. italiana “Sette saggi sulla realtà peruviana, e altri scritti politici”, Giulio Einaudi Editore, Torino 1972.

[3] Fernando Savater, “Cioran un angelo sterminatore”, Edizioni Frassinelli, Milano 1998.

[4]  John Kenneth Turner, “Barbarous Mexico”, Charles H. Kerr and Company, Chicago 1910. “México bárbaro”, Costa-Amic Cordomex, Città del Messico 1965. Edizione digitale https://archive.org/details/KennethTurnerJohn.MexicoBarbaro2016

[5] David Brooks, “Presidentes de México recibían sobornos: abogado de El Chapo”, “La Jornada”, Città del Messico 14 novembre 2018.

[6] John Womack Jr., “Zapata y la Revolución mexicana”, Siglo XXI editores, Città del Messico 1967.

[7] Consiglio la lettura di Paco Ignacio Taibo II, “Un rivoluzionario chiamato Pancho”, Tropea, Milano 2007, a chi abbia voglia di conoscere la verità sull’occupazione di Columbus, il 2 marzo 1916. Come scrive Mauricio Magdaleno, “chi canta la gesta della rivoluzione cavalca sul destriero di Villa”. “Instantes de la revolución”, Instituto nacional de estudios históricos de la revolución mexicana, Città del Messico 1979.

[8] “Declaraciones del Almirante Eduardo Emilio Massera”, “La Opinión”, Buenos Aires 25 novembre 1977.

[9]  Dichiarazioni rilasciate all’“International Herald Tribune”, Parigi 26 maggio 1977.

[10] Martín Castellano, 4 ottobre 1997, intervista consultabile in http://www.laopinionrafaela.com.ar/opinion/2005/01/27/c512777.htm. Vedere anche “Unas 4.400 personas fueron eliminadas con los vuelos de la muerte”, Carlos Herrera, “Onda Cero radio”, 7 ottobre 1997, intervista consultabile in www.belt.es/noticias/2005/enero/28/entrevista.htm.

[11] Arthur Conan Doyle: “Sherlock Holmes. Tutti i racconti”, Einaudi, Torino 2011. Il racconto originale, “The Adventures of Sherlock Holmes”, è del 1892.

[12] Conversazione riportata da Granville Hicks, “John Reed. The Making of a Revolutionary”, MacMillan, New York 1937.

Rodrigo Andrea Rivas

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