Darwin, noci e sopravvissuti

Darwin, noci e sopravvissuti


    “La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate
«selezione naturale» o «sopravvivenza del più adatto».
Le variazioni che non sono né utili né nocive non saranno influenzate
dalla selezione naturale, e rimarranno allo stato di elementi fluttuanti,
come si può osservare in certe specie polimorfe, o infine, si fisseranno,
per cause dipendenti dalla natura dell’organismo e da quella delle condizioni”.
Charles Darwin[1]

Ho cercato nei testi di Darwin una pista per definire chi sono i più adatti, i prescelti dalla selezione naturale. Non ho trovato nulla. Ma, allora, chi sono i più adatti? I più belli? i più alti? i più bianchi? i più ricchi? i più figli di puttana? i più speranzosi? i più tenaci? i più furbi? Nessuna risposta trova corrispondenza con la teoria dell’evoluzione. Insomma, Darwin non ha mai definito “i più adatti”.

Poiché la sopravvivenza è cosa seria, cerco un’altra strada per arrivare a definirli a partire da qualcosa che so, che tutti sappiamo. Lo esprimo con grande moderazione: il riscaldamento globale è una minaccia ecologica seria.

Subito, però, una semplice osservazione mi costringe ad aggiungere che si tratta, anche, di un’ottima opportunità per sviluppare nuovi affari. D’altronde, perché l’apocalisse non dovrebbe essere un buon affare?

Succede, infatti, che guardando le banali cronache di banalissimi quotidiani e/o ascoltando banalissimi racconti televisivi (banale può anche significare falso), scopro che aziende farmaceutiche svizzere sono alla ricerca di farmaci adeguati alle nuove malattie tropicali; che collezioni di moda a Parigi e Milano adeguano colori e disegni alle nuove temperature; che produttori di vino francesi sono alla ricerca di terreni più alti per impiantare le loro viti mentre si congratulano per le attuali temperature che ammazzeranno un po’ di germi che hanno bisogno di umidità; che assicurazioni californiane hanno adeguato le loro tariffe al prevedibile alluvione di catastrofi e incendi … Ovvero, capisco che le aziende mutano, assai più velocemente delle società, per affrontare il cambiamento climatico. In questo senso, farmaceutiche, moda, produttori di vino e assicurazioni sono solo la loro avanguardia, l’avanguardia della retroguardia.

Siamo, direbbe Nietzsche, nel regno del nichilismo.  “Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?”[2]

Aggiunge: ci sono due tipi di nichilismo. Il nichilismo passivo (ad esempio quello configurato dall’adeguamento degli affari) è strettamente connesso alla morale del risentimento e comporta la dissoluzione della volontà di stare al mondo. Normalmente l’uomo nichilista cede di fronte all’assurdità del reale.

Probabilmente da sempre esistono coloro che cercano di procedere in senso ostinatamente contrario e inverso. Molto prima di Fabrizio de Andrè, racconta Pirandello, è accaduto a Bellucca[3].

Bellucca era un contabile mansueto, metodico e paziente, sottoposto a pressioni nell’ambito familiare e in quello lavorativo. Al lavoro, era vittima dei colleghi che cercavano di provocare in lui reazioni violente per superarne l’autocontrollo. In famiglia doveva mantenere la moglie, la suocera e la sorella della suocera – tutte e tre cieche – più le due figlie vedove e sette nipoti. I bisogni e le aspirazioni delle sue donne lo costringevano ad un secondo lavoro, copista di documenti, nelle ore notturne. Finché, non si sa se per pazzia, sonno arretrato o riflessione, avendo intuito la possibilità di un’altra vita, Bellucca si ribellava al capo-ufficio.

Infatti, finirà in un manicomio. Tutto per colpa del fischio di un treno che l’aveva spinto a fuggire dal mondo reale scatenando un processo d’immaginazione che l’aveva trasportato in una nuova realtà fantastica. Oggi si potrebbe dire, “in un altro mondo possibile”.

Il massimo responsabile della erosione radicale delle nostre condizioni di vita, il capitalismo, cerca e ritrova “nicchie di mercato” per accrescere a breve scadenza i suoi profitti continuando ad indebolire le condizioni della nostra sopravvivenza come specie.

Questa oscena espressione di “darwinismo sociale” postula che il calcolo, l’intelligenza, la ricchezza, la forza, il potere, trovano sempre la modalità di sopravvivenza anche nelle situazioni più avverse.

Il “darwinismo sociale” è sempre stato falso e ingiusto, ma lo è molto di più adesso, quando la sua difesa è incompatibile non solo con l’uguaglianza e la democrazia, bensì con i limiti stessi del pianeta e la sopravvivenza dell’umanità. “Adattarsi” al cambiamento climatico per produrre vino in Islanda, manghi in Lombardia e quinoa sui Pirinei, equivale ad “adattare” il sedile dell’aereo che precipita col motore in fiamme.

Il noto neuropsicologo inglese Nicholas Humphrey, specializzato nella psicologia dei nostri primati, racconta di una razza di scimmie tra le quali solo alcune, le più intelligenti, riescono ad aprire un tipo di noci particolarmente dure e resistenti. Queste scimmie privilegiate usano le mani – sede fisica dei vantaggi neuronali – con una destrezza che i loro simili, probabilmente invidiosi, non riescono ad uguagliare. Ma c’è un piccolo problema: quelle noci sono velenose e proprio a causa della loro abilità, le scimmie più furbe ed abili muoiono mentre le più “imbranate” e “tonte” sopravvivono.[4]

La storia delle scimmie di Humphrey può adattarsi al “darwinismo imprenditoriale” della nichilistica sopravvivenza capitalistica. È proprio l’“intelligenza” degli umani – con quote di responsabilità diverse, ovviamente – a mettere in pericolo la continuità della specie.

Come a dire che, in prospettiva, il capitalismo – espressione colossale della massima ricchezza, forza, potere e calcolo – si “adatterà” talmente tanto alle condizioni apocalittiche che lui stesso ha generato, da morire in piena accelerazione, insieme ai suoi pochi beneficiati e alle sue tante vittime.

Il guaio è che neppure i più tonti riusciremo a sopravvivere. Perché non siamo sufficientemente stupidi da non addentare le noci velenose dell’“intelligenza”.

I credenti sanno che, all’inizio dei tempi, il frutto dell’albero ci era vietato.

Tutti sappiamo che, verso la fine dei tempi, l’albero ci si offre obbligatorio e invitante tramite la lampada d’Aladino chiamata pubblicità.

Il principio di continuità indica che continueremo ad aprire noci, con abilità ed allegria, fino all’oscuramento finale.


[1] Charles Darwin, “On the Origin of Species through Natural Selection”, John Murray, Londra 1859. La prima edizione italiana di “L’origine delle specie” è del 1864. Tra le ultime, Rizzoli, Milano 2009. Buona parte delle opere di Darwin sono consultabili in https://www.liberliber.it/online/autori/autori-d/charles-darwin/

[2] Friedrich Nietzsche “Frammenti postumi III, Estate 1872 – Autunno 1873”, Adelphi, Milano 2005. E Vasco Rossi canta: “Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita, un senso non ce l’ha”. “Un senso”, nell’album “Buoni e cattivi”, 2004.

[3] Luigi Pirandello, “Il treno ha fischiato”, 1914. In “Luigi Pirandello, Novelle per un anno”, Newton Compton, Roma 2011.

[4] Andrew Brown, “The human factor. After 40 years of studying the problem of consciousness, Nicholas Humphrey believes it was natural selection that gave us souls. God, he insists, had nothing to do with it”, “The Guardian”, Londra  29 luglio 2006. Vedere anche Nicholas Humphrey, “The Mind Made Flesh”, Oxford University Press 2002 e il sito del Professore Humphrey su humphrey.org.uk. Aggiungo che nel nostro pianeta, le dimensioni e la forza dei dinosauri, che li rendevano dominanti nel Giurassico, li rese mortalmente fragili nel cretaceo e nessuna creatura vivente supera la capacità di adattamento e mutazione dei batteri.

Rodrigo Andrea Rivas

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