Il litio latinoamericano la transizione e le dissonanze
Con le batterie ricaricabili e le autovetture elettriche la domanda mondiale di litio ha subito un vero e proprio tsunami: tra 1995 e 2010 la produzione è passata da 9.500 a 28mila tonnellate (t) e, tra il 2016 e il 2020 da 40mila a 86.300 t (Govind Bhutada, “Charted: Lithium Production by Country 1995-2020, 9 febbraio 2022)
Fino al 1995 i maggiori produttori mondiali erano gli Stati Uniti, lo Zimbabwe e l’Australia.
Dal 1995 al 2010 lo è diventato il Cile grazie all’auge del Salar de Atacama.
Alla fine del 2021, 3 Paesi – Australia, Cile e Cina – producevano l’86% del litio globale.
Ma la maggiore riserva del mondo si trova in Bolivia.
I dati stabiliscono la seguente classifica tra i produttori (2020): 1. Australia: 40.000 t (46,3%); 2. Cile: 20.600 t (23,9%); 3. Cina: 14.000 t (16,2%); 4. Argentina: 6.200 t (7,2%); 5. Brasile: 1.900 t (2,2%); 6. Zimbabwe: 1.200 t (1,4%); 7. Portogallo: 900 t (1%); 8. Stati Uniti: 900 t (1%).
La dislocazione delle risorse ha poco a che fare con gli interessi economici e molto spesso determinano successive invasioni e o destabilizzazioni destinate a manipolare le riserve.
Secondo la Deutsche Welle il ranking delle riserve di litio è: 1. Bolivia: 21 milioni t; 2. Argentina: 19,3 milioni t; 3. Cile: 9,6 milioni t; 4. Stati Uniti: 7,9 milioni t; 5) Australia: 6,4 milioni t; 6. Cina: 5,1 milioni t; 7. Congo: 3 milioni t; 8. Canada: 2,9 milioni t; 9. Germania: 2,7 milioni t; 10. Messico: 1,7 milioni t (29,7).
Complessivamente, le risorse identificate nel mondo ammontano a 79,2 milioni di t. (Diego Zúñiga, ¿Por qué ahora todos quieren explotar litio? 18 02 2022).
La somma delle riserve accertate in 3 Paesi confinanti del Sudamerica – Bolivia, Argentina e Cile – arriva a 49,4 milioni di t, il 62,5% del totale mondiale.
Il terzo produttore mondiale, la Cina, controlla il processo produttivo dopo che, tra 2018 e 2021, aziende cinesi hanno speso oltre 5 miliardi di dollari in progetti legati al litio in Sudamerica, Brasile e Messico.
Inoltre, la Cina domina i processi di raffinazione del minerale e di fabbricazione di batterie della catena produttiva (supply side chain) di ioni di litio.
Nel 2020 gli USA hanno prodotto solo 900 t di litio, l’1% della produzione globale, malgrado sia al quarto Paese al mondo per le riserve accertate.
Dal 2015 la produzione mondiale di litio è aumentata del 27% annuo e la sua quotazione è aumentata del 270% tra gennaio 2015 e gennaio 2022.
Secondo S&P Global, la domanda di litio arriverà a 2 milioni di t nel 2030. Ciò significa che la produzione dovrà incrementarsi del 2.200% sui livelli raggiunti nel 2020.
Significa anche che la prospezione aumenterà enormemente, specie in Paesi come gli USA attualmente molto in ritardo in questa corsa.
Penso che la prima domanda e il primo rischio per la Bolivia e per gli altri grandi Paesi produttori sia questa: gli USA manterranno le loro riserve di litio sotto terra acquistando le risorse di altre nazioni tramite metodi commerciali e/o bellici?
Intendo dire che questi Paesi devono chiedersi se l’irredentista geopolitica anglosassone cercherà velocemente di trasformarli in inferni simili a quello creato dall’’invasione USA/GB/Francia della in Libia per impossessarsi delle sue riserve monetarie, del suo gas e della sua acqua.
I Paesi sudamericani non hanno le capacità finanziaria-tecnologica indispensabili per far fronte ad un processo di queste dimensioni e nelle attuali condizioni sembrano bocconi appetibili e facili da digerire, pure tramite uno scenario fantasmagorico come quello di una guerra per procura tra statunitensi e cinesi, all’interno di uno scenario simile a quello già sperimentato nella “Guerra del Chaco” (1932-1935), combattuta tra paraguaiani e boliviani a nome e per conto di compagnie petrolifere statunitensi che, erroneamente, ritenevano la regione ricca di petrolio.
La sola possibilità dei tre Paesi per meglio contrattare la loro dipendenza garantendosi quote maggiori dell’affare e acquisizioni tecnologiche successive, passa per la costituzione di una loro impresa trinazionale per lo sfruttamento sostenibile del litio.
Visto il carattere teoricamente progressista dei loro attuali governi, non sembrerebbe impossibile.
Certo: i razzismi e le odiosità storiche (le seconde in buona misura giustificate), saranno coscientemente ravvivate dall’esterno e all’interno dei 3 Paesi.
La “Trinazionale BAC” nasce dell’idea che i sud del mondo debbano organizzarsi per guadagnare spazio nei confronti dell’imperialismo collettivo della triade esigendo voce, pluralità e multiculturalità, questionando radicalmente la colonialità del potere, ossia il mondo costruito dalla penisola euroasiatica denominata Europa.
Nel 1991, uno dei maggiori intellettuali latinoamericani, il peruviano Aníbal Quijano, annotava: “Quando gli europei arrivarono a questi territori e conquistarono le società aborigeni nacquero, contemporaneamente, tre categorie storiche: America – e in quel primo momento l’America Latina – il capitalismo e la modernità. 500 anni dopo, tutte e tre sono in crisi”).
Trenta anni dopo la diagnosi di Quijano quel processo di crisi globale è assai progredito.
Siamo immersi in una lunga transizione comprendente quattro grandi temi: la crisi del capitalismo globalizzato neoliberista, la grande transizione geopolitica, la mutazione ecologico-sociale del pianeta e il declino dell’occidentalismo.
Proprio la convergenza di queste crisi rende possibile concepire un progetto come quello testé nominato.
E se è vero che l’umanità si pone solo i problemi di cui conosce la soluzione, progrediremo velocemente.
In ogni caso vale la pena provarci.
In questo caso, il punto di partenza della mia dissonanza parte da alcuni versi di Pablo Neruda e cerca di applicare la logica di Victor Jara.
Pablo scrisse: “Entre morir y no morir me decidí por la guitarra. Y en esta intensa profesión mi corazón no tiene tregua porque donde menos me esperan, yo llegaré con mi equipaje a cosechar el primer vino en los sombreros del Otoño” (Tra morire e non morire mi decisi per la chitarra. E in questa intensa professione il mio cuore non conosce tregua perché, laddove meno mi aspettano, arriverò col mio bagaglio a mietere il primo vino nei cappelli dell’autunno” (“Testamento de otoño”, in “Extravagario” 1958)
Victor rivettò: “Yo no canto por cantar, ni por tener buena voz. Canto porque la guitarra, tiene sentido y razón. Tiene corazón de tierra y alas de palomita” (Io non canto per cantare, né perché ho una bella voce. Canto perché la chitarra, ha senso e ragione. Ha il cuore di terra e l’anima di colombella” (“Manifiesto”, 1973).
Certo: provare è diverso di riuscirci.