Minchia signor tenente! Ancora Colombia
“Vi sono alcune cose – poche! – capaci di commuovere l’uomo,
Bertolt Brecht, “L’opera di tre soldi”,
ma il male è che, se le usate di frequente, perdono il loro effetto.”
Nel dicembre 2019 una giovane studentessa urlava dalla finestra di una macchina coi vetri oscurati: “Aiuto. La polizia mi ha sequestrata. Aiutatemi”. A Bogotà, decine di persone registravano il rapimento, inseguivano il veicolo, facevano girare la registrazione e infine manifestavano per esigerne la liberazione. L’hanno così strappata alla polizia.
A Santiago, un carro armato verde oscuro occupa l’intero schermo. Incurante delle centinaia di testimoni girava a sinistra bruscamente e, con tutta la vigliaccheria derivata dall’uniforme e la superiorità derivata dalle sue armi, spezza il corpo di un ragazzo stringendolo contro un altro carro armato, sempre verde oscuro. La rabbia esplode in tutte le strade del Paese situato alla fine del mondo.
Janeth Valderrama, contadina colombiana, era al quarto mese di gravidanza quando il 28 settembre 1998 tre aerei e quattro elicotteri della Polizia colombiana fumigavano con glifosato il suo paese, Solitá, nel sud colombiano. La pioggia di glifosato, erbicida totale (non selettivo) divenuto di libera produzione nel 2001 quando è scaduto il relativo brevetto fino ad allora proprietà della Monsanto, si usa a man bassa in Colombia “per l’aspersione aerea contro le coltivazioni di coca”. Janeth, intenta a lavare i panni in un torrente a 200 metri da casa, non fece in tempo a rifugiarsi. La portarono all’ospedale di Florencia con macchie sulla pelle, difficoltà di respirazione e intensi dolori in tutto il corpo. Incinta da 4 mesi, dovettero farla abortire. È morta un anno dopo in una clinica, lasciando due figlie piccole.
Doris Alape non ha abortito. Nel 1999, un’estesa fumigazione realizzata dalla Polizia a Chaparral (Tolima) contaminò tutte le coltivazioni e la sorgente dell’acquedotto. Si ammalarono 26 persone. “Dopo diversi segnali d’intossicazione, Doris partorì dopo appena 28 settimane di gestazione. Suo figlio è morto il primo giugno 1999. La salute di Doris è talmente compromessa da impedirle ogni forma di lavoro” (Centro de derechos reproductivos, Informe Salud Reproductiva y Glifosato en el contexto del conflicto armado, 2020).
Nel dicembre 2020 la Giurisdizione Speciale per la Pace in Colombia, nata dagli accordi di pace, in seguito alla segnalazione di un ex soldato identificava una fossa comune con 50 corpi di contadini, assassinati dall’esercito colombiano nel contesto del massacro denominato “dei falsi positivi”, che implementava la “politica di sicurezza democratica” dell’ex presidente Álvaro Uribe Vélez, “il matarife”. Si suppone che ci siano diverse altre fosse comuni in tutto il paese con corpi e colpevoli in attesa d’identificazione.
Sempre nel dicembre 2020, 50 corpi sono stati esumati da una fossa clandestina a Jalisco, Messico. Il governo di Felipe Calderón aveva riconosciuto 61.637 persone scomparse nei suoi 6 anni di governo. Alla fine del 2020 gli scomparsi del governo erano già aumentati del 54%.
Il 31 dicembre 2020, mentre la gente salutava l’ultimo dell’anno, a Pogue, sul fiume Bojayá, arrivavano 300 uomini armati e, pochi giorni dopo, il presidente Iván Duque. Il “sub presidente” distribuiva caramelle, si faceva fotografare con bambini piccoli sulle spalle, e dichiarava al numeroso seguito di giornalisti: “A Pogue non succede nulla”.
Pogue è uno dei luoghi dove gli accordi di pace agonizzano per la moltiplicazione degli omicidi: solo nei primi 30 giorni del 2021, sono stati assassinati 21 leader sociali. In verità, gli uccisi sono molti di più ma sui “morti comuni” non esistono conteggi. Comunque, contadine e contadini di Pogue raccontano che gli omicidi avvengono ogni giorno.
La ripetitività impedisce che i TG non ne parlino. Accade pure alla RAI su Gaza (“ancora un bombardamento!”). Duque afferma che non succede nulla. La glossa a García Márquez: “Macondo è un paese felice”.
Nel linguaggio vetusto, inutile e ripetitivo al quale siamo abituati, “il narcotraffico è un cancro”, le popolazioni rurali vivono in esotici luoghi dove si democratizza l’illegalità e le vittime sono un elenco di caduti nelle interminabili e spesso incomprensibili guerre tra cattivi per il controllo delle rotte, delle merci e delle droghe. Non a caso, pochi mesi fa una ministra colombiana (ancora in carica) dichiarava che la responsabilità degli omicidi dei leader sociali e della violenza in genere va attribuita al compiacimento con cui la popolazione osserva il narcotraffico. Totò direbbe “cornuti e mazziati”. I colombiani dicono “jodidos y culpables”.
Il copyright è quello del Matarife: “Se l’autorità, serena, ferma e con criterio sociale implica un massacro, è perché dall’altra parte più che protesta c’è violenza e terrore”.
Pochi giorni fa, da vero comandante in capo, il Matarife ha sentenziato: “Confidiamo nell’immediata occupazione militare di Cali … Confidiamo che le nostre autorità possano arrestare i vandali domestici e le orde di terroristi che hanno invaso la città”.
Penso che persino Netanyahau invidi cotanta capacità di sintesi!
Probabilmente la loquace ministra colombiana segue solo la sua TV e, forse, non ha saputo che la mano destra di Felipe Calderón – Genaro García Luna, ministro della Pubblica Sicurezza – è sotto accusa nei tribunali statunitensi per i suoi legami con i principali gruppi di trafficanti. L’ignoranza e l’impudicizia le permettono di continuare a ricorrere alla trama usurata e irreale che ha trasformato buona parte degli Stati latinoamericani (e non solo), in pregiato strumento di perfezionamento, realizzazione e copertura di perverse e vigliacche modalità per uccidere.
Ma, pur se faccio fatica a concederglielo, è probabile che la ministra sia semplicemente una comunicatrice analfabeta, una specie in rapida e planetaria espansione. Anzi: è analfabeta. Se non lo fosse, avrebbe quantomeno letto la breve ma inequivoca “Radiografía de la violencia contra líderes sociales en Colombia”.
Nella domenica in cui i cileni votano per eleggere la prima assemblea costituente democraticamente eletta della loro storia, auguro ai fratelli colombiani quanto proclama in una vecchia poesia lo spagnolo Rafael Alberti: “Galopa, caballo cuatralbo, jinete del pueblo, al sol y a la luna. ¡A galopar, a galopar, hasta enterrarlos en el mar! (“Galoppa, cavallo balzano, cavaliere del popolo, al sole e alla luna. A galoppare, a galoppare, fino a sprofondarli nel mar”.
R.A. Rivas 16.05.2021