Storie di emigrazione
JOSÉ SARAMAGO
17 luglio 2009
(la traduzione è mia)
Che lanci la prima pietra chi mai ha avuto macchie da emigrazione a sporcargli l’albero genealogico…
Come nella storiella del lupo cattivo che incolpava l’innocente agnellino di sporcargli l’acqua del rio dove entrambi bevevano, se tu non sei emigrato ha emigrato tuo padre, e se tuo padre non ha avuto bisogno di andarsene, è stato solo perché, prima, il tuo nonno ha dovuto caricarsi la sua intera vita sulla schiena per andare alla ricerca del pane che la sua terra gli rifiutava.
Molti portoghesi sono morti affogandosi nel fiume Bidasoa quando, notte oscura mediante, cercavano di raggiungere a nuoto l’altra riva dove, si diceva, prendeva inizio il paradiso chiamato Francia.
Centinaia di miglia di portoghesi dovettero sottomettersi, nella cosiddetta colta e civile Europa che si estende oltre i Pirinei, a condizioni di lavoro infami e a salari indegni.
Quelli che riuscirono a sopportare le violenze di sempre e le nuove privazioni, i sopravvissuti, disorientati in mezzo a società che li disprezzavano e umilliavano, persi in idiomi che non potevano capire, costruirono poco a poco, con rinunce e sacrifici quasi eroici, moneta a moneta, centesimo dopo centesimo, il futuro dei loro discendenti.
Tra questi uomini alcuni, tra queste donne alcune, non hanno perso né vogliono perdere la memoria del tempo in cui dovettero patire tutte le ingiurie del lavoro malpagato e tutte le amarezze del isolamento sociale.
Dobbiamo ringraziarli per essere stati in grado di preservare il rispetto che dovevano al loro passato.
Molti altri, la maggioranza, hanno tagliato i ponti che li univano alle ore sordide, si vergognano di essere stati ignoranti, poveri, a volte miserabili.
Alla fine dei conti, si comportano come se, davvero, una loro vita decente avesse avuto inizio veramente solo quel felicissimo giorno in cui sono riusciti ad acquistare la loro prima auto.
Costoro sono sempre disponibili a trattare con identica crudeltà ed identico disprezzo gli emigranti che attraversano il Mediterraneo, quell’altro Bidasoa, piu largo e profondo dove gli affogati abbondano e diventano pasto dei pesci – se la marea ed il vento non scelgono di spingerli fino alla spiaggia – fin quando la guardia costiera non compare per portarsi via i cadaveri.
I sopravissuti dei nuovi naufragi, coloro che hanno messo i piedi in terra e non sono stati successivamente espulsi, troveranno ad aspettarli l’eterno calvario dello sfruttamento, della intolleranza, del razzismo, dell’odio per la loro pelle, del sospetto, dell’umilliazione morale.
Chi prima è stato sfruttato e ne ha perso la memoria, sfrutterà.
Chi è stato disprezzato e fa finta di averlo dimenticato, affinerà la sua propria forma di disprezzare.
Colui che ieri è stato umilliato, oggi umillierà con più incono.
E ora sono lì, tutti insieme, a lanciare pietre su chi arriva sulla sponda nostrana di questo Bidasoa, come se mai fossero emigrati loro, i loro genitori o i loro nonni; come se mai avessero sofferto la fame, la disperazione, l’angoscia, la paura.
In verità, in verità vi dico, che ci sono alcune forme di essere felice semplicemente odiose.