Giravolte e ragazzi di vita IV: La borsa o la vita
Ph: Drew Angerer/Getty Images North America
Voli veloci sui concetti indispensabili per delimitare il campo di gioco
“Ai mandarini che gestiscono questa pandemia piace parlare di guerra.
Arundhati Roy, “The pandemic is a portal”, Financial Times, 3 aprile 2020
Non la usano come metafora, ma letteralmente.
Ma, se fosse realmente una guerra, chi potrebbe essere meglio preparato degli Stati Uniti?
Se i soldati della prima linea non avessero bisogno di maschere e guanti, ma di armi,
bombe intelligenti, bunker, sottomarini, aerei di combattimento e bombe nucleari,
ci sarebbe carenza?
1) Secondo Michel Foucault l’epicentro del moderno arte di governare è la sanità, giacché lo Stato gestisce e controlla la popolazione mediante la medicina e la salute mentale.
Foucault denomina biopolitica il terreno sul quale agiscono l’insieme di pratiche attraverso le quali la rete di poteri gestisce e disciplina i corpi e regola le popolazioni, un’area d’incontro tra il potere e la sfera della vita realizzata con l’esplosione del capitalismo: “Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte” (“La volontà di sapere”, Feltrinelli, 1978).
Ne deriva che il contratto implicito tra gli Stati moderni ed i loro cittadini poggia sulla capacità di garantire ai secondi la sicurezza fisica e la salute.
Da questa prospettiva, il corona virus ha portato alla luce due fatti opposti.
Il primo è che questo contratto è stato rotto dallo Stato, la cui vocazione s’esprime ormai nell’aumento del volume dell’attività economica, nella diminuzione dei costi della manodopera, nel sostegno o quantomeno nella piena ignoranza del processo di delocalizzazione della produzione, che include, come abbiamo ben imparato, mascherine e ventilatori ad uso respiratorio. Nella deregolamentazione dell’attività bancaria e dei centri finanziari, e nell’appoggio incondizionato ad ogni richiesta delle grandi corporazioni. Il risultato, per volontà o per omissione, è l’erosione del settore pubblico.
Il secondo è che soltanto lo Stato può gestire e superare una crisi di grandi dimensioni.
La gestione “just in time” imposta dal neoliberismo, ossia la logica di zero letti liberi uguale zero “stock” di letti disponibili, ci dimostra che negli ospedali non c’erano letti e ventilatori perché non dovevano esserci giacenze di magazzino. In questa logica equivale a “denaro ozioso”.
Ciò nulla ha a che fare con la “cura della salute della popolazione”, ma garantisce la produttività dell’ospedale e della struttura sanitaria. Conviene tenere chiaro che i padroni, e di riflesso lo Stato, erano e rimangono disposti a portarla fino alle ultime conseguenze.
Ciò compare, assai velatamente, nelle discussioni odierne sulla fine della quarantena.
2) Secondo Immanuel Wallerstein, dopo il ’68 per la prima volta è esistita la possibilità di una rivoluzione avente caratteristiche globali (a chi fosse interessato nella enorme opera di Wallerstein suggerisco iniziare con “L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo (1945-2025)”, Asterios, Trieste 1997).
Il pensiero filosofico/politico che produsse rotture e innovazioni significative sul piano concettuale era fondamentalmente europeo, e pensava l’Europa mentre il centro delle rivoluzioni si era spostato da tempo (I. Wallerstein, “La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo”, Fazi, Roma 2007).
In senso ampio, nella sinistra occidentale ci sono stati due atteggiamenti opposti:
Il primo ha abbandonato ogni nozione di lotta di classe senza proporre nulla all’altezza teorica e politica dei concetti abbandonati.
Il secondo ha riprodotto il concetto ma limitandolo al conflitto capitale-lavoro come da marxismo classico mentre, penso, il problema era (e resta) passare dalla lotta di classe singolare alla lotta di classe plurale.
Comunque, il pensiero europeo smette di pensare i processi rivoluzionari proprio quando questi erano più che mai all’ordine del giorno.
3) Nella prima metà del XX secolo “i popoli oppressi” dal colonialismo si sono resi protagonisti della rottura politica più significativa del secolo, mettendo in discussione la divisione tra centro e colonia, ossia la modalità di funzionamento del capitalismo fin dal 1492. Il ciclo si conclude nell’America Latina dopo l’intervento dell’imperialismo statunitense e dei suoi economisti.
A Buenos Aires l’ammiraglio Eduardo Emilio Massera, l’intellettuale della prima giunta militare (1976-1981), illustrava il nuovo paradigma (“La Opinión”, Buenos Aires 25 novembre 1977):
“L’attuale crisi dell’umanità è da imputare a tre uomini. Verso la fine del XIX secolo, nei tre volumi del «Capitale» Marx mette in discussione l’intangibilità della proprietà privata. Agli inizi del XX secolo, nel libro «L’interpretazione dei sogni», Freud attacca la sacra sfera intima dell’essere umano. Come se non bastasse per problematizzare il sistema dei valori positivi della società, nel 1905 Einstein fa riconoscere la teoria della relatività che mette in discussione la struttura statica e morta della materia”.
Nel 1977, poiché per loro fortuna i tre colpevoli indicati da Massera erano sottoterra, il governatore di Buenos Aires per carro armato ricevuto, generale Ibérico Saint-Jean, identificava velocemente e pragmaticamente i succedanei:
“Prima uccideremo tutti i sovversivi; poi uccideremo i collaboratori; poi i loro simpatizzanti; poi quelli che rimangano indifferenti; per ultimo uccideremo gli indecisi” (“International Herald Tribune”, Parigi 26 maggio 1977).
Chiudendo il ciclo graficamente, chiunque fosse sospettato di appartenere ad organizzazioni studentesche, sindacali, politiche o si ritenesse in grado di svolgere una qualsiasi attività che interferisse con la politica della Giunta militare, era arrestato, torturato, ucciso o desaparecido (scomparso). I desaparecidos erano i sequestratati che non risultavano nei registri dei commissariati di polizia o delle autorità militari, e sui quali era impossibile avere notizie, anche in merito ad un loro eventuale decesso.
Canterà un altro argentino, Charly García:
“Gli amici del quartiere possono scomparire. I cantanti della radio possono scomparire. Quelli che sono sui giornali possono scomparire. La persona che ami può scomparire. Quelli che sono nell’aria possono scomparire nell’aria. Quelli che sono per strada possono scomparire per strada. Gli amici del quartiere possono scomparire. Ma i dinosauri scompariranno”.
Da buon artista, Charly era un ottimista.
Dei tre cicli di lotta rivoluzionaria, socialista ed europeo del XIX secolo, comunista e internazionalista della prima parte del XX secolo, e della rivoluzione mondiale e sociale del secondo dopoguerra, resta assai poco.
Il neoliberismo mette fine a quest’ultimo ciclo a sangue e fuoco e da 50 anni assistiamo a lotte esclusivamente difensive.
Oggi dovremmo pensare seriamente al ciclo di lotte aperto nel 2019 analizzandone sia la dimensione mondiale che la differenza tra nord e sud del mondo.
Non so se si farà mai da queste parti perché, di primo acchito, gli indici più promettenti non sembrano quelli del nord del mondo.
4) 50 anni fa la sinistra occidentale ha perso di vista che la violenza reale ed i cicli di lotta non sono scomparsi dalla vita quotidiana ma sono traslocati verso spazi non-europei.
In Europa, identificando come risposta al potere le piccole resistenze definite le sole possibili, la micro-politica ha perso di vista gli innumerevoli atti di violenza politica e militare in atto dovunque, dai Paesi arricchiti ai territori delle vecchie colonie considerate repubbliche di seconda classe da un potere rimasto colonialista fino al midollo. Peggio ancora quando questo potere si è instradato lungo la variante neoliberista in coincidenza della seconda crisi sistemica lunga (1978-1991).
Se la prima crisi sistemica lunga (1873-1890) è finita con due guerre mondiali, la seconda ha partorito un tipo de neoliberismo incentrato sulla costruzione di un oligopolio mondiale nucleato attorno ad un piccolo gruppo di imprese diventate agenti finanziari e produttivi su scala globale, “il mondo dell’1%” (per un’analisi di queste crisi si veda Samir Amin, “Revolution or Decadence? Thoughts on the Transition between Modes of Production on the Occasion of the Marx Bicentennial”,Monthly Review, maggio 2018).
5) La comparsa del Covid-19 mette in mostra un capitalismo moribondo che, tuttavia, non scomparirà da sé essendo peraltro un sistema che vive dalle crisi.
Tutto, e soprattutto la vita, serve per generare rendita. Non a caso, la concentrazione, la globalizzazione e la finanziarizzazione si ritrovano all’origine di tutte le guerre, disastri economici, finanziari, sanitari ed ecologici di questa seconda crisi sistemica lunga.
Spiega, ad esempio, il perché molti oligopoli farmaceutici abbiano chiuso le loro unità di ricerca e si limitino ad acquistare brevetti da piccole società per garantirsi il monopolio dell’innovazione. Un controllo monopolista che permette loro di offrire medicine a prezzi esorbitanti, riducendo l’accesso ai malati (per approfondimenti vedere Gianni Tognoni, Rodrigo A. Rivas, Elio Rossi, “Se la salute diventa una merce”, l’Altrapagina, Città di Castello 2005).
6) Senza espropriare gli oligopoli di Big Pharm, sarà impossibile mettere in pratica qualsiasi politica sanitaria umana.
Sotto l’egida degli oligopoli, le politiche per la salute mai saranno inquadrate dalla logica biopolitica della “cura della popolazione” e sempre obbediranno a dispositivi precisi, razionali nella follia e violenti nell’applicazione, il cui solo scopo è produrre profitti e rendite.
E, infatti, il panorama apocalittico della quarantena in corso dimostra praticamente che quando la necropolitica serve, si pratica la necropolitica, poiché l’espressione ultima della sovranità consiste nel potere e nella capacità di decidere chi può vivere e chi deve morire.
La quarantena in atto somiglia anche ad una prova generale della prossima crisi “ecologica” (o atomica): tutti chiusi in casa a difendersi da un “nemico invisibile” sotto la minaccia sanzionatrice dei responsabili della situazione in corso.
7) La generalizzazione della guerra contro i vivi è la logica intrinseca del capitalismo contemporaneo.
I vivi sono oggetto di sfruttamento ma, per sfruttarli convenientemente, bisogna prima sottometterli.
Il corona virus ha reso visibile a tutti (ma, Saramago ci ha insegnato in “Cecità”, per vedere bisogna voler vedere), che la vita degli umani è sottomessa alla logica contabile che organizza la sanità pubblica e può, quindi, decidere chi vive e chi muore, come accadde da sempre con la vita dei non umani.
Ci ha pure insegnato che se l’accumulazione di capitale non conosce confini, quando la vita rappresenta un limite alla sua espansione, il capitale lo supera come qualsiasi altro limite (per approfondimenti su quest’ultimo aspetto suggerisco Maurizio Lazzarato, “Il capitalismo odia tutti. Fascismo o rivoluzione”, DeriveApprodi, Roma 2019).
R.A. Rivas, Aprile 2020